Crisi: Obama cerca di ridare fiducia agli Stati Uniti
L'economia americana è indebolita, ma il Paese si riprenderà e uscirà dalla crisi
più forte di prima. Con queste parole, il presidente Barack Obama ha dato un’iniezione
di fiducia agli Stati Uniti in recessione, parlando ieri al Congresso di Washington,
riunito a 5 settimane dal suo insediamento alla Casa Bianca. Il servizio di Elena
Molinari:
Ha cercato
l’equilibrio tra speranza e realtà, ma alla fine la speranza era più nel tono che
nella sostanza, forse perché la pillola che Barack Obama ha fatto inghiottire agli
americani era davvero amara. Durante il suo primo discorso sullo stato dell’Unione,
il presidente statunitense ha detto agli americani che userà i loro soldi per nazionalizzare
alcune banche. Obama ha poi dovuto spiegare ai cinesi che vale la pena investire negli
Usa e ai talebani che l’America non è in ginocchio. Del resto, il presidente non poteva
limitarsi ai grandi principi della campagna elettorale; disoccupati, ammalati senza
assicurazione sanitaria, famiglie di soldati, aspettavano tutti messaggi concreti.
Nonostante la profonda crisi, Obama è arrivato alla fine del primo mese di governo
con livelli di gradimento altissimi, ma le famiglie americane hanno paura: il 55%
riesce infatti a stento ad arrivare alla fine del mese. Obama non poteva permettersi
facili ottimismi e per giustificare la sua fiducia ha cercato di usare i fatti. Ha
spiegato che la legge di stimolo da lui varata contiene il più grande investimento
nelle infrastrutture dai tempi di Eisenhower. Ma questi programmi - ha ammonito -
“richiedono pazienza, sia degli americani che degli stranieri”. “Il loro - ha detto
- è un investimento a lungo termine”. “Ma i giorni migliori dell’America - ha concluso
- sono davanti a lei”.
Il discorso del capo della Casa
Bianca al Congresso è stato pronunciato nel giorno in cui il presidente della Federal
Reserve, Ben Bernanke, ha illustrato le stime della Banca centrale americana. Ha annunciato
che la ''severa'' recessione in corso potrebbe prolungarsi nel 2010, se le misure
del governo non avranno successo. “Per una ripresa totale dell’economia – ha aggiunto
- ci vorranno oltre 2-3 anni”. Nel suo discorso, il presidente statunitense ha esortato
in particolare gli americani ad assumersi le loro responsabilità. Perché Obama ha
lanciato questo appello? Risponde il prof. Arduino Paniccia, docente di Studi
strategici all’Università di Trieste ed esperto di questioni americane, intervistato
da Giada Aquilino:
R. – Perchè
la crisi economica è veramente forte. Vi saranno dei passaggi molto difficili e quindi
il presidente avrà bisogno di tutto il consenso popolare possibile per poter riuscire
a portare a compimento il suo piano, che ovviamente è incentrato su alcune linee:
il rilancio dell’energia verde, il risanamento delle banche e il rilancio dell’istruzione
e della scuola. Un altro capitolo riguarda la sanità.
D.
– Nel giorno in cui il presidente della Federal Reserve ha tracciato un quadro fosco
dell’economia, Obama si è detto certo che riuscirà a ricostruire un’America più forte.
Quali indicazioni ha dato?
R. – La nazionalizzazione
delle banche è, probabilmente, il problema più spinoso perché la crisi sta contagiando
anche le banche ordinarie. Negli Stati Uniti non vi è stato mai un periodo in cui
le banche siano state nazionalizzate. In questo caso, il governo potrebbe arrivare
a prendere oltre il 40% della City Corp, ma vi sono problemi anche a Bank of America,
tra le grandi banche. Perfino la stabilissima J. P. Morgan ha dei problemi. Il presidente
ha bisogno, quindi, di tutte le energie per far sì che soprattutto la Borsa risponda
positivamente a questo. Se la Borsa riprende, uno dei grandi problemi è praticamente
superato.
D. – Obama ha parlato anche di difesa e
terrorismo, un riferimento alle guerre in corso, ma anche ai terroristi già catturati,
ai quali gli Stati Uniti promettono una giustizia rapida e certa...
R.
– Non vedo dei veri, grandi cambiamenti. A parte la vicenda di Guantanamo e la dichiarazione
necessaria di porre fine alle torture, altri cambiamenti in politica estera e nella
politica militare onestamente ne vedo, al momento, abbastanza pochi. Tutto dipende
da quello che succederà con l’Iran.
D. – Il prossimo
passo di Obama quale sarà?
R. – Continuare nel tentativo
di risolvere quella che è la crisi più profonda, cioè quella relativa alle banche
e nella parte relativa al salvataggio dell’industria automobilistica, che è un passaggio
anch’esso molto spinoso. L’unico rischio che non deve correre è quello di cominciare
a sollevare delle barriere protezionistiche, che è un rischio quasi connaturato, legato
a questo tipo d’intervento.