I rischi dell’eugenetica: intervista con mons. Fisichella e il prof. Dallapiccola
L’eugenetica “è un attentato contro l’intera umanità”. E’ una delle affermazioni di
Benedetto XVI che più sono riecheggiate in queste ore sui media di tutto il mondo.
Il Papa è tornato ad affrontare ieri, con i partecipanti alla 15.ma Assemblea della
Pontificia Accademia per la Vita, i vantaggi e i rischi della ricerca genetica, ribadendo
la dignità che spetta a ogni essere umano e stigmatizzando quella deriva delle scienze
biologiche che discrimina la vita sulla base della perfezione genetica. Sui medesimi
aspetti si sono confrontati gli esperti intervenuti al convegno in Vaticano. Fabio
Colagrande ha chiesto al presidente della Pontificia Accademia per la Vita,
l’arcivescovo Rino Fisichella, quali siano state le finalità del Convegno:
“La prima
finalità è stata quella di mostrare gli aspetti positivi che la scienza possiede e
alla quale bisogna dare tanta fiducia, ed è proprio quello della ricerca genetica
nelle sue diverse forme. Un secondo obiettivo è stato quello di verificare concretamente
là dove c’è una degenerazione di questa ricerca ed in qualche modo di fermare - per
quanto ci è possibile - il rischio reale di diventare eugenetica. Il terzo obiettivo,
che mi sembra probabilmente il più importante, è quello di ordine antropologico e
culturale: mostrare che la persona, ogni uomo, ogni donna non possono essere mai ridotti
soltanto ad una cellula e non possono essere mai ridotti soltanto ad una dimensione
somatica. L’uomo è molto di più, l’uomo è anche spirito e solo nell’unità di corpo
e spirito si riesce realmente a comprendere la sua progettualità, la sua uguaglianza
e la sua dignità”. Sul rischio della “deriva genetica” paventato
in questi giorni al Convegno in Vaticano si sofferma, sempre al microfono di Fabio
Colagrande, il prof. Bruno Dallapiccola, docente di Genetica all’Università
“La Sapienza” di Roma: R.
– Io ho fatto una previsione anche tempo fa, che nell’immediato futuro della medicina
– e quando dico immediato, parliamo di una previsione a 4-5 anni – trasformerà per
forza una parte dei medici in quello che qualcuno chiama “il genomicista”. In poche
parole, il medico sarà chiamato ad interpretare i risultati che emergono dall’analisi
genomica: emergeranno, da quell’analisi, tutte le magagne che noi abbiamo dal genoma,
noi abbiamo tutti un genoma imperfetto. E siccome tutti abbiamo un genoma imperfetto,
è chiaro che la persona sarà messa di fronte a delle realtà che non conosce. Allora
io dico che tutto quello che può essere fatto, a livello di diagnostica, ha un senso
se da questo segue un’informazione che è utile ai fini della gestione del problema,
ma se questo sarà fatto soltanto per l’obiettivo di essere descrittivo, di come magari
è fatto il genoma, non si avrà quest’effetto di tipo preventivo, ma sarà un effetto
terroristico. Quindi, il medico diventerà un genomicista che deve provare ad interpretare,
ma sicuramente il cittadino che riceve un’informazione che forse capisce male - perché
è difficile differenziare il concetto di suscettibilità o di predisposizione dal concetto
di rapporto causa-effetto - allora il cittadino rischia di diventare un malato immaginario,
una persona infelice che passa il suo tempo a fare dei controlli sanitari. Insomma,
sarà un cittadino terrorizzato: cioè, chiaramente qualcuno ha paura che le pressioni
commerciali e questa mania di utilizzare in maniera indiscriminata queste tecnologie
possano fare del cittadino del futuro una persona infelice piuttosto che una persona
felice. In realtà con i progressi della genetica potrebbe essere resa più felice. D.
– Questo perché, Lei ci sta spiegando, per dirlo in parole povere, che la suscettibilità,
una certa patologia, non significa al 100% che la persona che ha queste informazioni
nel suo genoma poi si ammalerà di quella malattia… R. – Esattamente.
Quello che Lei dice è perfettamente corretto e si può sintetizzare il problema dicendo:
siamo tutti suscettibili nei confronti di molte malattie complesse. Quindi, siamo
tutti imperfetti, e se ci facciamo queste analisi avremo tutti delle pessime sorprese;
non serve fare queste analisi per quello che ne conosciamo oggi e per le conoscenze
che abbiamo oggi dei rapporti tra queste suscettibilità e le malattie complesse. Qualora
io scoprissi di avere una suscettibilità, che so, a sviluppare una malattia neurodegenerativa,
oggi non posso consigliarmi niente di utile per impedire che quella suscettibilità,
fra 50 anni, fra 30 anni, fra 20 anni diventi una realtà.