Tavola rotonda a Roma su “Chiesa e comunicazione nell’Anno Paolino”
“Per accorciare la distanza tra la fede e la notizia che ne potrebbe scaturire, servono
la testimonianza, la professionalità e la competenza”. Così don Domenico Pompili,
direttore dell’Ufficio della Conferenza Episcopale Italiana (Cei) per le comunicazioni
sociali, ha introdotto l’incontro su “Chiesa e comunicazione nell'Anno Paolino”, promosso
congiuntamente dall’Ufficio per le comunicazioni sociali e dal Servizio per il progetto
culturale della Conferenza Episcopale Italiana e tenutosi ieri a Roma. Secondo don
Pompili la realtà dell’informazione religiosa è condizionata da molti equivoci, quali
la tendenza alla politicizzazione, con contrapposizioni tra progressisti e conservatori.
Il direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali ha anche citato il cardinale
Avery Dulles, deceduto lo scorso 12 dicembre: "Il contenuto principale della Chiesa
- ha scritto il porporato - è un messaggio di fede, i media tendono invece alla ricerca
di ciò che è spettacolare e scandalistico”. Per trovare una via dove la fede non cozza
con la comunicazione, don Pompili ha suggerito di pensare alla “testimonianza come
modo di esposizione attraverso i media” insieme a “professionalità e competenza”.
In merito alla figura di San Paolo come grande comunicatore, il biblista Romano Penna
ha precisato che l’Apostolo delle genti non era “uno scrittore per vocazione” e “se
fosse vissuto oggi non sarebbe stato nemmeno un giornalista”. Il professor Penna ha
rilevato come Paolo sia stato l’unico tra gli illustri maestri del primo secolo a
lasciare documenti scritti. Fu costretto a scrivere dalla necessità di educare e formare
la comunità cristiana. Le sue Lettere – ha aggiunto il biblista – “non erano dirette
ad un unico soggetto, bensì ad una comunità di persone”. Alla tavola rotonda – rende
noto l’agenzia Zenit - è intervenuto anche Igor Man, firma storica del giornalismo
italiano, il quale ha raccontato diversi aneddoti vissuti in prima persona, come la
guerra in Vietnam, il colpo di Stato in Sudan del 1975 dove rischiò di essere fucilato,
o gli incontri con Madre Teresa e con Giovanni Paolo II. In particolare il cronista
ha raccontato che durante una intervista, Che Guevara gli confidò di non essersi mai
posto il problema di Dio: “Però se veramente esiste – disse – mi auguro che nel suo
cuore ci sia posto anche per il comandante Ernesto Che Guevara”. Sul finire della
tavola rotonda è intervenuto anche Gian Franco Svidercoschi, ex vice direttore de
“L'Osservatore Romano”, il quale ha sottolineato come la banalizzazione e la distorsione
degli interventi fatti dai Pontefici possa fare male all’informazione e all’opinione
pubblica. (A.L.)