2009-03-03 14:37:46

Bullismo, l'importanza degli educatori e della loro capacità di "filtrare" i messaggi sociali. L'opinione di Simona Caravita


Quasi il 60% di 438 bambini e ragazzi scelti a campione in sette scuole elementari e medie inferiori di Milano e provincia, risulta coinvolto a diverso titolo nel bullismo. E’ quanto risulta dallo studio condotto dal Centro ricerca sulle dinamiche evolutive ed educative dell’Università Cattolica e presentato nel seminario internazionale: “Aggressività, relazioni tra pari e bullismo”, che si è tenuto di recente all’Ateneo di Milano. Tra gli interventi quelli di Antonius H. Cillessen, docente di Psicologia dello sviluppo in Olanda e ricercatore dell’Università del Connecticut negli Stati Uniti e di Simona Caravita, psicologa dello sviluppo. Un fenomeno, dunque, quello del bullismo diffuso nella scuola italiana e che, se pur in forme differenti, interessa tutti gli ambienti sociali e culturali, la città come le località di campagna. Ma che cosa si intende per bullismo? Adriana Masotti lo ha chiesto alla stessa dott.ssa Caravita:RealAudioMP3

R. - Quello che caratterizza il bullismo in se stesso, è la sua duplice complessità perché, come comportamento individuale, ci troviamo di fronte ad una condotta nela quale è rilevante la motivazione che spinge il prepotente a prevaricare il compagno, al fine di acquisire una maggiore influenza sul gruppo. Il secondo livello di complessità, è che il bullismo è anche un fenomeno di gruppo: i ragazzi prepotenti si trovano ad avere un sostegno all’interno dei gruppi dei coetanei. Fortunatamente, ci sono anche ragazzi che difendono la vittima anche se sono purtroppo una minoranza. E poi ci sono gli "esterni": coloro che sono a conoscenza delle dinamiche di prevaricazione, ma non prendono posizione. E questo è un messaggio sbagliato.

 
D. - Parliamo di bullismo riferendolo ai giovani, anzi, agli adolescenti. Ma potrebbe essere un comportamento che, in qualche modo, rispecchia le prepotenze che ci sono anche nella vita adulta, risultato di una certa cultura dominante in cui, ad esempio, il potente è il migliore...

 
R. - Sicuramente, c’è anche un’eco culturale nel senso che in una società come quella occidentale, fortemente competitiva, anche questo fattore incide sul manifestarsi del fenomeno. E’ anche vero, però, che il bullismo è qualche cosa che risponde a delle dinamiche evolutive e risente di fattori anche educativi. Quello che bisogna poter fare è leggere in maniera appropriata e non cadere nella tentazione, in qualche misura, di individuare la causa in un astratto, in termini di società. In realtà, è molto importante il modo in cui gli educatori primari - genitori, insegnanti - filtrano i messaggi sociali.

 
D. - Gestire il fenomeno: come fare? Ci sono degli interventi che sono risultati più efficaci di altri?

 
R. - Negli anni, sono stati messi a punto una serie di modelli di intervento, che cercano di approcciare la duplice complessità del fenomeno. L’intero sistema scolastico, in genere, è coinvolto in questo tipo di programmi, cercando di trasformare i ragazzi del gruppo che assistono alle prepotenze da esterni in difensori della vittima: cioè, da spettatori passivi in ragazzi in grado di supportare ed aiutare il compagno vittimizzato. In concreto, cosa fare nel caso in cui il proprio figlio, in qualche misura, segnali dei comportamenti prepotenti? Intanto, non chiudere gli occhi - questo vale anche per gli insegnanti - e poi manifestare un coerente segnale di non accettazione. Questo significa che, da un lato, bisogna sanzionare, e dall’altro promuovere le azioni antagoniste cioè le azioni in cui si aiuta il compagno, si aiuta il più debole. Queste devono essere, in qualche modo, premiate.







All the contents on this site are copyrighted ©.