Conferenza internazionale alla Gregoriana su “L’evoluzione biologica: fatti e teorie”
I 150 anni trascorsi dalla pubblicazione dell’“Origine delle Specie” di Charles Darwin
sono l’occasione propizia per fare in modo che scienziati, filosofi e teologi si ascoltino
reciprocamente in modo sistematico''. Lo ha ricordato ieri mattina l’arcivescovo Gianfranco
Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, nella giornata di apertura
della conferenza internazionale “L’evoluzione biologica: fatti e teorie”, che proseguirà
fino a sabato prossimo. Scopo principale del convegno, organizzato dalla Pontificia
Università Gregoriana nell'ambito del Progetto Stoq, in collaborazione con l’Università
statunitense di Notre Dame, è considerare il problema dell’evoluzione in una prospettiva
più ampia rispetto al neodarwinismo tradizionale, alla luce delle recenti acquisizioni
della ricerca, confrontando scienza, filosofia e teologia. Sull’importanza del convegno
Fabio Colagrande ha intervistato don Giuseppe Tanzella-Nitti, ordinario
di Teologia fondamentale alla Pontificia Università della Santa Croce:
R. – Intanto,
si tratta di un confronto a tutto campo sull’evoluzione, quindi ci si occupa non solo
dei classici meccanismi darwiniani ma anche di altri meccanismi evolutivi; è un confronto
estremamente importante perché al teologo interessa conoscere il dato scientifico
perché aiuta meglio ad interpretare rettamente la Sacra Scrittura e anche a intravedere
quelle possibilità di sviluppo della comprensione dogmatica stessa della Rivelazione.
E interessa anche al filosofo perché ritengo che nella presentazione dei dati scientifici
ci sia sempre molta visione filosofica inevitabile perché sempre si tende a dare una
visione globale di insieme. E quando questa visione unitaria compare anche nell’interpretazione
dei dati, di fatto già si sta trasmettendo in qualche modo una visione filosofica
per cui direi che tanto la teologia come la filosofia si sentono interpellate da questo
dato scientifico e riflettono su di esso per vedere come utilizzarlo, come impiegarlo.
D.
– L’idea cristiana della creazione, che si desumeva dalla esegesi biblica, viene messa
in crisi in qualche modo dalla teoria dell’evoluzione di Darwin?
R.
– Direi di no nella misura in cui per teoria dell’evoluzione intendiamo il fatto che
le specie biologiche si sono avvicendate sul nostro pianeta e la vita è stata il soggetto
di uno sviluppo graduale che ha portato da forme di vita semplici, poco diversificate
a forme di vita sempre più complesse, sempre più organizzate. Se evoluzione vuol dire
questo, è pienamente compatibile con l’idea di creazione; anzi, prendendo in prestito
le parole da uno dei grandi biologi evoluzionisti – Theodosius Dobzanski – diceva
che, secondo lui, la stessa evoluzione era il modo con cui Dio creava: mi sembra un’affermazione
che si possa ben condividere se per evoluzione si intende questo. Se invece per evoluzione,
come a volte si può leggere in alcuni articoli poco profondi, si intende l’idea che
nell’universo o anche nello sviluppo della vita sulla terra non ci sia alcuna progettualità,
alcun finalismo, alcuna direzione verso cui la vita si manifesta per tendere poi all’uomo,
se per evoluzione si intende questo a me pare che sia più una conclusione filosofica
starei per dire: ideologica che non scientifica. Darwin non ha mai parlato di questo.
Darwin, tutte le volte in cui gli si chiedeva un’opinione sulle cause ultime e sull’origine
ultima dell’uomo e della comparsa dell’uomo, era sempre molto rispettoso e diceva
che secondo lui erano problemi molto più grandi di quelli che uno scienziato si poteva
porre e lasciava il discorso abbastanza aperto, su questo aspetto.
D.
– Oggi un teologo, confrontandosi con le teorie scientifiche più moderne che discendono
da quella di Darwin, può trovare un finalismo nell’evoluzione?
R.
– Lo può trovare, ma non deve farlo dire a Darwin. Mi spiego. I dati scientifici in
quanto tali non sono a favore né di una visione totalmente accidentale, casuale, né
a favore di una visione finalistica o progettuale. Il dato scientifico indica semplicemente
che c’è una progressiva complessificazione, una complessiva diversificazione e mi
pare di poter dire che la specie umana sembra essere un po’ quasi un coronamento di
questo sviluppo. Vedere in questo un finalismo direi che sia una conclusione più tipica
di una filosofia della natura che non di una teoria scientifica. Quindi, il teologo
dovrebbe interagire con il filosofo per verificare in quale misura questi dati scientifici
siano compatibili con una visione filosofica che tenda ad un finalismo. E secondo
me c’è una piena compatibilità in questo, ma non credo che bisogna chiederlo agli
scienziati, o meglio: non bisogna chiederlo alla scienza, ai dati. Lo scienziato è
anche lui, in fondo, un filosofo, è una persona che riflette sulle cose e da essere
umano, riflettendo sui dati, come uomo, può anche ravvedere un finalismo nella natura.
Se lo chiede soltanto ai numeri, alle molecole o ai geni del Dna, sicuramente questo
finalismo non gli viene rivelato.