E' iniziata ieri la nona edizione di Infopoverty, conferenza mondiale sulle tecnologie
dell’informazione applicate allo sviluppo che lancia da Milano, sede dell’Expo 2015,
due progetti nati proprio nell’ambito dell’esposizione universale che avrà per tema
“Nutrire il mondo-Energia per la vita”. Il servizio di Fabio Brenna:
Il primo
progetto riguarda la realizzazione di un Centro di e-fitopatologia e parassitologia
e di un laboratorio di e-veterinaria in collaborazione con l’Università di Milano,
che fornirà a Paesi del Sud del mondo le proprie conoscenze attraverso tecnologie
digitali. Il secondo progetto mira invece a mettere in collegamento il distretto tecnologico-universitario
di Lodi con l’Ict-Millennium Village di Sambaina, in Madagascar. Questo progetto prevede
scambi fra gli ospedali, scuole e poli tecnologici delle due realtà. Il tutto attraverso
le tecnologie informatiche e della comunicazione create nell’isola africana da Occam,
l’agenzia delle Nazioni Unite nata per combattere il 'digital divide'. Roberto Rossi
è il portavoce del programma Infopoverty: “Permette di avere
dei servizi che vanno direttamente ad incidere su quelle che sono le necessità del
singolo agricoltore, del singolo allevatore, che in questi Paesi rischia di perdere
fino al 70 per cento del raccolto e al 65 per cento sia della resa del latte sia degli
stessi animali. In questo modo si cerca di recuperare la produttività tenendo conto
che in questi Paesi la differenza tra un buon raccolto e un cattivo raccolto non è
un margine di guadagno ma la sussistenza”. Stefano Cacciaguerra,
funzionario del Ministero degli Esteri italiano, sottolinea come sia prioritario indirizzare
l’azione verso i Paesi dell’Africa Subsahariana: “La cosa importante
è che naturalmente non deve limitarsi ad una semplice esportazione di tecnologie,
ma deve essere inserita in un contesto in cui la tecnologia diventa un un bene a disposizione
dei Paesi. E’ importante che questi processi di innovazione tecnologica crescano e
siano anche in grado di replicare se stessi; si rischierebbe altrimenti semplicemente
una nuova forma di colonialismo tecnologico”.