2009-03-05 12:42:17

La prima Enciclica di Papa Wojtyla "Redemptor hominis" compie 30 anni


Trent’anni fa, il 4 marzo 1979, Giovanni Paolo II firmava la prima Enciclica del suo lungo Pontificato, la Redemptor hominis. Un documento intenso, che a tre decenni di distanza conserva intatta la sua dimensione profetica. Ce ne parla Sergio Centofanti. RealAudioMP3

“Il Redentore dell'uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia”: inizia così la prima Enciclica di Papa Wojtyla, un inno al Dio che incarnandosi si è unito ad ogni uomo perché “ogni uomo senza eccezione alcuna è stato redento da Cristo”, anche “quando non è consapevole di ciò”. Per questo l’uomo – scrive Giovanni Paolo II - “è la prima e fondamentale via della Chiesa” che “desidera servire quest’unico fine: che ogni uomo possa ritrovare Cristo”, perché “solo in Lui, Figlio di Dio, c’è salvezza”. Infatti “l’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio”. E “Dio è amore”, amore “più grande del peccato, della debolezza … più forte della morte … amore sempre pronto a sollevare e a perdonare”. “Questa rivelazione dell’amore” che “viene anche definita misericordia…ha nella storia … una forma e un nome: si chiama Gesù Cristo” che “per mezzo della Croce ha ridato definitivamente all’uomo la dignità ed il senso della sua esistenza”.
 
La Chiesa “malgrado tutte le limitazioni” annuncia questa verità “che non proviene dagli uomini, ma da Dio”. La Chiesa, Corpo di Cristo, che “in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico” “non può rimanere insensibile a tutto ciò che serve al vero bene dell’uomo” né restare “indifferente a ciò che lo minaccia” in quanto la sua sorte è ormai legata a Cristo. “La Chiesa non può abbandonare l’uomo” che oggi sembra vivere sempre più nella paura perché si sente “minacciato da ciò che produce, cioè dal risultato del lavoro delle sue mani e, ancor più, del lavoro del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà”. Papa Wojtyla parla dell’emergenza inquinamento, delle guerre, delle armi atomiche, delle ingiustizie, della fame, della mancanza di rispetto per la vita dei non nati. Si chiede se ciò che viene chiamato progresso renda “più umana” la vita sulla terra e l’uomo migliore, “cioè più maturo spiritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità, più responsabile, più aperto agli altri, in particolare verso i più bisognosi e più deboli, più disponibile a dare e portare aiuto a tutti”.
 
“La situazione dell’uomo contemporaneo – scriveva Papa Wojtyla 30 anni fa – sembra lontana dalle esigenze oggettive dell’ordine morale, come dalle esigenze della giustizia e, ancor più, dell’amore sociale”. L’uomo è sempre più “schiavo delle cose, schiavo dei sistemi economici, schiavo della produzione, schiavo dei suoi propri prodotti. Una civiltà dal profilo puramente materialistico condanna l’uomo a tale schiavitù”. La Chiesa annuncia la verità che rende liberi, annuncia il Vangelo dell’amore in Cristo Salvatore che dice: “Senza di me non potete fare nulla”. Per questo l’Enciclica si conclude “con un caloroso ed umile invito alla preghiera”: “Io spero – scriveva Giovanni Paolo II – che grazie a tale preghiera potremo ricevere lo Spirito Santo che scende su di noi e divenire in questo modo testimoni di Cristo ‘fino agli estremi confini della terra’ come coloro che uscirono dal Cenacolo di Gerusalemme nel giorno di Pentecoste”.







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