Incentrata sulla forza della vita nella sofferenza l'odierna Giornata per la Vita,
indetta dalla Cei
Oggi, come ha ricordato anche il Papa all'Angelus, si celebra in Italia la 31.ma Giornata
per la Vita, indetta dalla Conferenza episcopale italiana dopo l’introduzione della
legge sull’aborto. Numerosissime le iniziative in tutto il Paese in difesa della vita.
Per questa occasione i vescovi italiani hanno pubblicato un messaggio dal titolo “La
forza della vita nella sofferenza”. Aborto ed eutanasia - affermano - sono false risposte
a situazioni di sofferenza, perché "al dolore non si risponde con altro dolore" ma
con l’aiuto e la vicinanza a chi soffre. Sul senso del tema proposto quest’anno, ascoltiamo
la riflessione del vescovo di Aosta, mons. Giuseppe Anfossi, presidente della
Commissione episcopale per la famiglia e la vita, intervistato da Federico Piana:
R. - E‘ fondamentalmente
riconoscere che la sofferenza fa parte della vita. Ma c’è in noi una forza per sopportarla.
Questo va legato con una difficoltà che è propria della cultura contemporanea che
è quella di 'risparmiare' dolore mentre i ragazzi crescono, mentre gli adolescenti
crescono e di cancellare anche le forme normalissime della sofferenza. Questo significa
che poi quando la sofferenza segna profondamente la vita di una persona malata diviene
davvero difficile condividere, accettare, lasciarsi consolare, aprirsi agli altri.
D. – Fuggire il dolore non è in qualche modo negare
anche la vita stessa, perché la vita è composta anche di dolore?
R.
– Se da un lato il messaggio dei vescovi non afferma mai che il dolore per il dolore
deve essere scelto. Il dolore, come nella vita di Gesù, appartiene ad una esperienza
che non si può cancellare dalla vita. Un'esperienza che Gesù ha affrontato di petto,
con il tradimento, la morte, la sofferenza. Ma guai a dimenticare che l’esito della
vita è la gloria di Dio, la pienezza della vita che si passa attraverso, come Gesù,
una resurrezione. Deve prevalere, dunque, una concezione positiva della vita e della
realtà.
Ed stato il cardinale Zenon Grocholewski,
prefetto della Congregazione per l’ Educazione cattolica, a presiedere ieri sera la
Veglia Universitaria Internazionale presso la Chiesa Centrale dell’ Università Cattolica
di Roma. L’ incontro, che si è svolto proprio in occasione della XXXI Giornata per
la Vita, è stato promosso dagli studenti dell’ Università Cattolica e dalla Segreteria
Nazionale del Movimento per la Vita Italiano. Il servizio di Marina Tomarro.
“La vita
deve essere sempre difesa dal suo concepimento fino al suo naturale spegnimento. Nessuno
deve osare farla terminare prima, nessuna morte non naturale può essere definita dolce.”
Sono risuonate forti le parole del cardinale Zenon Grocholewski, durante la veglia
degli studenti dell’ università cattolica. “La chiesa - ha continuato il cardinale
- è vicina a chi si impegna nella ricerca che, naturalmente, deve essere fatta nel
totale rispetto della dignità dell’ uomo. La vita umana è un bene inviolabile ed è
per questo che non potrà mai essere legittimato l’abbandono delle cure. Ma nemmeno
l’ accanimento terapeutico, quando vengono a mancare reali prospettive di guarigione.”
Durante la veglia si sono susseguite diverse testimonianze di medici e volontari del
movimento per la Vita, che hanno sottolineato l’importanza di trasmettere sempre
un messaggio di speranza ai malati, in modo da aiutare coloro che versano in fin di
vita a giungere serenamente e naturalmente al momento della morte. Questa mattina
presso la chiesa di Santa Maria in Traspontina, i ginecologi delle cliniche universitarie
della capitale si sono riuniti per una celebrazione eucaristica in favore della vita,
presieduta da mons. Lorenzo Leuzzi, direttore dell’ufficio per la Pastorale Universitaria
del Vicariato di Roma, che ha ricordato ai presenti la grande responsabilità affidata
ai ricercatori e agli uomini di scienza, spiegando che il vero stupore non deve essere
di fronte alle tecnologie, ma di fronte alla grandezza della vita umana perché solo
essa è fonte di libertà e di amore.
Per alleviare la
sofferenza ci sono realtà come il Piccolo Cottolengo dove la porta è sempre aperta:
a chi entra – diceva Don Orione - non si domanda il nome, la religione ma solo se
ha un dolore perché “la carità non serra le porte”. Al microfono di Gabriella Ceraso,
sentiamo la testimonianza da Davide Gandini, segretario generale del Piccolo
Cottolengo di Genova:
R. – Il Cottolengo
è proprio la casa di chi ha un dolore: non importa quanto disperato, quanto rifiutato
da tutti. Con questo principio fondante, io sono al tuo fianco per alleviare la tua
sofferenza, ma soprattutto con tutto l’amore di cui la persona ha bisogno.
D.
– Il tema della giornata è la forza della vita nella sofferenza; quanta vita c’è nel
dolore, qual è la vostra testimonianza?
R. – Il miracolo
di cui noi siamo testimoni, è quello di vedere in tanti nostri ospiti l’accettazione
della sofferenza come parte della vita, specialmente quando, grazie alla preghiera,
all’apertura alla grazia, avviene interiormente. Questo spalanca la vita, la rende
capace di farsi servitrice di altra sofferenza che c’è vicino. Noi abbiamo ospiti
che sono da 40 anni al Piccolo Cottolengo – con patologie anche gravi – che hanno
passato la vita intera a servizio di altri ospiti.
D.
– I vescovi ricordano in un punto cruciale del messaggio che c’è chi vorrebbe interrompere
questa sofferenza permanente con l’eutanasia…
R.
– Succede che la sofferenza genera scandalo perché è una cosa brutta, è una cosa da
evitare il più possibile. Il paradosso a cui si arriva – e noi rimaniamo sconcertati
– è: ‘Eliminiamo la sofferenza e, se necessario, eliminiamo il sofferente’. Desta
orrore, tanto più se non è nemmeno la persona stessa in grado di dire cosa desidera;
noi abbiamo persone in gravissima sofferenza, con cui c’è un rapporto fatto di sguardi,
di carezze. C’è un mondo di comunicazione che in dieci minuti non si può cogliere.
L’idea che un atto di pietà, un atto di bene per loro sia la loro eliminazione fisica,
è una risposta non umana.
D. – A questo proposito,
i vescovi sottolineano anche l’importanza di andare avanti con la ricerca, di non
abbandonare le cure, ma neanche di accanirsi dal punto di vista terapeutico; quale
è la strada che voi avete intrapreso, con i vostri ospiti?
R.
– Abbiamo ben chiaro il compito di non lasciare sola la persona nella sofferenza,
servirla nella sua giornata, evitando che questo diventi un impuntarsi a mantenere
– con aspetti tecnologici invasivi – quella vita accesa a tutti i costi. La vita è
di Dio, che la riprende quando vuole.