2009-03-06 13:07:06

Il cardinale Poupard presiede le celebrazioni per il settimo centenario dell’inizio del soggiorno avignonese dei Papi


A partire da domani due giorni di celebrazioni, nella città francese di Avignone, ricorderanno il settimo centenario dell’inizio del soggiorno avignonese dei Papi: a presiedere le cerimonie sarà l’inviato speciale di Benedetto XVI, il cardinale Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura. Fu Clemente V, nel 1309, a trasferire la residenza pontificia ad Avignone, per meglio garantire la libertà della Chiesa in un periodo storico in cui a Roma l’autonomia dei Papi era in pericolo. Dopo quasi 70 anni, nel 1377, Gregorio XI decise il rientro nella sede romana. Ma qual è il significato di queste celebrazioni? Ascoltiamo il cardinale Paul Poupard al microfono di Xavier Sartre:RealAudioMP3

R. – Direi prima di tutto la continuità - come sottolinea la lettera autografa che mi ha mandato il Santo Padre nominandomi suo inviato speciale per il VII centenario dell’inizio del soggiorno dei Pontefici Romani ad Avignone: manifestare che da Pietro, primo Vicario di Cristo in terra, a Benedetto XVI, passando attraverso Avignone, il Papato afferma la sua continuità bimillenaria.

 
D. – Come spiegare da un punto di vista storico il soggiorno avignonese?

 
R. - Da un punto di vista storico rappresentava la necessità, percepita dal Papa, dai cardinali e da tutti, che per garantire l’esercizio del ministero di Pietro bisognasse per il momento andare fuori da Roma, mantenendo però sempre l’idea di tornarci.

 
D. – Nei libri di storia si parla spesso di “cattività avignonese”: ha ancora un senso?

 
R. – Direi che oggi non ha più senso. Non si tratta di cattività, perché i Papi sono andati lì liberamente, non potendo andare altrove. La città di Avignone era molto importante perché era nell’orbita degli Stati Pontifici ed è importante ripeterlo: Avignone era vicina al regno di Francia ma non era in Francia.

 
D. – Che cosa ha significato per la Chiesa questo soggiorno ad Avignone?

 
R. – Per la Chiesa ha significato un momento difficile, perché non è mai normale che un vescovo sia costretto a vivere fuori dalla diocesi, soprattutto quando si tratta del vescovo di Roma. Significava che il Papato era soggetto alle vicissitudini politiche e, infatti, siamo dovuti arrivare ai nostri tempi con i Patti Lateranensi, di cui abbiamo festeggiato il mese scorso l’80.mo anniversario, che hanno assicurato l’indipendenza della Santa Sede.

 
D. - Tornando ad Avignone: sono famosi gli appelli di Santa Caterina perché i Papi tornassero a Roma...

 
R. – Non è che ci fosse da una parte il Papa che voleva rimanere ad Avignone e dall’altra Caterina di Siena: il Papa voleva tornare a Roma, ma c’erano delle difficoltà. Negli appelli – che ho riletto e che sono testi di fuoco - Caterina dice che non è normale che il vescovo di Roma sia fuori di Roma e che Cristo lo vuole a Roma. Infatti, quando si legge la storia, si scopre che il Papa, che ha preso la decisione di tornare a Roma, ha avuto un gran coraggio, perché l’entourage non intendeva tornare ben conoscendo la difficile situazione di Roma. Ma Santa Caterina ha avuto un ruolo spirituale importante dando il suo contributo perché quelle difficoltà fossero superate.

 
D. – Cosa dice alla Chiesa di oggi quella pagina di storia?

 
R. - Mi pare che dica semplicemente, ma in modo molto forte, che il detto di Gesù nel Vangelo è limpido: date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. Dice, inoltre, che il Papato non deve avere un potere temporale ma spirituale, come ha detto Pio XI per la firma dei Patti Lateranensi: è necessario unicamente un lembo di terreno per poter essere agli occhi del mondo indipendenti dai poteri temporali.







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