Le stragi in Germania e Stati Uniti: semplice follia? L’opinione dello psichiatra
Vittorino Andreoli
Stragi cosiddette della follia, così la stampa commenta i due ultimi sanguinosi episodi
di cronaca nera. In Germania un diciassettenne irrompe in un liceo, fredda 15 persone
tra cui 9 ragazzi e poi viene ucciso dalla Polizia. Negli Stati Uniti un uomo prima
di suicidarsi spara sui familiari e sui passanti per strada, colpendo a morte 10 persone.
Quale riflessione devono suscitare questi eventi tragici? Luca Collodi ha interpellato
il prof. Vittorino Andreoli, psichiatra e scrittore.
R. - Innanzitutto
non è detto che sia follia perché si pensa sempre che ci sia qualche cosa che non
funziona nel cervello, mentre l’ipotesi più probabile - certamente è il caso, per
esempio, del diciassettenne in Germania – è che si tratti di ragazzi tra virgolette
‘normali’, che però mancano di una serie di principi comportamentali per cui spostano
il gioco pericoloso, lo sparare, dalla cantina alla scuola o - come noi diciamo -
dai videogiochi, dal mondo fittizio alla realtà e al concreto.
D.
– Prof. Andreoli, il possesso di armi, in aumento in Germania, in Europa, e negli
Stati Uniti, può facilitare situazioni di questo tipo?
R.
– Può sicuramente facilitare, però non è possibile attribuire tutto alla disponibilità
di armi perché si può essere violenti anche con un bastone, certo non si faranno stragi
di questo tipo, ma insomma la violenza è dentro la testa delle persone.
D. - C’è, alla base, un forte disagio giovanile?
R.
– C’è una grande frustrazione. In una società in cui tutto è teso al successo, è teso
all’esistere perché si è visti, perché si è noti, perché si va in video, allora c’è
un grande bisogno di poter essere notati e la frustrazione è più facile perché è sempre
il paragonare la propria condizione reale con i modelli che sono modelli di successo.
E, noi sappiamo che la frustrazione è un debito di violenza. Non è un caso se i teatri
della violenza oggi siano i teatri della famiglia e della scuola, dove le persone
in fondo vivono di più, dove dovrebbero essere più capite ed è proprio lì che si sentono
più frustrate perché hanno l’impressione di fallire.
D.
– Si è saputo che il giovane assassino tedesco era appasionato di videogiochi violenti
ed aveva annunciato la strage su una chat. Prof. Andreoli, oggi - secondo lei - la
televisione, internet, sono luoghi in cui l’aggressività sta diventando un valore?
R.
– Certo. Sono strumenti straordinari ma devono essere usati da persone che hanno delle
regole. La libertà e, quindi, anche l’uso di tutti gli strumenti è possibile solo
dentro le regole. Noi abbiamo oggi una generazione di ragazzi, certo non tutti, che
non sa che cosa sono i principi, cosa sono le regole e hanno l’impressione che ogni
regola si può in qualche modo non seguire.
D. - Quindi
non possiamo classificare questi episodi come semplici casi clinici...
R.
– Assolutamente no! Bisogna avere il coraggio di prendere questi disastri, questa
violenza estrema come un test di analisi di come funziona una società, di cosa è una
società senza morale e, quindi, certamente pensare alla punizione e a tutto quello
che sarà necessario fare però non fermarsi all’arma che serve per uccidere, al ragazzo
che ha ucciso, ma analizzare la società in cui quell’arma è inserita e quel giovane
è cresciuto.