Bullismo, l'importanza degli educatori e della loro capacità di "filtrare" i messaggi
sociali. L'opinione di Simona Caravita
Quasi il 60% di 438 bambini e ragazzi scelti a campione in sette scuole elementari
e medie inferiori di Milano e provincia, risulta coinvolto a diverso titolo nel bullismo.
E’ quanto risulta dallo studio condotto dal Centro ricerca sulle dinamiche evolutive
ed educative dell’Università Cattolica e presentato nel seminario internazionale:
“Aggressività, relazioni tra pari e bullismo”, che si è tenuto di recente all’Ateneo
di Milano. Tra gli interventi quelli di Antonius H. Cillessen, docente di Psicologia
dello sviluppo in Olanda e ricercatore dell’Università del Connecticut negli Stati
Uniti e di Simona Caravita, psicologa dello sviluppo. Un fenomeno, dunque,
quello del bullismo diffuso nella scuola italiana e che, se pur in forme differenti,
interessa tutti gli ambienti sociali e culturali, la città come le località di campagna.
Ma che cosa si intende per bullismo? Adriana Masotti lo ha chiesto alla stessa
dott.ssa Caravita:
R. - Quello
che caratterizza il bullismo in se stesso, è la sua duplice complessità perché, come
comportamento individuale, ci troviamo di fronte ad una condotta nela quale è rilevante
la motivazione che spinge il prepotente a prevaricare il compagno, al fine di acquisire
una maggiore influenza sul gruppo. Il secondo livello di complessità, è che il bullismo
è anche un fenomeno di gruppo: i ragazzi prepotenti si trovano ad avere un sostegno
all’interno dei gruppi dei coetanei. Fortunatamente, ci sono anche ragazzi che difendono
la vittima anche se sono purtroppo una minoranza. E poi ci sono gli "esterni": coloro
che sono a conoscenza delle dinamiche di prevaricazione, ma non prendono posizione.
E questo è un messaggio sbagliato.
D. - Parliamo
di bullismo riferendolo ai giovani, anzi, agli adolescenti. Ma potrebbe essere un
comportamento che, in qualche modo, rispecchia le prepotenze che ci sono anche nella
vita adulta, risultato di una certa cultura dominante in cui, ad esempio, il potente
è il migliore...
R. - Sicuramente, c’è anche un’eco
culturale nel senso che in una società come quella occidentale, fortemente competitiva,
anche questo fattore incide sul manifestarsi del fenomeno. E’ anche vero, però, che
il bullismo è qualche cosa che risponde a delle dinamiche evolutive e risente di fattori
anche educativi. Quello che bisogna poter fare è leggere in maniera appropriata e
non cadere nella tentazione, in qualche misura, di individuare la causa in un astratto,
in termini di società. In realtà, è molto importante il modo in cui gli educatori
primari - genitori, insegnanti - filtrano i messaggi sociali.
D.
- Gestire il fenomeno: come fare? Ci sono degli interventi che sono risultati più
efficaci di altri?
R. - Negli anni, sono stati messi
a punto una serie di modelli di intervento, che cercano di approcciare la duplice
complessità del fenomeno. L’intero sistema scolastico, in genere, è coinvolto in questo
tipo di programmi, cercando di trasformare i ragazzi del gruppo che assistono alle
prepotenze da esterni in difensori della vittima: cioè, da spettatori passivi in ragazzi
in grado di supportare ed aiutare il compagno vittimizzato. In concreto, cosa fare
nel caso in cui il proprio figlio, in qualche misura, segnali dei comportamenti prepotenti?
Intanto, non chiudere gli occhi - questo vale anche per gli insegnanti - e poi manifestare
un coerente segnale di non accettazione. Questo significa che, da un lato, bisogna
sanzionare, e dall’altro promuovere le azioni antagoniste cioè le azioni in cui si
aiuta il compagno, si aiuta il più debole. Queste devono essere, in qualche modo,
premiate.