2009-03-12 12:49:44

Lettera del Papa sulla remissione della scomunica dei vescovi consacrati da mons. Lefebvre


E’ stata pubblicata oggi dalla Sala Stampa vaticana la Lettera di Benedetto XVI ai vescovi della Chiesa cattolica riguardo alla remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati da mons. Lefebvre. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3

Una Lettera intensa per dare una “parola chiarificatrice” su una vicenda – scrive il Papa - che “ha suscitato all’interno e fuori della Chiesa Cattolica una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata”. Benedetto XVI parla delle “perplessità” di molti vescovi di fronte alla revoca della scomunica e riguardo alla sua urgenza e alla sua convenienza.

 
“Alcuni gruppi”, invece – afferma la Lettera – hanno accusato “apertamente il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio” scatenando “una valanga di proteste”, la cui amarezza ha rivelato vecchie ferite.

 
“Una disavventura per me imprevedibile – afferma il Papa - è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica”. Così “il gesto discreto di misericordia verso quattro Vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all’improvviso come una cosa totalmente diversa: come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei” voluta dal Concilio e “fin dall’inizio – spiega il Pontefice - obiettivo del mio personale lavoro teologico”.

 
Il Papa esprime il proprio sincero rammarico per gli errori di gestione della vicenda: per il fatto che un miglior utilizzo di Internet avrebbe portato ad informazioni utili sul caso; per il fatto che il provvedimento non sia stato illustrato “in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione”.

 
Tuttavia – afferma Benedetto XVI - “sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco. Proprio per questo – aggiunge - ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia, che – come nel tempo di Papa Giovanni Paolo II – anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie a Dio, continua ad esistere”.

 
La Lettera ricorda i limiti e la portata della remissione della scomunica. "La scomunica - si precisa - colpisce persone, non istituzioni". In questo caso mirava a "richiamare le persone punite ... al pentimento e al ritorno dell'unità. A vent'anni dalle Ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non è stato ancora raggiunto". Quindi sottolinea che il fatto che la Fraternità San Pio X non abbia una posizione canonica nella Chiesa – e perciò “i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa” – si basa non su ragioni disciplinari ma dottrinali. Per questo il Papa manifesta la sua “intenzione di collegare in futuro la Pontificia Commissione ‘Ecclesia Dei’ - competente per i rapporti con le comunità tradizionaliste - con la Congregazione per la Dottrina della Fede, garantendo così meglio anche la collegialità dei procedimenti e delle decisioni. “Con ciò viene chiarito che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l’accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi”. “Deve essere ben chiaro alla Fraternità” – prosegue il Pontefice – che “non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962”. “Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio – aggiunge - deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”.

 
Di fronte a quanti poi si sono chiesti se la revoca della scomunica fosse una cosa davvero urgente e prioritaria, il Papa ribadisce le priorità del suo Pontificato: “condurre gli uomini verso Dio” in un tempo in cui in vaste zone della terra la fede corre il pericolo di spegnersi, l’ecumenismo, il dialogo interreligioso al servizio della pace, la testimonianza della carità, ovvero la dimensione sociale della fede cristiana.

 
Di fronte a queste grandi priorità – spiega – c’è stato il “sommesso gesto di una mano tesa” che ha dato origine “ad un grande chiasso”. Eppure – si chiede il Papa – è così sbagliato andare incontro al fratello che “ha qualche cosa contro di te” e cercare la riconciliazione?”. Si tratta di gesti – afferma il documento – che aiutano anche a prevenire le radicalizzazioni e a cambiare anche il clima interno di comunità che proprio grazie a una mano tesa possono essere indotte ad abbandonare i loro irrigidimenti. Inoltre – si chiede Benedetto XVI – “può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? ... Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi?”.

 
Il Papa parla delle “molte cose stonate” sentite dai lefebvriani – “superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi”; e anche “testimonianze commoventi di gratitudine”. Ma stonature – afferma - sono giunte anche dall’ambito ecclesiale. “A volte – rileva - si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo”.

 
Benedetto XVI termina la lettera citando l’invito di San Paolo ai Galati ad amarsi e rispettarsi: “ma se vi mordete e divorate a vicenda – dice l’Apostolo delle Genti - guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!”. “Purtroppo – ha aggiunto - questo ‘mordere e divorare’ esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata”.

 
“Sempre di nuovo – conclude il Papa - dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore”.







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