2009-02-01 15:40:18

Incentrata sulla forza della vita nella sofferenza l'odierna Giornata per la Vita, indetta dalla Cei


Oggi, come ha ricordato anche il Papa all'Angelus, si celebra in Italia la 31.ma Giornata per la Vita, indetta dalla Conferenza episcopale italiana dopo l’introduzione della legge sull’aborto. Numerosissime le iniziative in tutto il Paese in difesa della vita. Per questa occasione i vescovi italiani hanno pubblicato un messaggio dal titolo “La forza della vita nella sofferenza”. Aborto ed eutanasia - affermano - sono false risposte a situazioni di sofferenza, perché "al dolore non si risponde con altro dolore" ma con l’aiuto e la vicinanza a chi soffre. Sul senso del tema proposto quest’anno, ascoltiamo la riflessione del vescovo di Aosta, mons. Giuseppe Anfossi, presidente della Commissione episcopale per la famiglia e la vita, intervistato da Federico Piana: RealAudioMP3

R. - E‘ fondamentalmente riconoscere che la sofferenza fa parte della vita. Ma c’è in noi una forza per sopportarla. Questo va legato con una difficoltà che è propria della cultura contemporanea che è quella di 'risparmiare' dolore mentre i ragazzi crescono, mentre gli adolescenti crescono e di cancellare anche le forme normalissime della sofferenza. Questo significa che poi quando la sofferenza segna profondamente la vita di una persona malata diviene davvero difficile condividere, accettare, lasciarsi consolare, aprirsi agli altri.

 
D. – Fuggire il dolore non è in qualche modo negare anche la vita stessa, perché la vita è composta anche di dolore?

 
R. – Se da un lato il messaggio dei vescovi non afferma mai che il dolore per il dolore deve essere scelto. Il dolore, come nella vita di Gesù, appartiene ad una esperienza che non si può cancellare dalla vita. Un'esperienza che Gesù ha affrontato di petto, con il tradimento, la morte, la sofferenza. Ma guai a dimenticare che l’esito della vita è la gloria di Dio, la pienezza della vita che si passa attraverso, come Gesù, una resurrezione. Deve prevalere, dunque, una concezione positiva della vita e della realtà.

 
Ed stato il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’ Educazione cattolica, a presiedere ieri sera la Veglia Universitaria Internazionale presso la Chiesa Centrale dell’ Università Cattolica di Roma. L’ incontro, che si è svolto proprio in occasione della XXXI Giornata per la Vita, è stato promosso dagli studenti dell’ Università Cattolica e dalla Segreteria Nazionale del Movimento per la Vita Italiano. Il servizio di Marina Tomarro. RealAudioMP3

“La vita deve essere sempre difesa dal suo concepimento fino al suo naturale spegnimento. Nessuno deve osare farla terminare prima, nessuna morte non naturale può essere definita dolce.” Sono risuonate forti le parole del cardinale Zenon Grocholewski, durante la veglia degli studenti dell’ università cattolica. “La chiesa - ha continuato il cardinale - è vicina a chi si impegna nella ricerca che, naturalmente, deve essere fatta nel totale rispetto della dignità dell’ uomo. La vita umana è un bene inviolabile ed è per questo che non potrà mai essere legittimato l’abbandono delle cure. Ma nemmeno l’ accanimento terapeutico, quando vengono a mancare reali prospettive di guarigione.” Durante la veglia si sono susseguite diverse testimonianze di medici e volontari del movimento per la Vita, che hanno sottolineato l’importanza di trasmettere sempre un messaggio di speranza ai malati, in modo da aiutare coloro che versano in fin di vita a giungere serenamente e naturalmente al momento della morte. Questa mattina presso la chiesa di Santa Maria in Traspontina, i ginecologi delle cliniche universitarie della capitale si sono riuniti per una celebrazione eucaristica in favore della vita, presieduta da mons. Lorenzo Leuzzi, direttore dell’ufficio per la Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma, che ha ricordato ai presenti la grande responsabilità affidata ai ricercatori e agli uomini di scienza, spiegando che il vero stupore non deve essere di fronte alle tecnologie, ma di fronte alla grandezza della vita umana perché solo essa è fonte di libertà e di amore.

 
Per alleviare la sofferenza ci sono realtà come il Piccolo Cottolengo dove la porta è sempre aperta: a chi entra – diceva Don Orione - non si domanda il nome, la religione ma solo se ha un dolore perché “la carità non serra le porte”. Al microfono di Gabriella Ceraso, sentiamo la testimonianza da Davide Gandini, segretario generale del Piccolo Cottolengo di Genova:RealAudioMP3

R. – Il Cottolengo è proprio la casa di chi ha un dolore: non importa quanto disperato, quanto rifiutato da tutti. Con questo principio fondante, io sono al tuo fianco per alleviare la tua sofferenza, ma soprattutto con tutto l’amore di cui la persona ha bisogno.

 
D. – Il tema della giornata è la forza della vita nella sofferenza; quanta vita c’è nel dolore, qual è la vostra testimonianza?

 
R. – Il miracolo di cui noi siamo testimoni, è quello di vedere in tanti nostri ospiti l’accettazione della sofferenza come parte della vita, specialmente quando, grazie alla preghiera, all’apertura alla grazia, avviene interiormente. Questo spalanca la vita, la rende capace di farsi servitrice di altra sofferenza che c’è vicino. Noi abbiamo ospiti che sono da 40 anni al Piccolo Cottolengo – con patologie anche gravi – che hanno passato la vita intera a servizio di altri ospiti.

 
D. – I vescovi ricordano in un punto cruciale del messaggio che c’è chi vorrebbe interrompere questa sofferenza permanente con l’eutanasia…

 
R. – Succede che la sofferenza genera scandalo perché è una cosa brutta, è una cosa da evitare il più possibile. Il paradosso a cui si arriva – e noi rimaniamo sconcertati – è: ‘Eliminiamo la sofferenza e, se necessario, eliminiamo il sofferente’. Desta orrore, tanto più se non è nemmeno la persona stessa in grado di dire cosa desidera; noi abbiamo persone in gravissima sofferenza, con cui c’è un rapporto fatto di sguardi, di carezze. C’è un mondo di comunicazione che in dieci minuti non si può cogliere. L’idea che un atto di pietà, un atto di bene per loro sia la loro eliminazione fisica, è una risposta non umana.

 
D. – A questo proposito, i vescovi sottolineano anche l’importanza di andare avanti con la ricerca, di non abbandonare le cure, ma neanche di accanirsi dal punto di vista terapeutico; quale è la strada che voi avete intrapreso, con i vostri ospiti?

 
R. – Abbiamo ben chiaro il compito di non lasciare sola la persona nella sofferenza, servirla nella sua giornata, evitando che questo diventi un impuntarsi a mantenere – con aspetti tecnologici invasivi – quella vita accesa a tutti i costi. La vita è di Dio, che la riprende quando vuole.







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