Il teologo Bux sull’Angelus del Papa: il primato di Pietro è al servizio dell’unità
e della varietà della Chiesa
Accompagnatemi “con le vostre preghiere, perché possa compiere fedelmente l’alto compito
che la Provvidenza divina mi ha affidato quale Successore dell’apostolo Pietro”: all’Angelus
di ieri, Benedetto XVI si è rivolto con queste parole ai fedeli. Un’invocazione significativa
nella Festa della Cattedra di San Pietro, ricorrenza che ha offerto al Papa l’occasione
per riflettere sul valore e l’attualità del primato del vescovo di Roma. Sul ruolo
primaziale della Chiesa di Roma, il Pontefice ha citato Sant’Ignazio di Antiochia
e Sant’Ireneo di Lione ma anche il Concilio Vaticano II. Su questa peculiarità del
ministero petrino, Alessandro Gisotti ha intervistato il teologo don Nicola
Bux, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede:
R. – Siccome
da parte di molti si invoca la fedeltà al Concilio e si è sempre preoccupati che non
venga dimenticato, non cada nell’oblio, giustamente il Santo Padre ha ricordato all’Angelus
la Costituzione Lumen Gentium. Ha menzionato il brano preciso della Lumen Gentium,
che dice appunto che nella comunione ecclesiastica vi sono legittimamente le Chiese
particolari che godono di proprie tradizioni, rimanendo integro il primato della Cattedra
di Pietro, ovvero la presidenza, la comunione universale della carità e la tutela
delle varietà legittime. Pensiamo un attimo se Francesco d’Assisi non avesse trovato
il primato di Pietro: il suo movimento, il suo carisma probabilmente non avrebbe potuto
diffondersi, come invece è avvenuto; sarebbe rimasto chiuso, forse anche soffocato
a livello locale. Ogni particolare nella Chiesa prende forza dall’unità col tutto.
D.
– Obbedienza ed autorità, ma anche carità ed unità, dunque...
R.
– Certamente, non si possono mai scindere queste cose. Il Santo Padre nel discorso,
che ha tenuto qualche giorno fa al Seminario Romano, ha molto insistito sull’importanza
della comunione. Quindi, la comunione consiste nell’appartenenza all’unico corpo,
cioè nel sentirsi ognuno parte dell’altro. Nessuno è autosufficiente, nessun singolo
e nessuna comunità. Questa naturalmente è la legge della carità, è l’attuazione della
carità, dell’amore. Quando non si osserva questa consapevolezza, come ha ricordato
il Santo Padre al Seminario Romano, nascono le polemiche, polemiche che il Papa in
maniera molto precisa ha individuato in una fede che degenera in intellettualismo,
cioè praticamente il dare preminenza alla propria intelligenza delle cose e non invece
al credere che il Corpo di Gesù Cristo, cui appartengo, è più grande di me.
D.
– Parlando ai pellegrini in lingua tedesca, sempre ieri all’Angelus, il Papa ha pregato
San Pietro, affinché turbamenti e tempeste non scuotano la Chiesa...
R.
– San Pietro, nella sua prima Lettera dice: “Adorate Dio nei vostri cuori, però sempre
pronti a rendere ragione della speranza che è in voi” e poi aggiunge “con dolcezza,
rispetto e buona coscienza”. Penso che forse nella Chiesa ci dovrebbe essere più tolleranza
e direi anche dibattito, ma dibattito condotto con questo metodo indicato da San Pietro:
prima di tutto, avere sempre uno sguardo a Dio, quindi adorare Dio al primo posto.
Quando si adora Dio ne viene dentro il cuore un sentimento di mitezza, di umiltà che
ci porta a ragionare con gli altri, ma sempre con dolcezza, rispetto, con buona coscienza.
D.
– Abbassare i toni ed alzare i contenuti...
R. – Credo
proprio di sì. A volte, l’ignoranza dei contenuti, la superficialità, la presunzione
di credere ciascuno di avere tutta la verità in tasca, come si suol dire, non aiuta
la crescita della comunione.