Social Watch: affrontare la crisi economica rispettando i diritti umani
La risposta alla crisi globale sta nel ripartire dai diritti umani. Questo l’appello
lanciato dal tredicesimo rapporto della rete di organizzazioni mondiali della società
civile Social Watch, presentato oggi a Roma. In base ai dati, sono troppo lenti i
progressi nella lotta alla povertà,. Si rischia di fallire gli obiettivi del millennio
fissati per il 2015. Nessun passo avanti, poi, nel cammino verso la parità uomo donna
per oltre la metà delle donne del mondo. Critiche dal rapporto anche alle forme di
misurazione della qualità della vita usate finora. Al microfono di Linda Giannattasio
sentiamo Jason Nardi, coordinatore della coalizione italiana Social Watch:
R. – Il rapporto
Social Watch presenta un quadro della situazione ogni anno, rispetto agli impegni
già presi dai governi; quindi non nuove richieste, ma impegni già presi dai governi
nei vari summit delle Nazioni Unite. In particolare sulla lotta alla povertà, lo sviluppo
sociale e la parità di genere. Ma poi abbraccia un po’ tutti i campi di sviluppo
economico, sociale e culturale. Quello che evidenziamo è che gli indicatori che vengono
maggiormente usati oggi non solo non sono sufficienti, ma danno anche un quadro diverso,
distorcente della realtà; se usiamo il Pil per misurare lo sviluppo, la crescita ed
il benessere di un Paese, abbiamo una visione distorta. Tant’è vero che non è stato
possibile intravedere l’arrivo della crisi finanziaria solo guardando agli indici
di crescita economica del Paese. Tra l’altro, questi non corrispondono ad una reale
crescita del benessere dei cittadini.
D. – Come si
misura, quindi, la qualità della vita delle persone, come la misura il rapporto, e
quali sono i risultati più importanti che emergono?
R.
– Si misura partendo dal loro accesso ai servizi essenziali, da quanto i loro diritti
fondamentali sono rispettati, dal fatto che ci sia educazione universale per tutti,
che ci sia una casa a disposizione di tutta la popolazione. E' importante che l’accesso
al servizio sanitario non sia negato perché non si ha un reddito sufficiente, e così
via. Allora, misurando ognuno di questi indicatori, si arriva ad avere un quadro che
ci dice che, negli ultimi 20 anni, si è avuto non tanto un progresso – come ci fa
sembrare la crescita economica di molti Paesi emergenti - ma in molti casi una crescita
in negativo, perché le sacche di povertà sono aumentate. Abbiamo nuovi poveri. Magari
poveri che lavorano anche, ma sono “working poor”, cioè sono una fascia che non arriva
a fine mese. Questo è un problema che non riguarda ovviamente solo l’Italia ma il
mondo intero.
D. – La coalizione italiana si propone,
quest’anno, l’obiettivo di ripartire dai diritti umani…
R.
– Ripartire dai diritti umani significa esattamente questo: che gli investimenti pubblici,
le politiche che si fanno non devono andare a riempire nuovamente un buco senza fine
di politiche finanziarie e di speculazioni. Non basta mettere una toppa ad un sistema
che ha falle da tutte le parti; bisogna ripartire dal garantire ai cittadini i loro
diritti essenziali, e questo investendo i denari pubblici ed attirando investimenti
proprio su quei settori che sono meno coperti. Perché si riescono a trovare improvvisamente
mille miliardi di dollari per coprire i cattivi investimenti in tutto il mondo e non
si riescono a trovare 100 miliardi per gli obiettivi di sviluppo del millennio?