Via libera al governo palestinese di unità nazionale
In Israele sembra imminente il varo di un governo delle destre guidato dal leader
del Likud, Benyamin Nethanyau, che relegherebbe all’opposizione il partito di centro
Kadima, vincitore, sia pure di misura, alle ultime elezioni. Intanto, sul fronte palestinese,
stamani il premier dell’Autorità Nazionale Palestinese, Salam Fayyad, si è dimesso
con lo scopo di aprire la strada a un governo di unità nazionale. Quale significato
dare a questa decisione? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Giorgio Bernardelli,
esperto di Medio Oriente:
R. - Il significato
è chiaro ed è che questa trattativa tra le fazioni che sta andando avanti con la mediazione
del clero stavolta fa sul serio. Si va davvero verso un accordo di unità nazionale
tra Fatah e Hamas. Questo tentativo di intesa che è stato tentato molte volte con
diverse mediazioni anche con l’Arabia Saudita, è un effetto collaterale della guerra
di Gaza. Questa volta probabilmente si arriverà davvero a un governo di unità nazionale
che avrà un compito ben preciso, quello di andare a nuove elezioni sia nei territori
che a Gaza. Non dimentichiamo che anche il mandato del presidente Abu Mazen è scaduto
a gennaio e, quindi, c’è bisogno anche di una legittimazione dell’autorità all’interno
del mondo palestinese. Il problema è che oggi non ci sono alternative, l’unico passaggio
è quello di un accordo che porti in qualche modo a riportare sotto controllo anche
la situazione di Gaza.
D. - In questo quadro come
si inserisce la probabile formazione di un governo di destra in campo israeliano?
R.
- E’ un governo che avrà molte difficoltà da affrontare, un governo che ha già molte
riserve sulla prosecuzione del processo di pace, però teniamo anche presente il ruolo
che sta giocando già la nuova amministrazione americana. C’è stata questa nomina di
George Mitchell come inviato speciale del presidente Obama per il Medio Oriente, che
è un uomo che conosce molto bene la realtà del Medio Oriente ed è un pragmatico. Non
dimentichiamo il viaggio che ha fatto nei giorni scorsi Hillary Clinton, il nuovo
segretario di Stato, che ha mandato messaggi ben precisi sulla questione del rapporto
tra israeliani e palestinesi, lanciando un segnale chiaro, dicendo che il nuovo governo
dovrà comunque fare i conti con l’amministrazione Obama che ha una sua politica sul
Medio Oriente.
D. – I mediatori internazionali sono
contenti di come stanno andando le cose politicamente nella regione? Si stanno creando
due governi che rischiano di non dialogare e sul terreno la violenza non è terminata...
R.-
Certo non si può essere contenti di tutto questo, però è il risultato di una guerra.
Le guerre inaspriscono le tensioni, non le risolvono, soprattutto le guerre come queste
che si concludono con una situazione esattamente identica a quella precedente. Oggi
credo che da parte della comunità internazionale serva grande realismo, bisogna garantire
la possibilità che resti aperto uno spiraglio per i negoziati, senza illudersi che
la tesi dei due Stati possa concretizzarsi domani.