Un patto sul nucleare. E’ questo uno dei principali risultati del vertice di ieri
a Roma tra il premier italiano Silvio Berlusconi ed il presidente francese, Nicolas
Sarkozy. Enel e Edf si sono impegnate a sviluppare e far entrare in esercizio almeno
4 centrali di terza generazione, la prima operativa per il 2020. Ma il patto ha suscitato
un dibattito acceso, che vede contrarie le associazioni ambientaliste e una parte
del mondo politico. Sicurezza e costi, i principali dubbi avanzati. Sentiamo al microfono
di Gabriella Ceraso il direttore di Greenpeace Italia Giuseppe Onufrio:
R. – L’investimento
nucleare è un investimento in un vicolo cieco. Di uranio, nel mondo, non ce n’è così
tanto, finirà prima del gas ma soprattutto restano i problemi di fondo di questa tecnologia
che sono la gestione del lungo termine delle scorie, la non proliferazione atomica
e la possibilità di avere impianti che siano a sicurezza intrinseca, questo ancora
non esiste. Pensiamo invece che l’investimento, come hanno deciso adesso di fare gli
Stati Uniti cambiando rotta, investimenti in efficienza e fonti rinnovabili, siano
molto più sicuri, diano, dal punto di vista energetico, molto di più ed abbiano un
impatto occupazionale che è almeno dieci volte superiore a quello del nucleare. D.
– Con il nucleare, però, si potrebbe far fronte alla dipendenza energetica che condiziona,
spesso e volentieri, l’Italia? R. – Noi dovremmo importare uranio
e la tecnologia è francese: quindi di autonomia non ci vedo nulla. D.
– E’ importante come dicono alcuni, che l’Italia, sotto questo profilo, partecipi
alle innovazioni, alle evoluzioni tecnologiche che si stanno verificando nel resto
del mondo... R. – Quali evoluzioni tecnologiche? La tecnologia
francese è una tecnologia che non è ancora in funzione, come se qualcuno ci volesse
vendere una automobile sulla base di un progetto e di una cosa che è ancora in cantiere
ma non c’è stata nessuna innovazione di fondo nel nucleare. Si tratta di una rivisitazione
della tecnologia esistente che avrà nelle scorie una quantità di radioattività, a
seconda dei vari elementi, da quattro a 11 volte superiore rispetto alle centrali
convenzionali e con problemi maggiori in caso di incidenti. D.
– Dunque, non esiste, sotto il vostro punto di vista, un nucleare in positivo? R.
– Non esiste ancora. “Una scelta salutare per l’autonomia energetica”:
così l’Istituto nazionale di fisica nucleare giudica il patto stretto ieri tra Italia
e Francia sul nucleare, non nascondendo i rischi, ma evidenziando anche i vantaggi
di una simile innovazione, come spiega al microfono di Gabriella Ceraso il
fisico Gianni Ricco:
R. – Se un
Paese ha bisogno di incrementare molto il suo parco di energia istallata, come l’Italia,
ha bisogno di un’energia che sia producibile subito in grosse potenze, che sia continua,
che abbia un costo del chilowatt che sia confrontabile con il costo dei fossili e
che non produca CO2, perché il nostro Paese ne sta producendo
di gran lunga troppo. Allora, un Paese che già produce troppo CO2,
che ha bisogno di centrali dell’ordine di parecchie centinaia di megawatt, non è
che ci sia molto altro da fare: o fa di nuovo i fossili o fa il nucleare, queste sono
le due scelte. D. – Le centrali di terza generazione, quelle
che saranno istallate in Italia, sono centrali sicure? Si può parlare di sicurezza
quando si parla di nucleare? R. – Le centrali nucleari sono
circa 440 nel mondo. Funzionano dal 1970 e ci sono stati solamente due incidenti di
grosso rilievo, dovuti a guasti ai quali l’operatore ha reagito in modo errato. In
generale, la sicurezza delle centrali, è già buona nell’attuale seconda generazione.
La terza generazione ha ulteriormente migliorato andando per esempio verso la sicurezza
passiva, anche avendo in mente questi due incidenti grossi che ci sono stati. D.
– L’altro problema è la gestione delle scorie: quali le possibilità per l’Italia? R.
– La gestione delle scorie ha una condizione essenziale: che ci sia un deposito e
questa non è una cosa che nasce con le centrali nuove, nasce da quelle che già abbiamo.
Le nostre vecchie centrali dobbiamo ancora demolirle. In più, tutto il materiale ad
alta radioattività è stato mandato in Francia per essere detrificato e ridotto in
volume, ma nel 2025 i francesi ce lo ridaranno. Quindi noi, in ogni caso, anche se
non facciamo le centrali, un qualche tipo di deposito dobbiamo averlo. D.
– In Italia, ci sono siti adatti a svolgere questa funzione? R.
– I siti ci sono però è anche vero che esiste un cammino tecnologico già in studio
che prevede, in futuro, che queste scorie, siano in parte riutilizzate ed in parte
trasformate.