2009-02-20 15:32:16

Presto in Italia le due suore rilasciate in Somalia. Intervista con il ministro Frattini


Rientreranno presto in Italia suor Caterina Giraudo e suor Maria Teresa Oliviero, le due religiose del Movimento contemplativo missionario “Charles de Foucauld” di Cuneo, liberate in Somalia dopo oltre tre mesi di sequestro. Il rapimento è avvenuto per mano di un gruppo armato che opera nel sud del Paese del Corno d’Africa, al confine con il Kenya, in una regione dove si annidano numerosi movimenti estremisti antigovernativi. La positiva conclusione della vicenda non deve, dunque, far abbassare la guardia sull’esigenza, da parte della comunità internazionale, di riportare la pace in un Paese, in guerra da quasi 20 anni, dove è necessario ricostruire un tessuto sociale e politico più stabile. Ma che cosa è oggi la Somalia? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Enrico Casale, esperto di Africa della rivista “Popoli”:RealAudioMP3

R. – E’ uno Stato in cui domina la più totale anarchia. Intanto non è più uno Stato ma sono di fatto tre Stati. A nord c’è il Somaliland, che è la regione che confina con Gibuti e con l’Etiopia e che è una regione che oramai si è dichiarata autonoma da tempo ed è relativamente stabile sia dal punto di vista politico che da quello sociale. Poi c’è il Puntland che è una regione che confina con il Somaliland, l’Etiopia e la Somalia meridionale, che non è un vero e proprio Stato autonomo ma è una regione autonoma anche questa abbastanza stabile, però in conflitto con il Somaliland per alcune regioni contese. Infine, c’è quella che era l’ex-Somalia italiana, che è la parte meridionale della Somalia nella quale vige un regime di assoluta anarchia. Recentemente dopo la caduta del regime delle corti islamiche nel 2006 è stato instaurato un regime sostenuto prima dagli etiopi che poi si sono ritirati circa un mese fa ma soprattutto dagli Stati Uniti. A questo regime si contrappongono le corti islamiche che si sono ricostruite e stanno portando un attacco proprio al governo di transizione nazionale. Questi “shebab”, così li chiamano, sono una sorta di talebani e controllano le regioni del sud della Somalia, proprio quelle regioni in cui sono state rapite le due suore italiane.

 
D. – E’ possibile identificare quanti e quali gruppi come quelli che hanno rapito le due religiose italiane, operano in questa zona e quali sono i loro obiettivi?
 
R. – Quantificarli non è possibile. L’obiettivo è prendere il potere su Mogadiscio. Infatti, continuano a contrastare il governo di Mogadiscio, anche con attentati e colpi di mano. La speranza è il fatto che recentemente è stato eletto il presidente Sheikh Aweis. Questo presidente era l’esponente più moderato delle corti islamiche. Secondo me può essere in grado di ricucire i rapporti tra governo di transizione nazionale e gli esponenti della parte più intransigente di quelle che erano le corti islamiche.

 
D. – Nell’ottica di quello che è l’obiettivo di questi gruppi qual è l’utilità di effettuare dei sequestri come quello delle due religiose?

 
R. - Ci sono più motivi per cui compiono questi atti. Uno può essere quello di attirare l’attenzione sul loro movimento e secondo può essere la volontà di ottenere dei mezzi, dei finanziamenti attraverso i riscatti. Non è il caso specifico delle due sorelle italiane rilasciate ieri, però questi rapimenti possono essere uno strumento di autofinanziamento. Teniamo presente che questi “shebab” controllano anche l’economia e i traffici delle zone meridionali della Somalia dalle quali traggono parecchi fondi per le loro attività, per l’acquisto delle armi per il mantenimento di questi miliziani.

 
E sulla liberazione delle due religiose, Luca Collodi ha intervistato il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini che ai nostri microfoni esprime tutta la sua soddisfazione per l’esito positivo della vicenda:RealAudioMP3

R. – Credo che fosse indispensabile seguire questo caso con pazienza, con discrezione, senza clamori che potevano mettere addirittura a rischio la vita delle nostre due suore e, quindi, abbiamo lavorato con un silenzio stampa che è stato accompagnato da una collaborazione internazionale: il Kenya ci ha fortemente aiutato, le autorità somale hanno lavorato, e così la nostra intelligence. Tutto questo credo che abbia pagato e la grande soddisfazione è di avere dato serenità, lo abbiamo sentito, a queste suore che hanno fatto tanto bene per gli altri e che hanno detto di aver avuto paura ma non hanno mai perso la speranza.

 
D. - Come si è arrivati alla liberazione di suor Caterina e di suor Maria Teresa?

 
R. – C’è stata sostanzialmente una pressione forte sul gruppo dei sequestratori che era un gruppo molto numeroso, molto agguerrito. Si trattava di molte decine di persone. Le autorità che hanno lavorato hanno fatto comprendere a queste persone che non avevano scampo, che erano seguiti, che si sapeva dove erano. C’è stata una sorta di pressione concentrica che alla fine, senza pagamenti, senza blitz, senza violenza, ha finalmente indotto queste persone a liberare le suore. Forse un appello alla loro coscienza, che magari hanno anche loro, di liberare persone che avevano fatto del bene al loro stesso popolo, perché queste suore lavoravano esattamente nella regione da cui provenivano i rapitori.







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