Per il mese di marzo, il Papa chiede ai fedeli di pregare affinché i cattolici di
Cina siano strumento di unità, comunione e pace
Perché i vescovi, i presbiteri, le persone consacrate e i fedeli laici della Chiesa
Cattolica nella Repubblica Popolare di Cina, alla luce della Lettera pontificia loro
inviata, “si impegnino ad essere segno e strumento di unità, di comunione e di pace”:
è questa l’intenzione missionaria per il mese di marzo, che Benedetto XVI ha affidato
all’Apostolato della preghiera. Il Papa rinnova dunque l’attenzione per la Chiesa
cinese. Intervistato da Alessandro Gisotti, padre Giancarlo Politi,
sinologo del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), si sofferma sull’importanza
del documento indirizzato dal Papa ai fedeli cinesi nel maggio 2007:
R. - La Lettera
rappresenta la prima volta in cui il Papa si rivolge direttamente ai vescovi di Cina,
un episcopato che per la sua maggioranza è ormai in comunione da tempo con la Sede
Apostolica. Il Papa ha tirato fuori e messo sul tavolo tutte le problematiche che
per anni hanno fatto soffrire la comunità cattolica di Cina. Non bisogna dimenticare
che la Chiesa in Cina vive sotto una costante tensione. Quindi, diventano sempre difficili
e ambivalenti gli atteggiamenti che ciascuno può prendere.
D.
- D’altro canto, il Papa stesso nella lettera si rivolge alle autorità civili di Pechino…
R.
- Sì, certamente, si rivolge alle autorità civili in seconda battuta. Va detto che
all’interno della società cinese non tutto è pacifico. Non bisogna dimenticare che
il governo di Pechino, oggi, governa in forza di una rivoluzione che ormai è passata
da più di 60 anni.
D. - Tutta la Lettera di Benedetto
XVI mette l’accento sul perdono, la riconciliazione e sul valore imprescindibile dell’unità.
Una sfida non facile considerando il contesto cinese…
R.
- Certamente non è facile, proprio perché non è facile far convivere due entità. Da
una parte, un’esigenza di libertà e di gestione della propria libertà, dall'altra,
un governo forte. Lo dice con chiarezza. Con altrettanta chiarezza bisogna che coniughiamo
le due esigenze: l’affermazione della verità da parte della Chiesa, ma anche l’affermazione
della libertà assoluta e della unicità di politica che il governo impone.
D.
- Si può fare un primo bilancio dei frutti che questa Lettera può aver prodotto tra
i cattolici di Cina?
R. - No, non è ancora possibile.
Bisogna abbandonare la fretta dei risultati. Non si possono ottenere risultati da
un giorno all’altro. La Lettera rimane un pilastro, come una piattaforma sulla quale
un giorno o l’altro - speriamo sia il più vicino possibile - si potrà discutere. Tuttavia,
all’interno della società cinese è ancora in vigore la politica dei piccoli passi
per conquistare spazi di libertà e di collaborazione.
D.
- D’altro canto, il Papa ha mostrato anche coraggio nel firmare questa Lettera in
prima persona…
R. - Certamente. Credo che la Lettera
del Papa fosse un atto necessario, proprio perché portasse chiarezza all’interno della
Chiesa, all’interno della società, a tutti quelli che guardano dal di fuori o che
vivono dentro ai confini della Repubblica popolare cinese. Detto questo, non si può
pretendere che una dichiarazione o una presa di posizione da parte del Papa abbia
immediatamente un’accoglienza “spassionata”. Ci vorrà tempo.