Il cardinale Poupard presiede le celebrazioni per il settimo centenario dell’inizio
del soggiorno avignonese dei Papi
A partire da domani due giorni di celebrazioni, nella città francese di Avignone,
ricorderanno il settimo centenario dell’inizio del soggiorno avignonese dei Papi:
a presiedere le cerimonie sarà l’inviato speciale di Benedetto XVI, il cardinale Paul
Poupard, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura. Fu Clemente V,
nel 1309, a trasferire la residenza pontificia ad Avignone, per meglio garantire la
libertà della Chiesa in un periodo storico in cui a Roma l’autonomia dei Papi era
in pericolo. Dopo quasi 70 anni, nel 1377, Gregorio XI decise il rientro nella sede
romana. Ma qual è il significato di queste celebrazioni? Ascoltiamo il cardinale
Paul Poupard al microfono di Xavier Sartre:
R. – Direi
prima di tutto la continuità - come sottolinea la lettera autografa che mi ha mandato
il Santo Padre nominandomi suo inviato speciale per il VII centenario dell’inizio
del soggiorno dei Pontefici Romani ad Avignone: manifestare che da Pietro, primo Vicario
di Cristo in terra, a Benedetto XVI, passando attraverso Avignone, il Papato afferma
la sua continuità bimillenaria.
D. – Come spiegare
da un punto di vista storico il soggiorno avignonese?
R.
- Da un punto di vista storico rappresentava la necessità, percepita dal Papa, dai
cardinali e da tutti, che per garantire l’esercizio del ministero di Pietro bisognasse
per il momento andare fuori da Roma, mantenendo però sempre l’idea di tornarci.
D.
– Nei libri di storia si parla spesso di “cattività avignonese”: ha ancora un senso?
R.
– Direi che oggi non ha più senso. Non si tratta di cattività, perché i Papi sono
andati lì liberamente, non potendo andare altrove. La città di Avignone era molto
importante perché era nell’orbita degli Stati Pontifici ed è importante ripeterlo:
Avignone era vicina al regno di Francia ma non era in Francia.
D.
– Che cosa ha significato per la Chiesa questo soggiorno ad Avignone?
R.
– Per la Chiesa ha significato un momento difficile, perché non è mai normale che
un vescovo sia costretto a vivere fuori dalla diocesi, soprattutto quando si tratta
del vescovo di Roma. Significava che il Papato era soggetto alle vicissitudini politiche
e, infatti, siamo dovuti arrivare ai nostri tempi con i Patti Lateranensi, di cui
abbiamo festeggiato il mese scorso l’80.mo anniversario, che hanno assicurato l’indipendenza
della Santa Sede.
D. - Tornando ad Avignone: sono
famosi gli appelli di Santa Caterina perché i Papi tornassero a Roma...
R.
– Non è che ci fosse da una parte il Papa che voleva rimanere ad Avignone e dall’altra
Caterina di Siena: il Papa voleva tornare a Roma, ma c’erano delle difficoltà. Negli
appelli – che ho riletto e che sono testi di fuoco - Caterina dice che non è normale
che il vescovo di Roma sia fuori di Roma e che Cristo lo vuole a Roma. Infatti, quando
si legge la storia, si scopre che il Papa, che ha preso la decisione di tornare a
Roma, ha avuto un gran coraggio, perché l’entourage non intendeva tornare ben conoscendo
la difficile situazione di Roma. Ma Santa Caterina ha avuto un ruolo spirituale importante
dando il suo contributo perché quelle difficoltà fossero superate.
D.
– Cosa dice alla Chiesa di oggi quella pagina di storia?
R.
- Mi pare che dica semplicemente, ma in modo molto forte, che il detto di Gesù nel
Vangelo è limpido: date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.
Dice, inoltre, che il Papato non deve avere un potere temporale ma spirituale, come
ha detto Pio XI per la firma dei Patti Lateranensi: è necessario unicamente un lembo
di terreno per poter essere agli occhi del mondo indipendenti dai poteri temporali.