I fondamentalisti islamici minacciano nuovi sanguinosi attacchi contro i peacekeeper
africani, attualmente circa 3.500, che operano in Somalia, soprattutto a Mogadiscio.
Questo dopo la strage avvenuta ieri nella capitale somala, dove è stato attaccato
un campo di soldati burundesi: secondo l'Unione Africana (Ua), il bilancio è stato
di 11 i morti e 25 i feriti, alcuni dei quali gravi. Le vittime sono di più secondo
gli insorti. Nessuno parla delle vittime civili, certamente numerose. Venerdì scorso,
era stato varato e sabato approvato il nuovo governo di ampia apertura a Gibuti, dove
temporaneamente siede il parlamento somalo. Il nuovo esecutivo è a sostanziale guida
dei moderati islamici e gode dell’appoggio delle cancellerie occidentali, dell'Onu
e dei Paesi arabi moderati. Il neopremier sta cercando di compattare le istituzioni
somale, costrette ad operare dall’estero o dalle sedi provvisorie, lontano dalla capitale
Mogadiscio. Sulle difficoltà del nuovo governo, Kelsea Brennan Wessels, del nostro
programma in lingua inglese, ha intervistato mons. Giorgio Bertin, amministratore
apostolico di Mogadiscio: R. -
Si spera che i membri dell'esecutivo possano rientrare in Somalia e governare, perchè
in questo momento il terreno è occupato piuttosto da elementi radicali che si oppongono
a qualsiasi dialogo e che probabilmente sono la causa di questo attacco alle forze
dell’Amisom e di questi morti. È un tentativo per far deragliare questo processo,
che ha delle buone probabilità politiche di andare avanti.
D. - Quali sono
i motivi del suo ottimismo sul futuro delle istituzioni della Somalia?
R.
- In passato, i governi che avevano provato - governi fatti sempre all’estero - non
erano riusciti, perchè l’opposizione cosiddetta islamica era compatta. In questo momento,
è composta da due rami diversi: un ramo è a favore del nuovo presidente, che in precedenza
era lui stesso islamista, l’altro rimane radicalmente opposto. Quindi, dal punto di
vista politico, ho l’impressione che abbia una forte possibilità di riuscire laddove
i suoi predecessori non sono riusciti. Rimane, però, cruciale questo aspetto: riuscirà
questo governo, che si sta formando qui a Gibuti, a impiantarsi in Somalia, in particolare
a Mogadiscio, e a incominciare a ricostruire lo Stato. Rimane questa domanda. E in
me rimane un poco questa speranza, che forse sia la volta buona.