2009-02-10 15:40:00

Aperta in Colombia la plenaria della Conferenza episcopale


“Il nostro dovere è illuminare con la luce del Vangelo affinché il nostro popolo cristiano possa essere fermento nella trasformazione del mondo ove si registrano cambiamenti rapidi e profondi”. Così, ieri, l’arcivescovo di Barranquilla mons. Rubén Salazar Gómez, presidente della Conferenza episcopale colombiana nella sua relazione di apertura dei lavori della 80.ma Assemblea plenaria che concluderà i suoi lavori venerdì prossimo. Secondo il presule i cattolici in Colombia sono “chiamati ad essere luce e sale, segno e strumento nel focolare, nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nell’intera società”. Durante l’assemblea - ha aggiunto mons. Rubén Salazar Gómez – verranno analizzati “fenomeni di ordine culturale, politico, economico e religioso in cui sono coinvolti i colombiani”. Alla luce della nostra fede - ha aggiunto – “vedremo come la Chiesa, oggi pellegrina in questa nazione, può essere con la massima chiarezza possibile e con forza, strumento dell’amore di Dio”. Riconoscendo che l’attuale realtà della Colombia è molto complessa e delicata, mons. Salazar Gómez ha precisato che verrà compiuto ogni sforzo possibile “per tentare di scoprire i meccanismi interni degli avvenimenti”. Così verranno individuate “le cause, le interdipendenze, i precedenti storici e le proiezioni future”. “Certamente – ha detto il presidente della Conferenza episcopale colombiana - non perderemo mai di vista che lo scopo e fine non è altro che l’essere umano, la persona, che è e sarà sempre il motivo ultimo delle nostre preoccupazioni”. Mons. Rubén Salazar Gómez ha anche ricordato che la Chiesa può dare un importante contributo per aiutare a superare la crisi del Paese, orientando con i suoi valori e principi la ricerca di soluzioni efficaci e adeguate”. Un contributo anche per percorrere “le strade che possono condurci a vivere come una nazione ove ciascuno possa prendere parte alla costruzione di una società più giusta e fraterna, raggiungendo così una pace solida e duratura, basata sulla verità dell’uomo, sulla sua dignità inalienabile e su suoi diritti inderogabili”. Le azioni e le parole della Chiesa - ha osservato il presule - “sono profondamente politiche se ciò si riferisce al bene comune, alla costruzione della cosa pubblica, al conseguimento dell’equità e della giustizia, al consolidamento delle istituzioni democratiche che configurano lo Stato sociale e di diritto”. E “al rinforzamento del dialogo e alla concertazione delle forze di una società tormentata dal conflitto sociale”. L’arcivescovo ha poi precisato che la politica nel suo senso ampio, non partitico e tanto meno ideologico, è una costante aspirazione a realizzare l’essere sociale di ciascuno. E’ dunque una costante tensione per cercare e realizzare nuove “forme di sviluppo capaci di garantire giustizia sociale reale, avvicinamento delle parti in conflitto, superamento di ciò che divide e separa e trovare ciò che unisce e fa diventare tutti veri fratelli”. La comunità ecclesiale non si configura né come partito politico né come organizzazione non-governativa. La Chiesa – ha concluso - sarà sempre “segno e strumento di salvezza”. (A cura di Lui Badilla)







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