2009-02-25 15:06:13

Italia: si riapre il dibattito sul nucleare


Un patto sul nucleare. E’ questo uno dei principali risultati del vertice di ieri a Roma tra il premier italiano Silvio Berlusconi ed il presidente francese, Nicolas Sarkozy. Enel e Edf si sono impegnate a sviluppare e far entrare in esercizio almeno 4 centrali di terza generazione, la prima operativa per il 2020. Ma il patto ha suscitato un dibattito acceso, che vede contrarie le associazioni ambientaliste e una parte del mondo politico. Sicurezza e costi, i principali dubbi avanzati. Sentiamo al microfono di Gabriella Ceraso il direttore di Greenpeace Italia Giuseppe Onufrio:RealAudioMP3

R. – L’investimento nucleare è un investimento in un vicolo cieco. Di uranio, nel mondo, non ce n’è così tanto, finirà prima del gas ma soprattutto restano i problemi di fondo di questa tecnologia che sono la gestione del lungo termine delle scorie, la non proliferazione atomica e la possibilità di avere impianti che siano a sicurezza intrinseca, questo ancora non esiste. Pensiamo invece che l’investimento, come hanno deciso adesso di fare gli Stati Uniti cambiando rotta, investimenti in efficienza e fonti rinnovabili, siano molto più sicuri, diano, dal punto di vista energetico, molto di più ed abbiano un impatto occupazionale che è almeno dieci volte superiore a quello del nucleare.
 
D. – Con il nucleare, però, si potrebbe far fronte alla dipendenza energetica che condiziona, spesso e volentieri, l’Italia?
 
R. – Noi dovremmo importare uranio e la tecnologia è francese: quindi di autonomia non ci vedo nulla.
 
D. – E’ importante come dicono alcuni, che l’Italia, sotto questo profilo, partecipi alle innovazioni, alle evoluzioni tecnologiche che si stanno verificando nel resto del mondo...
 
R. – Quali evoluzioni tecnologiche? La tecnologia francese è una tecnologia che non è ancora in funzione, come se qualcuno ci volesse vendere una automobile sulla base di un progetto e di una cosa che è ancora in cantiere ma non c’è stata nessuna innovazione di fondo nel nucleare. Si tratta di una rivisitazione della tecnologia esistente che avrà nelle scorie una quantità di radioattività, a seconda dei vari elementi, da quattro a 11 volte superiore rispetto alle centrali convenzionali e con problemi maggiori in caso di incidenti.
 
D. – Dunque, non esiste, sotto il vostro punto di vista, un nucleare in positivo?
 
R. – Non esiste ancora.
 
“Una scelta salutare per l’autonomia energetica”: così l’Istituto nazionale di fisica nucleare giudica il patto stretto ieri tra Italia e Francia sul nucleare, non nascondendo i rischi, ma evidenziando anche i vantaggi di una simile innovazione, come spiega al microfono di Gabriella Ceraso il fisico Gianni Ricco:RealAudioMP3

R. – Se un Paese ha bisogno di incrementare molto il suo parco di energia istallata, come l’Italia, ha bisogno di un’energia che sia producibile subito in grosse potenze, che sia continua, che abbia un costo del chilowatt che sia confrontabile con il costo dei fossili e che non produca CO2, perché il nostro Paese ne sta producendo di gran lunga troppo. Allora, un Paese che già produce troppo CO2, che ha bisogno di centrali dell’ordine di parecchie centinaia di megawatt, non è che ci sia molto altro da fare: o fa di nuovo i fossili o fa il nucleare, queste sono le due scelte.
 
D. – Le centrali di terza generazione, quelle che saranno istallate in Italia, sono centrali sicure? Si può parlare di sicurezza quando si parla di nucleare?
 
R. – Le centrali nucleari sono circa 440 nel mondo. Funzionano dal 1970 e ci sono stati solamente due incidenti di grosso rilievo, dovuti a guasti ai quali l’operatore ha reagito in modo errato. In generale, la sicurezza delle centrali, è già buona nell’attuale seconda generazione. La terza generazione ha ulteriormente migliorato andando per esempio verso la sicurezza passiva, anche avendo in mente questi due incidenti grossi che ci sono stati.
 
D. – L’altro problema è la gestione delle scorie: quali le possibilità per l’Italia?
 
R. – La gestione delle scorie ha una condizione essenziale: che ci sia un deposito e questa non è una cosa che nasce con le centrali nuove, nasce da quelle che già abbiamo. Le nostre vecchie centrali dobbiamo ancora demolirle. In più, tutto il materiale ad alta radioattività è stato mandato in Francia per essere detrificato e ridotto in volume, ma nel 2025 i francesi ce lo ridaranno. Quindi noi, in ogni caso, anche se non facciamo le centrali, un qualche tipo di deposito dobbiamo averlo.
 D. – In Italia, ci sono siti adatti a svolgere questa funzione?
 
R. – I siti ci sono però è anche vero che esiste un cammino tecnologico già in studio che prevede, in futuro, che queste scorie, siano in parte riutilizzate ed in parte trasformate.







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