Presto in Italia le due suore rilasciate in Somalia. Intervista con il ministro Frattini
Rientreranno presto in Italia suor Caterina Giraudo e suor Maria Teresa Oliviero,
le due religiose del Movimento contemplativo missionario “Charles de Foucauld” di
Cuneo, liberate in Somalia dopo oltre tre mesi di sequestro. Il rapimento è avvenuto
per mano di un gruppo armato che opera nel sud del Paese del Corno d’Africa, al confine
con il Kenya, in una regione dove si annidano numerosi movimenti estremisti antigovernativi.
La positiva conclusione della vicenda non deve, dunque, far abbassare la guardia sull’esigenza,
da parte della comunità internazionale, di riportare la pace in un Paese, in guerra
da quasi 20 anni, dove è necessario ricostruire un tessuto sociale e politico più
stabile. Ma che cosa è oggi la Somalia? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad
Enrico Casale, esperto di Africa della rivista “Popoli”:
R. – E’ uno
Stato in cui domina la più totale anarchia. Intanto non è più uno Stato ma sono di
fatto tre Stati. A nord c’è il Somaliland, che è la regione che confina con Gibuti
e con l’Etiopia e che è una regione che oramai si è dichiarata autonoma da tempo ed
è relativamente stabile sia dal punto di vista politico che da quello sociale. Poi
c’è il Puntland che è una regione che confina con il Somaliland, l’Etiopia e la Somalia
meridionale, che non è un vero e proprio Stato autonomo ma è una regione autonoma
anche questa abbastanza stabile, però in conflitto con il Somaliland per alcune regioni
contese. Infine, c’è quella che era l’ex-Somalia italiana, che è la parte meridionale
della Somalia nella quale vige un regime di assoluta anarchia. Recentemente dopo la
caduta del regime delle corti islamiche nel 2006 è stato instaurato un regime sostenuto
prima dagli etiopi che poi si sono ritirati circa un mese fa ma soprattutto dagli
Stati Uniti. A questo regime si contrappongono le corti islamiche che si sono ricostruite
e stanno portando un attacco proprio al governo di transizione nazionale. Questi “shebab”,
così li chiamano, sono una sorta di talebani e controllano le regioni del sud della
Somalia, proprio quelle regioni in cui sono state rapite le due suore italiane.
D.
– E’ possibile identificare quanti e quali gruppi come quelli che hanno rapito le
due religiose italiane, operano in questa zona e quali sono i loro obiettivi? R.
– Quantificarli non è possibile. L’obiettivo è prendere il potere su Mogadiscio. Infatti,
continuano a contrastare il governo di Mogadiscio, anche con attentati e colpi di
mano. La speranza è il fatto che recentemente è stato eletto il presidente Sheikh
Aweis. Questo presidente era l’esponente più moderato delle corti islamiche. Secondo
me può essere in grado di ricucire i rapporti tra governo di transizione nazionale
e gli esponenti della parte più intransigente di quelle che erano le corti islamiche.
D. – Nell’ottica di quello che è l’obiettivo di
questi gruppi qual è l’utilità di effettuare dei sequestri come quello delle due religiose?
R.
- Ci sono più motivi per cui compiono questi atti. Uno può essere quello di attirare
l’attenzione sul loro movimento e secondo può essere la volontà di ottenere dei mezzi,
dei finanziamenti attraverso i riscatti. Non è il caso specifico delle due sorelle
italiane rilasciate ieri, però questi rapimenti possono essere uno strumento di autofinanziamento.
Teniamo presente che questi “shebab” controllano anche l’economia e i traffici delle
zone meridionali della Somalia dalle quali traggono parecchi fondi per le loro attività,
per l’acquisto delle armi per il mantenimento di questi miliziani.
E
sulla liberazione delle due religiose, Luca Collodi ha intervistato il ministro
degli Esteri italiano, Franco Frattini che ai nostri microfoni esprime tutta
la sua soddisfazione per l’esito positivo della vicenda:
R. – Credo
che fosse indispensabile seguire questo caso con pazienza, con discrezione, senza
clamori che potevano mettere addirittura a rischio la vita delle nostre due suore
e, quindi, abbiamo lavorato con un silenzio stampa che è stato accompagnato da una
collaborazione internazionale: il Kenya ci ha fortemente aiutato, le autorità somale
hanno lavorato, e così la nostra intelligence. Tutto questo credo che abbia pagato
e la grande soddisfazione è di avere dato serenità, lo abbiamo sentito, a queste suore
che hanno fatto tanto bene per gli altri e che hanno detto di aver avuto paura ma
non hanno mai perso la speranza.
D. - Come si è arrivati
alla liberazione di suor Caterina e di suor Maria Teresa?
R.
– C’è stata sostanzialmente una pressione forte sul gruppo dei sequestratori che era
un gruppo molto numeroso, molto agguerrito. Si trattava di molte decine di persone.
Le autorità che hanno lavorato hanno fatto comprendere a queste persone che non avevano
scampo, che erano seguiti, che si sapeva dove erano. C’è stata una sorta di pressione
concentrica che alla fine, senza pagamenti, senza blitz, senza violenza, ha finalmente
indotto queste persone a liberare le suore. Forse un appello alla loro coscienza,
che magari hanno anche loro, di liberare persone che avevano fatto del bene al loro
stesso popolo, perché queste suore lavoravano esattamente nella regione da cui provenivano
i rapitori.