2009-02-24 14:33:30

Mons. Ravasi: il web e l'informatica vanno umanizzati, perché la vita è molto di più di ciò che appare su uno schermo


L'aggressività dei messaggi mediatici, subìta senza un'opportuna lettura critica, può portare a una "lobotomia dell'anima". Il rischio viene paventato dall’arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che ieri ha partecipato all'incontro organizzato dalla Associazione Athenaeum, presso l’Università “La Sapienza" di Roma, sul tema “Capacità di intendere e di volere". L’influenza dei media sul giudizio e sulle scelte”. Paolo Ondarza lo ha intervistato:RealAudioMP3

 
R. - I giovani sono grandi fruitori, ormai, della rete informatica. Sono anche consumatori di televisione, di questi mezzi che stanno "sagomando", un po’, la loro identità e il loro profilo. E in verità, questa strada così semplice, così facile, ha dei grandi rischi, continuamente in agguato. Soprattutto, il rischio fondamentale di perdere il calore del dialogo e dell’incontro interpersonale.

 
D. - E' possibile mantenere la capacità di intendere e di volere, di fronte a messaggi che a volte intendono plasmare i giovani a loro immagine?

 
R. - Si è persino usato - da parte di studiosi di questi fenomeni - l’espressione di “lobotomia dell’anima”: questi mezzi cercano di ritagliare degli spazi entro i quali collocare la persona, escludendo tutto ciò che non appartiene al loro progetto, che tante volte è un progetto squisitamente commerciale.

 
D. - Questo processo di sviluppo televisivo, informatico, è irreversibile…

 
R. - Gli studiosi dei media dicono che probabilmente non abbiamo ancora raggiunto tutte le capacità che questi mezzi hanno - che sono anche capacità, certe volte, di grande efficacia per l’umanità, ma anche di terribile rischio per l’umanità stessa. Pensiamo ad esempio cosa sarà in futuro l’interattività, questo dialogo sempre però un dialogo freddo, mai un dialogo diretto. E allora, per questo motivo cerchiamo di riportare ancora il giovane alla vita. La vita è molto più di quanto appaia su uno schermo.

 
D. - Ritiene che si possa perdere il gusto per l’incontro vero, il gusto di guardarsi negli occhi, stringersi la mano…

 
R. - Si stanno perdendo tre tipi di incontri possibili: il primo incontro è quello con la pagina scritta, che tu leggi sfogliandola, ritornando, nel silenzio, ai grandi testi del passato. Leggere su una pagina elettronica è ben diverso: si perde l’incontro soprattutto con l’altro, e da ultimo si perde anche l’incontro con il silenzio, cioè con l’assenza di immagini e di parole per tentare di scoprire qualcosa che è oltre e altro la parola e l’evento puramente informatico.

 
D. - Perdendo tutto ciò, l’uomo rischia di perdere in un certo senso se stesso, ossia la sua dimensione anche di comunione, di comunità?

 
R. - Se l’uomo, di sua natura, come ha sempre detto un po’ tutta la cultura, è un essere aperto, ha bisogno - come dice la Bibbia - di un aiuto che gli sia simile. Se noi amputiamo questa capacità di comunicazione e di comunione, indubbiamente avremo un uomo molto più povero e questa relazione non è sufficientemente assicurata dalla relazione informatica, che è sempre esterna, estrinseca, fredda…

 
D. - E lo sarà sempre? Non è possibile umanizzarla, questa dimensione informatica? Cioè, non potrà mai sostituire la dimensione puramente umana?

 
R. - Forse la tentazione di qualche mezzo di comunicazione è quella di ridurre l’uomo ad essere molto più semplificato nelle sue relazioni e di avere esperienze solo di tipo superficiale. Per fortuna, però, io ritengo che sia sempre vera una frase che grande Pascal aveva detto: l’uomo supera infinitamente l’uomo. Lo riduciamo un oggetto, lo facciamo schiavo sotto le dittature eppure, egli, alla fine si innamora della bellezza di un paesaggio oppure tenta anche di scoprire il mistero dell’universo, dell’infinito e di Dio.







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