2009-03-01 14:38:32

Al via a Roma il ciclo di conferenze a 20 anni dalla Christifideles Laici


Occorre che il laicato cattolico torni ad essere una presenza e una voce positiva della Chiesa nel mondo. E' l'invito che il prof. Salvador Pié-Ninot ha rivolto ieri ai partecipanti al corso organizzato a Roma dal Forum Internazionale di Azione Cattolica con l'istituto Laikos della Pontificia Università Gregoriana, in collaborazione con le CVX, Comunità di vita cristiana, e il patrocinio del Pontificio Consiglio per i Laici. Gli incontri, a cadenza settimanale, intendono riflettere sulla vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nella società alla luce dei documenti del Concilio Vaticano II e dell'Esortazione post-sinodale di Giovanni Paolo II "Christifideles Laici", che Papa Benedetto XVI ha definito come "la Magna Charta del laicato cattolico nel nostro tempo". Quali gli aspetti positivi realizzati in questi anni e quale la responsabilità delle nuove generazioni di laici e laiche? Pietro Cocco ne ha parlato con il prof. Piè-Ninot:RealAudioMP3

R. – L’apostolato dei laici e la teologia del laicato sono stati molto importanti per il Vaticano II, perché hanno dato la spinta – per esempio – per comprendere la categoria “popolo di Dio”, e poi il recupero del Battesimo e che tutti siamo chiamati alla santità – non è una cosa esclusiva di qualcuno - e, infine, l’aspetto della testimonianza nel mondo concreto della famiglia, del lavoro, della politica, della cultura …

 
D. – Questo ciclo di conferenze si presta proprio a questo tipo di riflessione. Che cosa andrebbe ripreso, rilanciato, dell’insegnamento del Magistero della Chiesa sul laicato?

 
R. – Penso che sia importante rilevare che 20 anni fa è stato tenuto un Sinodo sui laici e dopo è uscita l’Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II, “Christifideles laici”, che è uno slancio, un grido forte perché il laicato sia presente. Quali erano le novità dopo il Concilio, che la “Christifideles laici” voleva raccogliere? Prima di tutto, il tema dei ministeri dei laici: come i laici nelle parrocchie aiutano, svolgono dei ministeri: c’è una collaborazione. Ma ciò che è specifico compito del laico è il suo inserimento nel mondo, nelle strutture culturali, familiari, educative, politiche. Pertanto, manca forse proprio questo slancio nella missione.

 
D. – La stagione dei movimenti è una stagione in cui la missione dei laici all’interno della Chiesa e anche come Chiesa nel mondo, acquista una sua diversificazione, una sua consistenza. Qualcuno teme che sia stata però anche una stagione di frammentazione del laicato …

 
R. – Questi nuovi movimenti hanno come nome non “movimenti dei laici”, ma “movimenti ecclesiali”. In questo senso, pertanto, hanno una preoccupazione molto “intraecclesiale”, giusta: totalmente giusta. E dopo, in questa preoccupazione ecclesiale, hanno il loro carisma di presenza nel mondo. L’impostazione importante è: facciamo una Chiesa di comunione, facciamo delle esperienze. Evidentemente, malgrado tutto, questi movimenti fanno vedere che è possibile avere fede in un mondo secolarizzato come quello europeo. Siamo chiari: la Chiesa fa fatica ad essere presente nella trasmissione della fede, e non si può negare che questi nuovi movimenti, con le loro diverse caratteristiche, sono segni di novità e anche di forza evangelizzatrice. Ma è vero: manca ancora un po’ più di teologia del laicato.

 
D. – Quindi, su quali aspetti – secondo lei – bisognerebbe tornare, proprio anche alla luce del Magistero del Concilio?

 
R. – Penso che sia tutto nella scia della dottrina sociale della Chiesa, per dirla in breve. Manca una certa presenza, più concreta, dei laici cattolici impegnati come missione nel mondo. Non è facile: questa è la sfida! Quando siamo in gruppo, siamo protetti dal gruppo, ma quando uno è presente nell’ambito della bioetica, o della politica, o dell’educazione, spesso è solo ed è comprensibile che sia faticoso essere presenti. Ecco perché mi chiedo: come possiamo fare?, perché malgrado queste difficoltà non perdiamo questa presenza alle frontiere del mondo.

 
D. – La presenza di cristiani battezzati è lievito nella società …

 
R. – Penso che questo sia il punto. Fondamentale. E’ quello che il Concilio dice nella “Lumen gentium”, quando parla della “indole secolare del laicato”. Io spero che questo corso che stiamo tenendo possa aiutare a dire: attenzione, quello che stiamo facendo va bene ma dobbiamo sottolineare con più forza il ruolo del laicato nel cuore del mondo, nel cuore della storia, anche conoscendo le nuove sfide, affinché faccia atto di presenza e testimonianza del Vangelo. E se non c’è il laicato alle frontiera del mondo, la Chiesa resterà un po’ chiusa …

 
D. – E' sempre valido l’invito di Giovanni Paolo II “non abbiate paura!” a perdersi nel mondo: è un’identità che si realizza proprio nel servizio agli altri fratelli …

 
R. – Esatto! Io so che questo non è facile: tutti lo sappiamo. Anche perché nell'affrontare le sfide non facili della politica, della cultura, della bioetica, non è facile essere credente, militante – nel senso più nobile - e nello stesso tempo dialogante. Ecco, io penso che dobbiamo trovare delle forme concrete di testimonianza, nel lavoro, nella professione medica, o di docente, o di servizio pubblico o di qualsiasi altra cosa, malgrado le ambiguità, la secolarizzazione, molti problemi etici. Ecco, senza creare una spaccatura con la gente si può dare una testimonianza che sia benevola e credibile. Per fare questo, ci vuole una capacità, una convinzione, un’esperienza religiosa: il laico dev’essere un religioso nel senso spirituale, cioè non deve vivere il cristianesimo come ideologia, ma deve avere una convinzione di fede, vivere di Eucaristia, di preghiera, di presenza professionale, familiare e via dicendo. E’ questa, la sfida!







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