Investimenti nell’energia pulita e nell’educazione e una riforma per estendere la
copertura sanitaria a tutta la popolazione. Sono questi gli obiettivi del budget dell’amministrazione
statunitense per il 2009, illustrato nel consueto discorso del sabato del presidente
Barack Obama. Per l’inquilino della Casa Bianca, questo bilancio determinerà un cambiamento
del Paese. Il presidente Usa si è poi detto pronto a fronteggiare gli interessi delle
lobby delle assicurazioni e dell’energia, che, a suo avviso, si stanno preparando
a combattere queste riforme. Intanto l’economia americana continua a far registrare
nuovi, pesanti deficit: il quarto trimestre del 2008 è stato molto negativo. Bisogna
infatti risalire al 1982 per rilevare un decremento nel prodotto interno lordo superiore
al 6%. Sulle cause di questa contrazione nell’economia statunitense si sofferma, al
microfono di Amedeo Lomonaco, l’economista Alberto Quadrio Curzio:
R. – La contrazione
è dovuta ad una molteplicità di ragioni, in parte di natura politica. Anche se questa
credo sia la motivazione meno rilevante, bisogna ricordare il recente processo elettorale,
il cambiamento del presidente. Questi eventi hanno avuto un peso. Ma la causa è soprattutto
di natura finanziaria, legata al tracollo del sistema bancario e finanziario americano.
Probabilmente, questo Paese sta pagando il prezzo ad un "liberismo libertario" che
aveva posto come grande modello al quale tutti dovevamo ispirarci. Ma si tratta di
un modello che - ormai ne siamo convinti - ha dei limiti enormi. D.
– Di fronte a questi limiti, quali reali margini di manovra ha adesso la nuova amministrazione
americana? R. – La mia impressione è che i margini di manovra
non siano molto grandi. Ci sono, ma va ricostruita la sostanziale organicità del sistema
economico americano su due profili: gli americani risparmiano pochissimo e consumano
troppo e per questo si indebitano. Dal punto di vista individuale, si indebitano con
la dinamica dei mutui e sotto il profilo istituzionale con un indebitamento estero
molto forte, soprattutto verso i Paesi asiatici. Nessun sistema economico può vivere
a lungo con due indebitamenti così marcati. D. – A proposito
di Paesi asiatici, in Cina il massiccio piano di investimenti del governo può realmente
arginare la crisi? R. – La Cina ha compresso artificiosamente
la propria valuta per esportare di più ed ha anche lasciato correre un po’ su quella
tematica, così delicata, che è la falsificazione dei prodotti. Una falsificazione
certamente non avallata dal governo e, tuttavia, attuata da determinati produttori.
Credo però che la Cina potrà riprendersi più rapidamente perché ha delle riserve valutarie
gigantesche. Riserve che, spese adeguatamente all’interno, ridaranno spinta alla sua
economia, o meglio, ne freneranno il calo. D. – In un contesto
mondiale così pesantemente condizionato dalla crisi finanziaria, l’Europa può resistere
a questo terremoto economico? R. – A mio avviso l’Europa ha
i cosiddetti fondamentali decisamente migliori degli Stati Uniti e anche della Cina.
Le famiglie non si sono mai indebitate troppo, tuttavia non deve essere passiva. Io
propongo, come altri, che l’Europa proponga dei titoli di debito pubblico europei
da collocare sul mercato per unificare meglio il proprio tessuto economico. Sarebbe
un disastro, invece, assumere atteggiamenti protezionistici interni o, peggio ancora,
nazionalistici. L’Europa è un’entità unitaria e tale deve rimanere.