2009-02-23 08:30:40

“Il seme di Nassiriya”: un libro racconta come della tragica strage in Iraq non sia rimasto solo sangue e disperazione ma l’impegno di un’associazione per bambini


E’ stato presentato in questi giorni a Roma, in Campidoglio, il libro “Il seme di Nassiriya”, in ricordo dei 19 militari italiani caduti in Iraq il 12 novembre del 2003, in un attentato kamikaze. Ce ne parla Alessandra De Gaetano: RealAudioMP3

I proventi del libro, scritto a quattro mani da Margherita Coletta, vedova del brigadiere dei carabinieri Giuseppe Coletta, e dalla giornalista di Avvenire Lucia Bellaspiga, saranno devoluti all’associazione Giuseppe Margherita Coletta, che sostiene i bambini in diverse parti del mondo. Cos’è “Il seme di Nassiriya”? Ascoltiamo Margherita Coletta:
 
“E’ tratto dal Vangelo; il seme, se non muore, non porta nessun frutto, come è stata appunto la vita di Giuseppe. La cosa più importante è quell’affidarsi a Cristo, perché senza di lui non si riesce a fare niente, e poi anche all’associazione che è nata. Quindi, dietro ad un grande dolore c’è qualcosa di ancora più grande; non è che abbracciare la croce di Cristo significa non soffrire, però si dà una motivazione diversa alle cose, quindi anche la gioia di vivere, di crescere mia figlia, è questa la cosa più importante adesso. La vita va vissuta in ogni modo, comunque essa sia”.
 
Ascoltiamo ora il vivo ricordo degli istanti precedenti la strage di Nassiriya, nelle parole dell’ex appuntato dei carabinieri Antonio Altavilla, che in quell’esplosione rimase gravemente ferito:
 
“La mattinata era iniziata tranquilla; tutto ad un tratto abbiamo sentito degli spari, un nostro carabiniere ha risposto al fuoco e, in una frazione di secondo, c’è stata la fine. La fine di tutto quello che avevamo costruito in quattro mesi, di tutto quello che era nato fra noi e la popolazione irachena; quindi fumo, fuoco, sangue e morte. Quello che è rimasto è comunque un pensiero a tutta la popolazione irachena onesta, che purtroppo continua a subire attentati”.
 
Un messaggio di vicinanza, dunque, alla popolazione e alle forze armate irachene, vittime di numerosi attentati terroristici. Che significato hanno questi attacchi mirati alle forze armate e di polizia? Pino Scaccia, inviato di guerra del TG1:
 
“I terroristi in Iraq cercano di far passare la voglia ai giovani iracheni di stare dalla parte dello Stato. Anche in Afghanistan c’è lo stesso meccanismo: si colpiscono le reclute – sia dell’esercito che della polizia – proprio per evitare che diventino esercito e polizia veri, che passino dall’altra parte. Il giorno che andassero via, le forze internazionali, secondo me, si spargerebbe molto sangue; le forze internazionali stanno in mezzo ai due gruppi – sciiti e sunniti -, per cui, senza quest’interposizione, io sono purtroppo convinto che ci sarà una grande strage ed una strage proprio in tutto il Paese, solo che forse noi non lo sapremo mai”.
 
“Il seme che non muore non produce frutto”, recita il Vangelo; quali sono stati, dunque, i frutti che i militari italiani hanno lasciato a Nassiriya? Tony Capuozzo, inviato di guerra del TG5:
 
“I nostri han lasciato, intanto, un buon ricordo, per essersi mossi con rispetto della popolazione locale, per aver sempre cercato di coniugare la difesa dei propri compiti con la crescita di una capacità autonoma degli iracheni di governarsi. Poi, sicuramente, c’è il ricordo dei tanti piccoli gesti; ricordo di essere andato tante volte nelle case degli iracheni, con questi uomini, e non è mai successo di vederli entrare sfondando a calci una porta, senza derogare al fatto di voler essere rispettati, di volere che siano rispettate le regole. Si voleva costruire questo rispetto su una base di reciprocità, che è il rispetto delle comunità locali, delle usanze locali, delle autorità locali. E questa, sicuramente, è una delle verità che dovunque ci siano stati e ci siano dei contingenti militari italiani viene vissuta”.







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