Italia: associazioni cattoliche chiedono “modifiche al Ddl sulla sicurezza” in tema
di immigrazione
“Garantire il rispetto e la dignità delle persone divenga il primo obiettivo di leggi
giuste che diano sicurezza e serenità a tutti i cittadini”. E’ quanto affermato ieri
da alcune associazioni cattoliche italiane (Acli, Centro Astalli, Comunità Papa Giovanni
XXIII, Caritas Italiana, Migrantes, Comunità di Sant’Egidio) in vista del ritorno
alla Camera del Ddl sulla sicurezza approvato dal Senato ad inizio febbraio. In un
incontro a Palazzo Marini - di cui riferisce l’agenzia Sir - con i membri della Commissione
Affari Costituzionali e i capigruppo alla Camera dei deputati, le organizzazioni cattoliche
hanno chiesto modifiche al Ddl su aspetti “fondamentali” della vita degli immigrati,
tra cui il matrimonio, le cure mediche, la residenza, la ‘tassa’ sui permessi di soggiorno,
il reato di clandestinità, il prolungamento della permanenza nei Centri di identificazione
ed espulsione. Solo una “legge giusta” potrà davvero rendere più sicuri i cittadini,
hanno spiegato i rappresentanti delle associazioni ribadendo - come avevano fatto
prima della discussione al Senato - che “alcune tra le norme proposte, se approvate,
influiranno negativamente sulla vita e la dignità delle persone e persino sul bene
della sicurezza” che si intende tutelare. Tra queste, il reato d'ingresso e permanenza
illegale sul territorio italiano. Se approvato, lo Stato “sarebbe costretto a celebrare”
“decine di migliaia di processi che si concluderanno, in caso di condanna, con la
comminazione di una sostanziosa pena pecuniaria di fatto inesigibile a carico di persone
non abbienti”. Inoltre, il Ddl prevede - sia per i residenti italiani sia per gli
stranieri - il divieto di iscrizione anagrafica in mancanza della disponibilità di
un alloggio idoneo dal punto di vista igienico-sanitario. Un progetto irrealizzabile
in quanto molte abitazioni italiane ne sono sprovviste, che lascerebbe “senza residenza
un’ampia porzione della popolazione”. Altro punto non condiviso, la possibilità della
segnalazione da parte dei medici dell'irregolarità di uno straniero che si presenta
per essere curato, che “indurrà molti cittadini stranieri a non farsi curare” mortificando
il “diritto fondamentale alla salute e alle cure mediche” ed esponendo “la pubblica
salute ai maggiori rischi sanitari causati dal diffondersi di patologie non curate”.
Tra i punti evidenziati anche la difficoltà del trasferimento legale del denaro che
richiede all’utente straniero l’esibizione del permesso di soggiorno, e la limitazione
dei diritti della famiglia, prevedendo per lo straniero privo del permesso di soggiorno
l’incapacità al matrimonio con effetti civili. (R.G.)