Il cardinale Cordes racconta il suo recente viaggio nelle Filippine, all'insegna del
magistero della carità
E’ rientrato in Vaticano, dopo una visita di sei giorni nelle Filippine, il cardinale
Paul Joseph Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, il dicastero
della Santa Sede che coordina le iniziative caritative e sociali che fioriscono all’interno
della Chiesa universale e che promuove una “catechesi della carità”. Il cardinale
Cordes è stato invitato dalla Conferenza episcopale filippina per riaffermare, in
campo caritativo, le linee portanti dell’enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas
est. A Manila, il porporato ha incontrato i direttori ed i volontari della Caritas
ed ha tenuto una conferenza sulla “paternità” all’Università San Tommaso che, con
i suoi 40 mila studenti, è il più grande ateneo cattolico del mondo e che ha conferito
al cardinale Cordes la laurea honoris causa in teologia. Momento centrale della
sua visita, il colloquio con la presidente delle Filippine, Gloria Macapagal Arroyo.
In proposito, Roberto Piermarini ha chiesto al porportato quale è stato il
contenuto del suo incontro con la signora Arroyo:
R. - Prima
dell’incontro presidenziale, ho incontrato i responsabili della Caritas di Manila
i quali mi hanno accompagnato in una baraccopoli che mi ha molto impressionante. Ho
visto la miseria di tanti bambini, donne, uomini… sono entrato nelle loro case, costruite
in mezzo al fango. E’ un quartiere di 800 famiglie e così ho potuto affrontare con
la presidente la questione della povertà delle Filippine. C’è sempre il rischio che
ci si abitui a questa realtà, a questa gente povera: perciò ho voluto sollecitare
la presidente a interessarsi ancora di più alla povertà nel suo Paese. Devo dire che
lei ha risposto molto bene e mi ha illustrato tutto quello che sta facendo il suo
governo. Naturalmente, ho dovuto accettare anche il fatto che questa povertà non si
può superare dall’oggi al domani, ma ho voluto sottolineare che la Chiesa ha il dovere
di combattere la povertà: la Chiesa vuole anche mostrare con le sue azioni la bontà
di Dio, soprattutto di fronte ai poveri. La presidente ha accolto molto bene queste
osservazioni. Inoltre, ho fatto anche i complimenti alla signora Arroyo, perché il
governo delle Filippine e uno dei pochi che, a livello internazionale, protegge la
vita dal concepimento e fino alla fine naturale. Spesso, nelle conferenze delle Nazioni
Unite il governo delle Filippine contribuisce molto ad appoggiare la posizione della
Santa Sede e quella dei cristiani. Naturalmente, la presidente è stata contenta che
io abbia sostenuto questa posizione delle Filippine, spesso attaccata da altri Paesi.
Ci sono stati anche dei rappresentanti europei, ad esempio, che hanno attaccato la
signora Arroyo e non erano nel loro diritto di farlo, in quanto non erano delegati.
Credo fosse importante, quindi, dire alla signora Arroyo e al suo governo che non
sono soli, ma che stanno facendo una cosa oggi molto necessaria.
D.
- Come è stata accolta dai vescovi Filippini la sua presentazione dell’Enciclica di
Benedetto XVI Deus caritas est?
R. - E’ stato
un incontro veramente fraterno. Ho visto un grande sensibilità e apertura. Certamente,
queste Conferenze episcopali, così lontane da Roma, sono molto contente di vedere
un rappresentante del Santo Padre nel loro Paese, perciò il clima è stato molto aperto
ed anche il dialogo è stato fraterno. Le mie risposte sono state essenziali e mi sono
trovato molto bene con loro. Ho sottolineato, soprattutto, che il responsabile dell’azione
caritativa deve essere il vescovo, come sottolinea il Papa nella sua Enciclica. Il
vescovo porta avanti la missione della Chiesa, deve essere attento agli aspetti attinenti
alla liturgia, anche alle cose inerenti alla proclamazione della Parola, ma la quarta
colonna del messaggio del vescovo e della sua responsabilità è la “diaconia”, che
vuol dire l’opera caritativa. Naturalmente, il vescovo ha bisogno di aiuto ma non
può delegare totalmente ai propri collaboratori questa responsabilità. Deve essere
informato, deve dirigere, deve soprattutto unire l’opera buona all’evangelizzazione.
Su questo aspetto abbiamo parlato molto, perché si dice nella Bibbia che Cristo stesso
lo ha fatto. L’opera buona vuole sempre mostrare la bontà di Dio agli uomini e così
io non posso separare la carità dalla proclamazione della Parola. La carità è quasi
la conferma che questa Parola proclamata nel nome di Gesù ha i suoi effetti. Questo
messaggio è stato accolto molto, molto bene. E penso che ciò sia stato utilissimo
perché, nel pragmatismo che spesso pervade l’opera caritativa, è necessario sottolineare
di nuovo il senso della fede.
D. - Lei ha incontrato
anche i direttori e i volontari della Caritas: come ha trovato questo organismo caritativo
filippino?
R. - Sono rimasto impressionato dalla
loro attività, ma anche da come l’hanno presentata: con il "Power point", con i video,
con la musica, con tante testimonianze. E’ un’informazione non solo di grande impegno,
ma anche molto interessante. Noi della nostra generazione pratichiamo ancora il sistema
delle conferenze, invece loro mostrano le cose, spiegano le tesi con questi nuovi
strumenti della comunicazione. Perciò è stato molto bello l’incontro e anche simpatico,
leggero. E mi è piaciuto molto come hanno presentato il loro lavoro, che è anche molto
diversificato: dai più giovani fino agli anziani fanno tante iniziative per lottare
contro la povertà. Perciò capisco perché nelle Filippine la Chiesa, proprio anche
attraverso le opere caritative, goda di una grande stima.
D.
- Eminenza, lei si è recato anche all’Università cattolica San Tommaso di Manila,
dove ha tenuto una conferenza sulla “paternità”. Perché ha scelto questo tema?
R.
– Forse, è stata un reazione ad una mancanza che esiste nella riflessione sia della
società che della pastorale ecclesiale. Abbiamo parlato molto - grazie a Dio - della
identità della donna. Papa Giovanni Paolo II ha dato un contributo grandissimo al
tema dell’identità della madre, della donna, soprattutto nella sua Enciclica Mulieris
dignitatem. Ma avevamo dimenticato un po’ le figure dell’uomo e del padre, che
hanno subito un cambiamento. Così, ho portato in questa Università una riflessione
su tale tematica, cercando di tirare fuori un’antropologia equilibrata tra uomo e
donna. Abbiamo tanti elementi empirici sull’identità dell’uomo, la psicologia ci dice
molte cose. Abbiamo tanti elementi anche dalla filosofia. Giovanni Paolo II ha fatto
una meditazione bellissima sul ruolo del padre e abbiamo anche degli elementi fantastici
nella Storia della salvezza per identificare l’identità del padre e per dare rilievo
al suo ruolo. Ho parlato anche di San Francesco d’Assisi, che aveva una relazione
difficilissima con suo padre, Pietro Bernardone. Ho parlato anche di Abramo che ha
raccolto l’appello di Dio per sacrificare il figlio. Bernardone non ha accolto la
chiamata di Dio per il figlio, mentre Abramo ha accolto questo appello tanto da renderlo
disposto a sacrificare suo figlio. Tutto questo mi sembra molto importante anche per
la nostra relazione con il Padre della terra e soprattutto con il Padre in cielo.
Gesù Cristo ha tanto, tanto sottolineato che Dio in cielo è nostro Padre ed è molto
difficile avere una relazione personale con questo Padre in cielo se non abbiamo mai
fatto l’esperienza di un padre buono sulla terra. Tutta l’argomentazione antropologica
per me è una base per proclamare la paternità di Dio nel cielo: questo era lo scopo
più profondo. E’ interessante notare che la statistica delle parole nei quattro Vangeli
ci dice che Gesù indica “Dio creatore del cielo e della terra” 160 volte come Padre.
E noi abbiamo un po’ dimenticato che Dio è Padre e mi sembra che questa Conferenza
abbia contribuito a riprendere questa fiducia per poter dire come San Paolo: “Abbà
Padre”.