Lettera del Papa sulla remissione della scomunica dei vescovi consacrati da mons.
Lefebvre
E’ stata pubblicata oggi dalla Sala Stampa vaticana la Lettera di Benedetto XVI ai
vescovi della Chiesa cattolica riguardo alla remissione della scomunica dei quattro
vescovi consacrati da mons. Lefebvre. Ce ne parla Sergio Centofanti:
Una Lettera
intensa per dare una “parola chiarificatrice” su una vicenda – scrive il Papa - che
“ha suscitato all’interno e fuori della Chiesa Cattolica una discussione di una tale
veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata”. Benedetto XVI parla delle
“perplessità” di molti vescovi di fronte alla revoca della scomunica e riguardo alla
sua urgenza e alla sua convenienza.
“Alcuni gruppi”,
invece – afferma la Lettera – hanno accusato “apertamente il Papa di voler tornare
indietro, a prima del Concilio” scatenando “una valanga di proteste”, la cui amarezza
ha rivelato vecchie ferite.
“Una disavventura per
me imprevedibile – afferma il Papa - è stata il fatto che il caso Williamson si è
sovrapposto alla remissione della scomunica”. Così “il gesto discreto di misericordia
verso quattro Vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all’improvviso
come una cosa totalmente diversa: come la smentita della riconciliazione tra cristiani
ed ebrei” voluta dal Concilio e “fin dall’inizio – spiega il Pontefice - obiettivo
del mio personale lavoro teologico”.
Il Papa esprime
il proprio sincero rammarico per gli errori di gestione della vicenda: per il fatto
che un miglior utilizzo di Internet avrebbe portato ad informazioni utili sul caso;
per il fatto che il provvedimento non sia stato illustrato “in modo sufficientemente
chiaro al momento della sua pubblicazione”.
Tuttavia
– afferma Benedetto XVI - “sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici,
che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di
dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco. Proprio per questo – aggiunge
- ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente
il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia, che – come nel
tempo di Papa Giovanni Paolo II – anche durante tutto il periodo del mio pontificato
è esistita e, grazie a Dio, continua ad esistere”.
La
Lettera ricorda i limiti e la portata della remissione della scomunica. "La scomunica
- si precisa - colpisce persone, non istituzioni". In questo caso mirava a "richiamare
le persone punite ... al pentimento e al ritorno dell'unità. A vent'anni dalle Ordinazioni,
questo obiettivo purtroppo non è stato ancora raggiunto". Quindi sottolinea che il
fatto che la Fraternità San Pio X non abbia una posizione canonica nella Chiesa –
e perciò “i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa” – si basa
non su ragioni disciplinari ma dottrinali. Per questo il Papa manifesta la sua “intenzione
di collegare in futuro la Pontificia Commissione ‘Ecclesia Dei’ - competente per i
rapporti con le comunità tradizionaliste - con la Congregazione per la Dottrina della
Fede, garantendo così meglio anche la collegialità dei procedimenti e delle decisioni.
“Con ciò viene chiarito che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura
essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l’accettazione del Concilio Vaticano
II e del magistero post-conciliare dei Papi”. “Deve essere ben chiaro alla Fraternità”
– prosegue il Pontefice – che “non si può congelare l’autorità magisteriale della
Chiesa all’anno 1962”. “Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori
del Concilio – aggiunge - deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano
II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente
al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare
le radici di cui l’albero vive”.
Di fronte a quanti
poi si sono chiesti se la revoca della scomunica fosse una cosa davvero urgente e
prioritaria, il Papa ribadisce le priorità del suo Pontificato: “condurre gli uomini
verso Dio” in un tempo in cui in vaste zone della terra la fede corre il pericolo
di spegnersi, l’ecumenismo, il dialogo interreligioso al servizio della pace, la testimonianza
della carità, ovvero la dimensione sociale della fede cristiana.
Di
fronte a queste grandi priorità – spiega – c’è stato il “sommesso gesto di una mano
tesa” che ha dato origine “ad un grande chiasso”. Eppure – si chiede il Papa – è
così sbagliato andare incontro al fratello che “ha qualche cosa contro di te” e cercare
la riconciliazione?”. Si tratta di gesti – afferma il documento – che aiutano anche
a prevenire le radicalizzazioni e a cambiare anche il clima interno di comunità che
proprio grazie a una mano tesa possono essere indotte ad abbandonare i loro irrigidimenti.
Inoltre – si chiede Benedetto XVI – “può lasciarci totalmente indifferenti una comunità
nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti
universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente
lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? ... Possiamo noi semplicemente
escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della
riconciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi?”.
Il
Papa parla delle “molte cose stonate” sentite dai lefebvriani – “superbia e saccenteria,
fissazione su unilateralismi”; e anche “testimonianze commoventi di gratitudine”.
Ma stonature – afferma - sono giunte anche dall’ambito ecclesiale. “A volte – rileva
- si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al
quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi
con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche
lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore
e riserbo”.
Benedetto XVI termina la lettera citando
l’invito di San Paolo ai Galati ad amarsi e rispettarsi: “ma se vi mordete e divorate
a vicenda – dice l’Apostolo delle Genti - guardate almeno di non distruggervi del
tutto gli uni gli altri!”. “Purtroppo – ha aggiunto - questo ‘mordere e divorare’
esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata”.
“Sempre di nuovo – conclude il Papa - dobbiamo imparare
la priorità suprema: l’amore”.