La Corte Suprema indiana favorevole all'aborto dopo le 20 settimane
La Corte Suprema ha ammesso sabato scorso la petizione dei coniugi Niketa e Haresh
Mehta e del loro ginecologo dottor Nikhil D. Datar che chiedono sia consentito abortire
anche dopo le 20 settimane di gravidanza, se il feto presenta anormalità. Lo scorso
agosto la coppia ha chiesto all’Alta Corte di Mumbai di poter abortire il loro primo
figlio, alla 24.ma settimana di gravidanza, perché il medico gli ha riscontrato problemi
cardiaci e ha diagnosticato il rischio di dover avere un peacemaker dopo la nascita.
Il 4 agosto 2008 l’Alta Corte ha respinto la richiesta, perché gli esperti medici
non hanno espresso “un’opinione certa che dopo la nascita il bambino soffrirebbe di
serie menomazioni”. La Corte ha precisato che non avrebbe permesso l’aborto anche
se anteriore alle 20 settimane, perché l’opinione medica era contraria. Poco tempo
dopo la donna ha avuto un aborto spontaneo. In quasi tutta l’India una legge del 1971
consente l’aborto dopo le 20 settimane solo se c’è pericolo di vita per la madre.
La legge vuole impedire i diffusi feticidi di femmine. Mons. Agnelo Gracias, vescovo
ausiliare di Mumbai e presidente della Commissione per la Famiglia della Conferenza
episcopale cattolica indiana, aveva chiesto pubblicamente alla coppia di non abortire
il figlio, dicendo loro che anche se fosse stato invalido e non avessero voluto tenerlo,
sarebbe stato accolto dalle suore di Madre Teresa o da una coppia adottiva. Ad AsiaNews
il presule osserva che “ogni azione contro la vita umana, specie contro la vita non
ancora nata, ha conseguenze negative per l’intera società. Indebolisce la nostra attenzione
alla vita umana. Oggi - ha detto - abbiamo di fronte una cultura di morte, alla quale
dobbiamo opporci”. (R.P.)