Attesa per le elezioni oggi in Salvador: il richiamo dei vescovi alla responsabilità
del voto e al rispetto degli avversari
Dopo una lunga campagna elettorale avvelenata da reciproche accuse di brogli e polemiche,
oltre 4 milioni 200 mila persone sono chiamate oggi nel Salvador ad eleggere il nuovo
capo di Stato. A contendersi la carica sono il candidato del partito di destra dell’Alleanza
Repubblicana nazionale (Arena), Rodrigo Ávila, e quello del Fronte Farabundo Martì,
Mauricio Funes, in lieve vantaggio negli ultimi sondaggi della vigilia. Si prevede
quindi un testa a testa ed un alto tasso di partecipazione al voto. Sul significato
delle elezioni in Salvador nel contesto dell’America Latina ascoltiamo, al microfono
di Amedeo Lomonaco, il nostro collega Luis Badilla, esperto di questioni
latinoamericane:
R. – Dopo
la fine nel 1992 della guerra civile, che ha provocato oltre 75 mila morti, i gruppi
e le fazioni, le parti che in passato si scontravano, oggi si confrontano con il voto.
Non è poco per un Paese che ha tanto sofferto. Quindi il significato di fondo di questa
elezione è quello di un ulteriore passo nel consolidamento della vita democratica,
della convivenza civile, della pacificazione e della riconciliazione. D.
– Quali sono i possibili scenari in caso di vittoria di uno o dell’altro candidato? R.
– Per certi aspetti, secondo me, sia che vinca il candidato dell’Arena, sia che vinca
quello del Fronte Farabundo Martì, non dovrebbero esserci grossi mutamenti.
Possono esserci, ed anzi ci saranno, cambiamenti nell’ambito della politica economica. D.
– Quali sono le potenzialità dell’economia de El Salvador, compromessa da anni di
guerra civile? R. – Le potenzialità in teoria sono molte, soprattutto
dal punto di vista della ricchezza agricola, delle risorse naturali. Ma questo Paese
è senza infrastrutture e dipende moltissimo dalle somme di denaro inviate in patria
dai salvadoregni all’estero. La crisi economica negli Stati Uniti, che sta colpendo
tutti gli immigrati, che inviano il loro denaro in Paesi dell’America Latina, ha colpito
soprattutto Messico, Nicaragua e Salvador. D. – Si teme poi
che i risultati delle urne possano innescare nuove violenze? R.
– Il timore c’è perchè durante la campagna elettorale ci sono stati scontri, anche
morti, e accesi confronti verbali. L’arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis
Escobar Alas, ha esortato tutti prima del voto ad avere una disponibilità di cuore
e politica, ad accettare i risultati, indipendentemente che vinca una o l’altra parte;
ritiene, come ritengono tutti i vescovi, che il pericolo di violenze future possa
scaturire dal fatto che si incominci con il solito processo della contestazione, che
finisce poi per far diventare illegittimo l’intero processo e il risultato elettorale. D.
– Quali allora le speranze, gli auspici della Chiesa? R. – La
Chiesa ha detto che chi non vota è un irresponsabile: occorre che ciascuno si prenda
la sua modesta quota di responsabilità nella definizione del futuro della nazione.
In secondo luogo, la Chiesa ha invitato i candidati soprattutto a dire la verità,
a fare proposte realistiche e a non nascondere le reali condizioni del Paese. In terzo
luogo, ha chiamato a votare naturalmente in coscienza, liberamente, tenendo conto
dei principi cristiani e del Vangelo. Tali principi, gli insegnamenti della Dottrina
sociale della Chiesa - hanno scritto i vescovi - possono essere o rappresentare uno
schema di lavoro governativo molto fruttuoso.