Si è concluso ieri con l’elezione del libico Muhammar Gheddaffi alla presidenza dell’Unione
Africana il 12mo summit degli Stati membri dell’organizzazione continentale panafricana.
Del tutto disatteso il tema principale del vertice dedicato essenzialmente allo sviluppo
economico ed infrastrutturale del continente. Stefano Leszczynski ha intervistato
Angelo Turco, docente, presso l’Università de L’Aquila, di geografia dello sviluppo
in Africa: R. – E’ vero
che l’Unione Africana è un organismo troppo debole, ma è altrettanto vero che manca
– a questi organismi internazionali panafricani – una cultura dello sviluppo economico.
C’è, piuttosto, un’attenzione ai temi della politica. In realtà, la politica non può
risolvere tutto, l’economia ha le sue regole, i suoi tempi, ma tutto questo fa fatica
a penetrare nelle stanze dei poteri che interpretano e gestiscono l’Unione Africana.
E questo, naturalmente, è tanto più rilevante in un momento di crisi profonda, come
questo, che investe l’Africa in un modo che può diventare anche molto drammatico. D.
– L’elezione del presidente libico Gheddafi cosa significa per il prossimo anno di
gestione dell’Unione Africana? R. – Sicuramente cambia lo spirito
nella conduzione dell’Unione Africana e cambia anche lo stile: tanto quello del presidente
tanzaniano, Jakaya Kikwete, era discreto e il più possibile lontano dai riflettori
della scena internazionale, tanto quello di Gheddafi ci possiamo aspettare sarà molto
mediatizzato. D. – Un aspetto salutato con particolare favore
è stato quello relativo al rafforzamento dell’organismo panafricano e all’intenzione
di andare verso una strada che potrebbe portare alla creazione degli Stati Uniti d’Africa… R.
– E’ un obiettivo necessario per il futuro dell’Africa ed occorre renderlo realistico.
Ci vuole tempo ed occorre lavorare molto adeguatamente per arrivare a delle soluzioni
condivise di tutta una serie di problemi e all’istituzione di organismi che poi siano
in grado di funzionare.