Il Papa ai malati in Camerun: non siete soli, Cristo vi conforta con la sua predilezione.
Alla Chiesa locale: difendete la vita
Due ore prima di intrattenersi con i membri del Consiglio speciale per l’Africa del
Sinodo dei vescovi, sempre a Yaoundé Benedetto XVI aveva incontrato circa 200 malati,
ospiti del Centro Nazionale di riabilitazione dei disabili, intitolato alla memoria
del cardinale canadese, Paul Emile Léger. Vi porto il conforto di Cristo, che ebbe
per i malati “tenerezza” e “benevola attenzione”, ha detto il Papa, che ha incoraggiato
la Chiesa a continuare nella dura lotta contro le malattie in Africa. La cronaca nel
servizio di Alessandro De Carolis:
(canto)
Quattordici
chilometri per andare a guardare negli occhi e confortare chi porta sulla propria
pelle le conseguenze di malattie invalidanti. Ieri pomeriggio, verso le 16, Benedetto
XVI ha raggiunto in auto, dalla nunziatura, il Centro di recupero disabili di Yaoundé.
Per un paio d’ore, sofferenza e senso della speranza cristiana sono state nel cuore
commosso del Papa e in quello dei disabili, molti dei quali bambini, spesso affetti
da gravi deformità, che hanno voluto salutare e ascoltare il “Grande Antenato”, così
come poche ore prima Benedetto XVI era stato chiamato, in segno di affettuoso rispetto
secondo la cultura locale, dall’arcivescovo della capitale camerunense. “Non siete
soli” nella vostra sofferenza, è stato il primo messaggio del Pontefice: non lo siete
perché nella sua vita terrena Cristo ha mostrato tutta la predilezione di Dio - ha
detto, alternando come sempre francese e inglese - per coloro portano “nella loro
carne” i segni dell’handicap, della violenza, della guerra: “Je
pense aussi à tous les malades... Penso anche a tutti i malati, e
specialmente qui, in Africa, a quelli che sono vittime di malattie come l’Aids, la
malaria e la tubercolosi. So bene come presso di voi la Chiesa cattolica sia fortemente
impegnata in una lotta efficace contro questi terribili flagelli, e la incoraggio
a proseguire con determinazione questa opera urgente”. Benedetto
XVI ha spinto a più riprese i malati a considerare e dunque a vivere la condizione
di malattia e di sofferenza sull’esempio di Cristo, l’“Uomo dei dolori”, e di sua
Madre, che salì e patì sul Calvario assieme al Figlio. Certo, ha soggiunto il Papa,
“davanti alla sofferenza, la malattia e la morte, l’uomo è tentato di gridare sotto
l’effetto del dolore”, il degrado della condizione fisica fa aumentare l’angoscia
e per questo “alcuni sono tentati di dubitare della presenza di Dio nella loro esistenza”: “In
the presence of such torment… In presenza di sofferenze atroci, noi
ci sentiamo sprovveduti e non troviamo le parole giuste. Davanti ad un fratello o
una sorella immerso nel mistero della Croce, il silenzio rispettoso e compassionevole,
la nostra presenza sostenuta dalla preghiera, un gesto di tenerezza e di conforto,
uno sguardo, un sorriso, possono fare più che tanti discorsi”. Carezze
come quelle riservate dal Pontefice ad alcuni dei malati del Centro. O gesti come
quello di un africano, Simone di Cirene, che duemila anni fa intrecciò una storia
di solidarietà con quella dolorosa del Nazareno condannato al Golgota. Il Cireneo,
ha osservato il Papa, fu costretto a portare la croce di Cristo e solo dopo la risurrezione
comprese “quello che aveva fatto”. Ma, ha affermato Benedetto XVI: “In
the depths of our anguish… Al cuore della disperazione, della rivolta,
il Cristo ci propone la Sua presenza amabile anche se noi fatichiamo a comprendere
che egli ci è accanto”. Il Papa ha concluso la sua
visita nel centro di riabilitazione con parole di apprezzamento per le varie categorie
- dai medici, agli infermieri, fino ai sacerdoti - che lavorano nel mondo della sanità: “À
vous, chercheurs et médicins... A voi, ricercatori e medici, spetta
mettere in opera tutto quello che è legittimo per sollevare il dolore; spetta a voi
in primo luogo proteggere la vita umana, essere i difensori della vita dal suo concepimento
fino alla sua fine naturale. Per ogni uomo, il rispetto della vita è un diritto e
nello stesso tempo un dovere, perché ogni vita è un dono di Dio”.