Italia: il Senato esamina il ddl Englaro. Stazionarie le condizioni di Eluana
Al via al Senato l’esame del disegno di legge che vieta la sospensione di nutrizione
e idratazione, un provvedimento legato alla vicenda di Eluana Englaro. Previsto per
mercoledì mattina alla Camera il voto finale a scrutinio segreto. Le forze politiche
prendono posizione, mentre il mondo cattolico si mobilita: manifestazioni presso la
clinica di Udine e a Roma in piazza davanti Palazzo Madama iniziativa del Forum delle
famiglie per dare sostegno al ddl. Il servizio di Giampiero Guadagni:
E sono molti
i parlamentari che hanno deciso di votare sì al ddl per Eluana Englaro. Alessandro
Guarasci ha sentito alcuni di loro: Domenico Di Virgilio del Pdl, Giuseppe
Fioroni del Pd e Luca Volonte’ dell’Udc:
“In queste
ore la nostra preoccupazione rispettosa e la nostra preghiera vanno ad Eluana e a
quello che sta vivendo”. Così mons. Mariano Crociata, segretario generale della
Cei, a margine dell’incontro con gli studenti dell’Università cattolica di Milano
svoltosi stamani sul tema “Fede, cultura, culture”. A loro mons. Crociata ha rivolto
l’esortazione a compiere sempre ogni sforzo possibile per salvaguardare la vita umana.
Ascoltiamo le sue parole al microfono di Fabio Brenna:
Per una riflessione
sugli aspetti etico-giuridici della vicenda, Alessandro Gisotti ha intervistato
il prof. Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani: R.
- In assenza di soluzioni di mediazione che si sono tentate, ma sono fallite, ritengo
corretto arrivare ad una soluzione che il governo - con la sua responsabilità politica
- propone al parlamento, e che il parlamento sarà chiamato a ratificare o a non ratificare.
D.
- Il protocollo che sta conducendo Eluana Englaro alla morte ha avuto il via libera
attraverso una sentenza. In presenza di questo vuoto legislativo, quali rischi si
corrono?
R. - Intanto, come giurista, ritengo che
non esistesse in Italia un vuoto legislativo. Il fatto che il nostro ordinamento non
prevedesse il testamento biologico non significa che nel nostro ordinamento ci fosse
un vuoto. Significa piuttosto che il testamento biologico non aveva riconoscimento
legale. Quello che ha fatto la Cassazione è stato - attraverso dei veri e propri equilibrismi
argomentativi ed interpretativi - introdurre, nel nostro ordinamento, un testamento
biologico orale, perché di questo essenzialmente si tratta. In questa situazione,
di totale lacerazione, soltanto la legge - a questo punto - può portare chiarezza
e mettere dei punti fermi.
D. - Questo l’aspetto
giuridico. Poi c’è l’aspetto, se vogliamo, culturale: in questi giorni leggiamo che
si moltiplicano gli appelli su You Tube di chi rifiuta eventuali cure mediche. Lo
spirito dei tempi sembra quasi portare ad un testamento biologico “fai da te”…
R.
- Dal punto di vista culturale, è chiarissimo che c’è una forte pressione per banalizzare
l’eutanasia e per legalizzarla. Molti di coloro che chiedono che vengano riconosciute
le loro volontà di sospensione dell’alimentazione, lo fanno partendo da atteggiamenti
propriamente ideologici e - in generale - nella più totale mancanza di consapevolezza
di quanto intricate, dolorose siano queste situazioni di fine vita. Bisognerebbe prima,
con molta umiltà, entrare nello specifico delle situazioni di fine vita. E si capirebbe
che sono tutte situazioni l’una diversa dall’altra, e che nessuna di esse trova giovamento
ad essere affrontata attraverso slogan.
D. - In questa
vicenda, peraltro - come sempre più spesso accade quando si tratta di valori – da
più parti si è criticata la Chiesa d’interferenza. Cosa ne pensa?
R.
- La battaglia contro l’eutanasia è sicuramente patrimonio dell’insegnamento della
Chiesa, ma è altrettanto - sicuramente - patrimonio dell’intera umanità. Lo dimostra
il fatto che, ordinariamente, tranne poche eccezioni, nessun Paese al mondo - cristiano,
islamico, buddista, scintoista, comunista, laico - ha mai, fino ad oggi, formalmente
riconosciuto l’eutanasia. Il no all’eutanasia è un no che ha profonde motivazioni
laiche, di carattere antropologico. A queste motivazioni si aggiungono, con tutto
il loro peso, le motivazioni dottrinali e spirituali della Chiesa.
Intanto,
il padre di Terri Schiavo, la donna americana la cui vicenda ricorda quella di Eluana,
ha scritto una lettera a Beppino Englaro. “I sostenitori dell’eutanasia - afferma
Bob Schindler - le diranno che far morire di fame e di sete una persona con danni
cerebrali non causa dolore. Sono stato testimone di questo tipo di esecuzione e posso
dire che è falso”. E conclude: sua figlia è ancora viva, la mia non più. Lei ha ancora
il controllo sul futuro di Eluana”. In questi giorni, in cui è particolarmente accesso
il dibattito nella società italiana sulla vicenda, da alcuni ambienti si è accusata
la Chiesa di voler imporre i suoi valori e la si è invitata a tacere. Una richiesta
irricevibile come sottolinea, al microfono di Alessandro Gisotti, il vescovo
di San Marino-Montefeltro, mons. Luigi Negri:
R. - La Chiesa,
se rinunciasse alla Parola, alla responsabilità di dire la verità - come diceva Giovanni
Paolo II nella Novo Millennio Ineunte: “Il primo modo di amare gli uomini è dire la
verità” - vorrebbe dire che più profondamente ha rinunciato, o meglio ha tradito,
la sua identità. Questo è un diritto fondamentale, ma è anche la strada per un contributo
significativo alla vita sociale. Nel nostro Paese si sta compiendo un omicidio freddo
su una persona certamente viva, su una persona che non ha nessuna possibilità di difesa,
a cui si toglie l’acqua e l’alimentazione ma, nel contempo, la si seda perché non
soffra dopo aver detto impunemente, fino all’altro giorno, che da 17 anni non soffre
più. Togliere alla Chiesa il diritto di intervenire vuol dire affermare l’egemonia
assoluta ed indiscutibile di chi, al momento, è alla guida della società.
D.
- Non sarà anche che, in un tempo segnato dal relativismo, la Chiesa ancora parla
di valori non negoziabili, di verità e quindi, per questo, viene mal sopportata?
R.
- Viene mal sopportata perché ribadisce il valore della verità come esigenza fondamentale
del cuore umano e, quindi, come libertà per ciascuno di percorrere il proprio itinerario
verso la verità. E arrivata a questa verità, qualunque essa sia, l’inderogabile responsabilità
di esserne portatore nella società. Nel 1983, nella Dives in misericordia, Giovanni
Paolo II disse che il pericolo che incombeva sull’umanità non era quello dell’olocausto
nucleare, ma della perdita della libertà di coscienza dei singoli, dei popoli, delle
nazioni, ottenuta attraverso l’uso spregiudicato dei mezzi della comunicazione sociale.
D.
- In che modo, in un clima come quello che stiamo vivendo, la Chiesa può rendere ragione
della propria speranza, vincendo chiusure e pregiudizi?
R.
- Affermando che la verità corrisponde in profondità all’esigenza del cuore dell’uomo
e, quindi, è offerta alla libertà di ogni uomo: non è imposta, ma non può essere neanche
negata. Noi questa verità che proclamiamo, la testimoniamo nella vita di fede, di
carità. Si pensi a tutte quelle enormi testimonianze di carità di cui abbiamo potuto
prendere coscienza in questa vicenda terribile di Eluana Englaro. La nostra è una
verità che si fa nella carità. Io credo che, nel mondo di oggi, debba essere testimoniata
la verità nella tranquilla e quotidiana esperienza della carità. Poi, sono la verità
e la carità che trovano l’accesso nel cuore dell’uomo, rientrano e diventano una proposta
di vita nuova ed alternativa.