La guerra in Sri Lanka: il nunzio nei campi profughi
Prosegue nello Sri Lanka la massiccia offensiva dell’esercito contro i ribelli separatisti
delle Tigri Tamil. Il conflitto ha provocato nel nord est del Paese una drammatica
emergenza umanitaria. Sono circa 200 mila i civili ancora intrappolati nella zona
degli scontri. I bombardamenti indiscriminati hanno provocato migliaia di vittime
e non hanno risparmiato neppure gli ospedali. L’ultimo è stato colpito ieri sera,
come denunciato dalla Croce Rossa Internazionale. L'esercito governativo ha tuttavia
negato un proprio coinvolgimento nella morte di 16 pazienti della struttura sanitaria.
Sulla situazione nel Paese asiatico Stefano Leszczynski ha intervistato il
nunzio a Colombo, mons. Mario Zenari:
R. – Sembra
che questo conflitto sia alla fine. Ma i combattimenti stanno terminando in una maniera
molto intensa e crudele, soprattutto per la povera gente che è intrappolata tra due
fuochi. Ancora questa mattina tre religiose, tra una trentina che lavorano in questo
piccolo fazzoletto di terra, sono state ferite. Grazie a Dio le loro condizioni non
sono gravi. Sono state trasportate via mare a Trinkomali. In questa zona abbiamo ancora
circa 24 sacerdoti che si trovano con le loro comunità, intrappolati in questa area
…
D. – Lei ha avuto la possibilità di intervenire
presso le autorità per chiedere una maggiore libertà di movimento delle organizzazioni
ecclesiali?
R. – La comunità internazionale deve
far pressione sui ribelli perché almeno lascino partire la popolazione intrappolata
tra i due fuochi. Finora, sono circa 35 mila coloro che si sono rifugiati. In questi
ultimi giorni, nella zona controllata dal governo, il flusso sembra che sia abbastanza
continuo. Io ho avuto l’occasione, domenica scorsa, di visitare con il vescovo due
campi di accoglienza dove trovano posto queste persone: in genere si tratta di povere
famiglie, di pescatori che sono riusciti a scappare da queste zone di combattimento.
Persone che hanno potuto raggiungere le aree governative.
D.
– In quale direzione dovrà muoversi la riconciliazione in futuro?
R.
– E’ un compito abbastanza grande perché si tratta di sanare le ferite di 25 anni
di guerra. E' stato un conflitto a volte molto crudele, come in questi ultimi giorni.
Anche la Chiesa ha determinate possibilità. E' anche una sfida per la Chiesa in Sri
Lanka, perché è l’istituzione che raduna le due principali etnie, l’etnia cingalese
e quella tamil. Quindi la Chiesa ha la possibilità di porre in queste piaghe, in queste
ferite del conflitto interetnico, un 'antivirus' al virus della ingiustizia, della
violenza … Questa è la sfida che la Chiesa si trova di fronte. E’ un lavoro non facile
ma tutti i leader religiosi e tutta la società civile devono rimboccarsi le maniche,
una volta che sarà terminato il conflitto. Non ci si può illudere che con una vittoria
militare sia 'vinto' il conflitto: bisogna andare alle radici di questo conflitto.
Sono radici profonde che si devono risolvere, soprattutto, con coraggiose scelte politiche.