Al via a Roma il ciclo di conferenze a 20 anni dalla Christifideles Laici
Occorre che il laicato cattolico torni ad essere una presenza e una voce positiva
della Chiesa nel mondo. E' l'invito che il prof. Salvador Pié-Ninot ha rivolto ieri
ai partecipanti al corso organizzato a Roma dal Forum Internazionale di Azione Cattolica
con l'istituto Laikos della Pontificia Università Gregoriana, in collaborazione con
le CVX, Comunità di vita cristiana, e il patrocinio del Pontificio Consiglio per i
Laici. Gli incontri, a cadenza settimanale, intendono riflettere sulla vocazione e
la missione dei laici nella Chiesa e nella società alla luce dei documenti del Concilio
Vaticano II e dell'Esortazione post-sinodale di Giovanni Paolo II "Christifideles
Laici", che Papa Benedetto XVI ha definito come "la Magna Charta del laicato cattolico
nel nostro tempo". Quali gli aspetti positivi realizzati in questi anni e quale la
responsabilità delle nuove generazioni di laici e laiche? Pietro Cocco ne ha
parlato con il prof. Piè-Ninot:
R. – L’apostolato
dei laici e la teologia del laicato sono stati molto importanti per il Vaticano II,
perché hanno dato la spinta – per esempio – per comprendere la categoria “popolo di
Dio”, e poi il recupero del Battesimo e che tutti siamo chiamati alla santità – non
è una cosa esclusiva di qualcuno - e, infine, l’aspetto della testimonianza nel mondo
concreto della famiglia, del lavoro, della politica, della cultura …
D.
– Questo ciclo di conferenze si presta proprio a questo tipo di riflessione. Che cosa
andrebbe ripreso, rilanciato, dell’insegnamento del Magistero della Chiesa sul laicato?
R.
– Penso che sia importante rilevare che 20 anni fa è stato tenuto un Sinodo sui laici
e dopo è uscita l’Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II, “Christifideles laici”,
che è uno slancio, un grido forte perché il laicato sia presente. Quali erano le novità
dopo il Concilio, che la “Christifideles laici” voleva raccogliere? Prima di tutto,
il tema dei ministeri dei laici: come i laici nelle parrocchie aiutano, svolgono dei
ministeri: c’è una collaborazione. Ma ciò che è specifico compito del laico è il suo
inserimento nel mondo, nelle strutture culturali, familiari, educative, politiche.
Pertanto, manca forse proprio questo slancio nella missione.
D.
– La stagione dei movimenti è una stagione in cui la missione dei laici all’interno
della Chiesa e anche come Chiesa nel mondo, acquista una sua diversificazione, una
sua consistenza. Qualcuno teme che sia stata però anche una stagione di frammentazione
del laicato …
R. – Questi nuovi movimenti hanno come
nome non “movimenti dei laici”, ma “movimenti ecclesiali”. In questo senso, pertanto,
hanno una preoccupazione molto “intraecclesiale”, giusta: totalmente giusta. E dopo,
in questa preoccupazione ecclesiale, hanno il loro carisma di presenza nel mondo.
L’impostazione importante è: facciamo una Chiesa di comunione, facciamo delle esperienze.
Evidentemente, malgrado tutto, questi movimenti fanno vedere che è possibile avere
fede in un mondo secolarizzato come quello europeo. Siamo chiari: la Chiesa fa fatica
ad essere presente nella trasmissione della fede, e non si può negare che questi nuovi
movimenti, con le loro diverse caratteristiche, sono segni di novità e anche di forza
evangelizzatrice. Ma è vero: manca ancora un po’ più di teologia del laicato.
D.
– Quindi, su quali aspetti – secondo lei – bisognerebbe tornare, proprio anche alla
luce del Magistero del Concilio?
R. – Penso che sia
tutto nella scia della dottrina sociale della Chiesa, per dirla in breve. Manca una
certa presenza, più concreta, dei laici cattolici impegnati come missione nel mondo.
Non è facile: questa è la sfida! Quando siamo in gruppo, siamo protetti dal gruppo,
ma quando uno è presente nell’ambito della bioetica, o della politica, o dell’educazione,
spesso è solo ed è comprensibile che sia faticoso essere presenti. Ecco perché mi
chiedo: come possiamo fare?, perché malgrado queste difficoltà non perdiamo questa
presenza alle frontiere del mondo.
D. – La presenza
di cristiani battezzati è lievito nella società …
R.
– Penso che questo sia il punto. Fondamentale. E’ quello che il Concilio dice nella
“Lumen gentium”, quando parla della “indole secolare del laicato”. Io spero che questo
corso che stiamo tenendo possa aiutare a dire: attenzione, quello che stiamo facendo
va bene ma dobbiamo sottolineare con più forza il ruolo del laicato nel cuore del
mondo, nel cuore della storia, anche conoscendo le nuove sfide, affinché faccia atto
di presenza e testimonianza del Vangelo. E se non c’è il laicato alle frontiera del
mondo, la Chiesa resterà un po’ chiusa …
D. – E'
sempre valido l’invito di Giovanni Paolo II “non abbiate paura!” a perdersi nel mondo:
è un’identità che si realizza proprio nel servizio agli altri fratelli …
R.
– Esatto! Io so che questo non è facile: tutti lo sappiamo. Anche perché nell'affrontare
le sfide non facili della politica, della cultura, della bioetica, non è facile essere
credente, militante – nel senso più nobile - e nello stesso tempo dialogante. Ecco,
io penso che dobbiamo trovare delle forme concrete di testimonianza, nel lavoro, nella
professione medica, o di docente, o di servizio pubblico o di qualsiasi altra cosa,
malgrado le ambiguità, la secolarizzazione, molti problemi etici. Ecco, senza creare
una spaccatura con la gente si può dare una testimonianza che sia benevola e credibile.
Per fare questo, ci vuole una capacità, una convinzione, un’esperienza religiosa:
il laico dev’essere un religioso nel senso spirituale, cioè non deve vivere il cristianesimo
come ideologia, ma deve avere una convinzione di fede, vivere di Eucaristia, di preghiera,
di presenza professionale, familiare e via dicendo. E’ questa, la sfida!