La prima Enciclica di Papa Wojtyla "Redemptor hominis" compie 30 anni
Trent’anni fa, il 4 marzo 1979, Giovanni Paolo II firmava la prima Enciclica del suo
lungo Pontificato, la Redemptor hominis. Un documento intenso, che a tre decenni di
distanza conserva intatta la sua dimensione profetica. Ce ne parla Sergio Centofanti.
“Il Redentore
dell'uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia”: inizia così la prima Enciclica
di Papa Wojtyla, un inno al Dio che incarnandosi si è unito ad ogni uomo perché “ogni
uomo senza eccezione alcuna è stato redento da Cristo”, anche “quando non è consapevole
di ciò”. Per questo l’uomo – scrive Giovanni Paolo II - “è la prima e fondamentale
via della Chiesa” che “desidera servire quest’unico fine: che ogni uomo possa ritrovare
Cristo”, perché “solo in Lui, Figlio di Dio, c’è salvezza”. Infatti “l’uomo non può
vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita
è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore,
se non lo sperimenta e non lo fa proprio”. E “Dio è amore”, amore “più grande del
peccato, della debolezza … più forte della morte … amore sempre pronto a sollevare
e a perdonare”. “Questa rivelazione dell’amore” che “viene anche definita misericordia…ha
nella storia … una forma e un nome: si chiama Gesù Cristo” che “per mezzo della Croce
ha ridato definitivamente all’uomo la dignità ed il senso della sua esistenza”. La
Chiesa “malgrado tutte le limitazioni” annuncia questa verità “che non proviene dagli
uomini, ma da Dio”. La Chiesa, Corpo di Cristo, che “in nessuna maniera si confonde
con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico” “non può rimanere
insensibile a tutto ciò che serve al vero bene dell’uomo” né restare “indifferente
a ciò che lo minaccia” in quanto la sua sorte è ormai legata a Cristo. “La Chiesa
non può abbandonare l’uomo” che oggi sembra vivere sempre più nella paura perché si
sente “minacciato da ciò che produce, cioè dal risultato del lavoro delle sue mani
e, ancor più, del lavoro del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà”. Papa
Wojtyla parla dell’emergenza inquinamento, delle guerre, delle armi atomiche, delle
ingiustizie, della fame, della mancanza di rispetto per la vita dei non nati. Si chiede
se ciò che viene chiamato progresso renda “più umana” la vita sulla terra e l’uomo
migliore, “cioè più maturo spiritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità,
più responsabile, più aperto agli altri, in particolare verso i più bisognosi e più
deboli, più disponibile a dare e portare aiuto a tutti”. “La
situazione dell’uomo contemporaneo – scriveva Papa Wojtyla 30 anni fa – sembra lontana
dalle esigenze oggettive dell’ordine morale, come dalle esigenze della giustizia e,
ancor più, dell’amore sociale”. L’uomo è sempre più “schiavo delle cose, schiavo dei
sistemi economici, schiavo della produzione, schiavo dei suoi propri prodotti. Una
civiltà dal profilo puramente materialistico condanna l’uomo a tale schiavitù”. La
Chiesa annuncia la verità che rende liberi, annuncia il Vangelo dell’amore in Cristo
Salvatore che dice: “Senza di me non potete fare nulla”. Per questo l’Enciclica si
conclude “con un caloroso ed umile invito alla preghiera”: “Io spero – scriveva Giovanni
Paolo II – che grazie a tale preghiera potremo ricevere lo Spirito Santo che scende
su di noi e divenire in questo modo testimoni di Cristo ‘fino agli estremi confini
della terra’ come coloro che uscirono dal Cenacolo di Gerusalemme nel giorno di Pentecoste”.