Intervista con il cardinale Bertone sulla sua recente visita in Messico
Il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, si è recato in Messico
dal 15 al 19 gennaio. In veste di legato papale, il porporato ha presieduto i momenti
salienti del VI Incontro Mondiale delle Famiglie, incontrando anche il mondo della
cultura del Paese e il presidente della Repubblica del Messico, Felipe Calderòn Hinojosa.
Al suo rientro in Vaticano il Segretario di Stato ha rilasciato un’intervista congiunta
alla Radio Vaticana, a L’Osservatore Romano e al Centro Televisivo Vaticano, nella
quale traccia un bilancio della sua visita. L'intervista è di Carlo Di Cicco,
vice-direttore de L'Osservatore Romano e Roberto Piermarini, responsabile dei
Servizi Informativi della nostra emittente:
D. - Eminenza, la sua visita
in Messico è apparsa del tutto diversa dagli altri viaggi precedenti: oltre al fatto
della sua partecipazione quale Legato del Papa, si è avuta l’impressione come di un
nuovo inizio di rapporti tra Chiesa, Santa Sede e società messicana. Cosa è veramente
accaduto? R. - E’ stato un viaggio che ha avuto una sottolineatura
pastorale – come Legato papale per il VI Incontro mondiale delle famiglie – e anche
politico, naturalmente, con gli incontri con il presidente della Repubblica e altre
autorità. Bisogna ricordare che già in questi ultimi tempi era andato in Messico mons.
Dominique Mamberti, in occasione del XV anniversario della ripresa dei rapporti diplomatici,
una grande svolta del Messico, che il Papa Giovanni Paolo II aveva marcato con una
tappa nel 1993 in occasione del suo viaggio alla Giornata mondiale della gioventù
a Denver. Adesso, è il segretario di Stato che è andato in Messico come Legato papale,
ma anche come segretario di Stato, che ha messo l’accento proprio su questa ripresa
di rapporti positivi. Non si tratta ancora di laicità positiva – questo è un tema
che è stato poi discusso nell’incontro a Querétaro – ma di incontri e di rapporti
più positivi in Messico tra lo Stato e la Chiesa. Una Chiesa in grande ripresa, una
Chiesa martire come quella del Messico. Si è trattato di una occasione eccezionale
nella quale il Papa si è fatto presente con i due messaggi, con la sua benedizione
videoregistrata e video-inviata – e nella quale è risuonato il martellante e gioioso
ritornello dei messicani: “E’ presente il Legato papale, ma Benedetto è qui, presente:
Benedetto è qui, presente”. E’ una convinzione che esprimeva un grande desiderio della
presenza del Papa ma anche di senso di piena comunione e di compresenza con il Papa,
con il Vescovo di Roma. D. - Famiglia e cultura sono stati i
due poli di maggiore attenzione nei suoi diversi interventi. Perché tanta cura dimostrata
nel parlare sia della famiglia, sia della cultura? R. - Perché,
in realtà, la famiglia è la prima agenzia di trasmissione dei valori e della cultura
per le nuove generazioni, per i bambini, per i giovani in crescita: famiglia trasmettitrice
di valori. E’ un dato assodato, pur con tutte le difficoltà che segnano il cammino,
l’esperienza della vita familiare, non solo in Europa ma anche in America Latina.
Ricordo una conferenza, un dibattito che avevamo fatto qui a Roma, nella Basilica
di San Giovanni in Laterano, con il professor Barbiellini Amidei, proprio sulla famiglia
capace o incapace oggi, davanti a tutte le altre agenzie, di socializzazione, di trasmettere
valori, e abbiamo convenuto – e questa è una convinzione dei Papi: di Giovanni Paolo
II, di Papa Benedetto in modo particolare, ribadita anche nei due messaggi rivolti
al Messico – che la famiglia è la prima agenzia di trasmissione di valori, la prima
agenzia di formazione umana e cristiana. Essa trasmette l’identità: l’identità propria
della famiglia, l’identità culturale, spirituale, morale di un popolo. Lo Stato nasce
poi dall’insieme, dalla comunione delle famiglie, e lo Stato deve avere questa missione
di consolidare il senso di identità di un popolo fondato sulle sue proprie radici,
sulle proprie origini che hanno determinato poi lo sviluppo di una comunità politica
come della comunità ecclesiale. D. - In qualche modo, lei è
parso incoraggiare una rifondazione della cultura cattolica messicana. Con quale obiettivo? R.
- In Messico ci sono state delle grandi tradizioni culturali: ci sono tante università,
ci sono tante istituzioni educative e il rischio è che queste realtà, che sono rinate
dopo uno spazio di libertà ridato alla Chiesa, rimangano ancora in un angolo. C’è
una forte tinta di laicismo, ci sono delle forze che si contrappongono alla Chiesa,
che contrastano con la missione educativa, la missione formatrice della Chiesa, con
la funzione di fare cultura della Chiesa. Ricordiamo che la Chiesa ha inventato, ha
creato le università; esse sono nate dal grembo della Chiesa, e in Messico dicono
che ci siano più di 2000 università tra statali e università private; molte le università
cattoliche, appartenenti anche a istituti religiosi. Esse sono una risorsa immensa
da sdoganare – per così dire – da rendere presente e attiva, in modo che possa incidere
sulla cultura del popolo e che possa dimostrare che anche le università a matrice
cattolica e a ispirazione cattolica – ecco il problema della evangelizzazione della
cultura – possano realizzare, far progredire la scienza e creare quindi nuovi ambiti,
nuove forme di sviluppo culturale, proprio in concreto per la Nazione messicana. Perciò
ho cercato di incoraggiare questo sviluppo e di dare questa spinta. D.
- Nell’incontro con il mondo della cultura e dell’educazione, lei ha insistito sul
successo limitato della cultura cattolica nel Messico dell’ultimo secolo. Non è un
giudizio duro, in presenza di una Chiesa che ha subito una persecuzione anche sanguinosa? R.
- In realtà, è un giudizio duro. Ho citato esattamente un autore – Gabriel Zaid –
il quale ha ricordato il rapporto con un vescovo europeo che gli chiedeva: “Ma, in
Messico è possibile avere una cultura cattolica o avere un influsso culturale da parte
della Chiesa cattolica?”. Quando questo vescovo europeo, che era esattamente un vescovo
olandese, chiese a Zaid che cosa ci si potesse aspettare dal Messico, Zaid – desolato
– ha confessato: “Non gli potete dare la minima speranza”. In Messico, al di là delle
vestigia di tempi migliori e della cultura popolare, la cultura cattolica era finita.
Notate che siamo negli anni Settanta. Era rimasta al margine, in uno dei secoli più
importanti della cultura messicana: il XX secolo. Come è potuto accadere ciò? Risponde
Zaid: “Me lo chiedo ancora!”. Questa diagnosi è certamente pessimistica: l’ho rilevato
perché certamente ci sono stati degli impulsi, ci sono stati degli spunti molto significativi
e sarebbe ingiusto sottolineare, sottoscrivere integralmente questa diagnosi. Tuttavia,
l’osservazione dello scrittore e la domanda di questo vescovo esigono delle risposte,
sono stimolanti. Che la cultura sia necessaria nell’opera della Chiesa e ancor più
in quella dell’umanità stessa, l’aveva affermato – in un grande discorso all’Unesco
– Papa Giovanni Paolo II, quando ha gridato: “L’avvenire dell’uomo dipende dalla cultura!
La pace del mondo dipende dal primato dello spirito! L’avvenire pacifico dell’umanità
dipende dall’amore”. Quindi ha messo in correlazione cultura, pace, amore. Per la
Chiesa, la promozione culturale è una realtà connaturale, è iscritta nel suo Dna,
nella sua storia: è una esigenza urgente, necessaria. Per il fatto stesso che il Vangelo
è per se stesso creatore di cultura e quindi l’annuncio del Vangelo è creazione di
cultura. In realtà, la Chiesa messicana, è stata tanto perseguitata, ha avuto tanti
martiri. E’ una Chiesa eroica. Ho ricevuto e venerato la reliquia di un ragazzo di
15 anni, più maturo di quanto potesse dire la sua età, José Sanchez del Rio, che aveva
partecipato ad un circolo culturale di Azione Cattolica; così giovane, è stato preso,
è stato catturato e poi massacrato e prima di morire ha scritto ancora “Viva Christo
Rey!”, il grido dei martiri messicani. Quindi, la Chiesa in Messico è una Chiesa martire,
certamente, ma una Chiesa messa un po’ al margine della vita pubblica. E’ stata una
Chiesa che ha praticato sempre una grande religione del culto, molto significativa,
importante, che è la fonte della fedeltà a Cristo e anche dell’entusiasmo della fede,
ma che dal punto di vista culturale era un po’ dimessa. Allora, bisognava e bisogna
ridare slancio a tutta la promozione culturale che – come ho detto – è connaturale
alla missione della Chiesa, in modo particolare in Messico. D.
- Un altro punto di insistenza è stato quello di aprirsi o recuperare la cultura del
meticciato: non è un concetto buono non solo per il Messico, ma anche per i Paesi
occidentali dove questo concetto fatica a farsi strada? R. -
Il meticciato è un pensiero, una realtà molto bella che indica che l’evoluzione della
cultura avviene attraverso l’incontro delle culture, un incontro che non deve essere
esclusione. Nel Messico, ma si può parlar di ogni altro Paese - per esempio, per l’Occidente,
il codice della cultura occidentale è il Vangelo e la Bibbia - il Vangelo, o la Bibbia,
o possiamo anche dire le radici cristiane, vengono a volte messe da parte, vengono
scartate, come codice della vita, dell’esperienza, dell’evoluzione culturale dell’Europa
o dell’Occidente. In Messico ill barocco messicano e tutta l’ispirazione del meticciato
della Madonna di Guadalupe, rischiano di essere divise sia da coloro che propugnano
solo la cultura indigena e basta, e sia da coloro che invece propugnano una superiorità
– per dire così – della cultura europea che avrebbe cancellato le radici, le fonti
indigene. E quindi, si rischia questa contrapposizione tra la cultura indigena e la
cultura europea, senza un vero dialogo, senza una sinergia delle due culture e una
sintesi che prenda dalle due culture e che formi questa nuova cultura che è la caratteristica
di identità del popolo messicano e di tanti popoli dell’America Latina. Ma questa
scissione, questo grande divorzio è il divorzio che è avvenuto tra la cultura popolare
e la cultura delle élites, molto influenzata dalla cultura europea. Allora, di fronte
a questo divorzio, la grande sintesi barocca e meticcia è il segno della identità
del popolo messicano. Bisogna evitare questa scissione e riprendere la sintesi tra
le culture, la trasformazione delle culture in un dialogo effettivo, fecondo, in un
dialogo fruttuoso. Nel Messico è rappresentato proprio sia dall’arte e sia da quella
presenza misteriosa, straordinaria che Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato nella
figura della Madonna di Guadalupe dicendo che è un po’ il simbolo dell’inculturazione
della evangelizzazione. Il volto meticcio della Vergine di Guadalupe fin dall’inizio
della storia del Nuovo Mondo, ha dimostrato che c’è una unità della persona ma nella
varietà delle culture e nell’incontro tra le culture. D. - Come
valuta il suo incontro con il presidente della Repubblica? R.
- E’ stato un incontro molto cordiale, direi molto bello, molto ricco: poco più di
un’ora, un’ora e dieci. Un incontro con un uomo che è cattolico e che ha fatto un
grande discorso all’assemblea dell’Incontro mondiale delle famiglie, che ha la volontà
di recuperare le radici cristiane della cultura messicana, e che pone anche delle
domande precise alla Chiesa. Ha sottolineato anche il rapporto tra religione e vita,
l’esigenza della coerenza dell’appartenenza alla religione cattolica. Ricordiamoci
che i messicani, secondo le più recenti statistiche, si dichiarano all’87 per cento
cattolici, però – come dappertutto, purtroppo – a volte il fatto di dichiararsi cattolici
non significa che si viva in coerenza con il Vangelo o con le indicazioni della Chiesa.
Quindi, abbiamo parlato con molta sincerità, abbiamo trattato diversi argomenti, come
il problema educativo in Messico; abbiamo anche trattato il tema delle scuole cattoliche,
che sono il 5 per cento – mi sembra – di tutte le scuole messicane, quindi una percentuale
molto bassa, ma che fanno un grande lavoro di carattere educativo, fino ai massimi
gradi dell’istruzione. Abbiamo anche parlato dell’insegnamento della religione cattolica
per la formazione integrale dei ragazzi e dei giovani e per lo sviluppo della loro
personalità. Ho portato come esempio l’Accordo stipulato tra la Santa Sede ed il Brasile
che contempla tale materia; si tratta di un grande Paese latino-americano, un Paese
moderno. Ho salutato volentieri tutti i componenti della sua bella famiglia con tre
bambini: uno porta il nome di Giovanni Paolo, probabilmente in ricordo delle visite
di Giovanni Paolo II in Messico. D. - Quale convinzione ha
maturato sulla Chiesa in Messico dopo il suo incontro con i vescovi, i seminaristi
ed i fedeli in preghiera? R. - Credo che sia una Chiesa molto
viva. La Chiesa cattolica in Messico non è una istituzione in crisi; c’è un bell’episcopato,
ho incontrato i vescovi – come faccio peraltro in tutte le visite e i viaggi internazionali
che compio. Anche con i vescovi abbiamo avuto una discussione molto franca. Ho visto
una Chiesa in crescita, da molti punti di vista, con tutte le difficoltà dei tempi
moderni e dei Paesi dell’America Latina, ovviamente: per esempio, il problema dell’aggressività
delle sette. Ma una Chiesa in crescita che dà protagonismo ai laici: i laici hanno
un grande desiderio di collaborazione sia nel campo della cultura come nel campo dell’economia
e in tutti gli altri ambiti tipici dell’attività dei laici, come nella politica. Essi
chiedono alla Chiesa orientamenti, stimoli e proposte di compartecipazione e di condivisione.
I vescovi hanno fatto, proprio nel mese di novembre scorso, una riunione della Conferenza
episcopale e con la partecipazione di 120 esponenti del laicato cattolico molto bene
avviati e intenzionati, e quindi capaci di collaborare e di dare nuovo slancio alla
presenza della Chiesa nella società messicana. Le vocazioni sono sempre tantissime,
i seminari sono ancora strapieni, con differenze di numero tra una diocesi e l’altra,
ma ci sono diocesi che hanno centinaia di seminaristi. Rimane sempre il problema formativo,
ma sono una forza immensa. Pensiamo che in Messico ci sono 92 diocesi e il Messico
può essere una risorsa missionaria per gli altri Paesi circostanti. D.
- I suoi interventi e quelli di Benedetto XVI sono apparsi in singolare armonia, quasi
due momenti di un’unica trama di colloquio con la Chiesa messicana. Che cosa significa
questo e qual è l’obiettivo di questa sintonia? R. - Intanto,
devo dire che il Santo Padre conosce bene la Chiesa del Messico perché la Conferenza
episcopale, quindi tutti i vescovi del Messico, sono venuti in visita ad Limina pochi
mesi dopo l’elezione di Benedetto XVI, il quale – come per ogni visita ad Limina di
episcopati del mondo – si prepara bene, studia le relazioni delle diocesi, dei nunzi
e delle Conferenze episcopali e ha un dialogo puntuale con ogni vescovo. Questo, naturalmente,
permette di avere il polso della vita della Chiesa e permette anche di lanciare messaggi
pertinenti, idonei, concreti che toccano l’esperienza vitale della Chiesa in quel
determinato Paese. Il primo collaboratore del Papa è in perfetta sintonia con il Papa.
Naturalmente, i discorsi del Papa vengono conosciuti dal segretario di Stato e il
segretario di Stato si prepara a questi viaggi con una armonizzazione degli interventi
sui temi che stanno più a cuore al Santo Padre e alla Santa Sede. Il tema della famiglia,
della cultura, specialmente l’incontro di Querétaro con il mondo della cultura, sono
temi che stanno molto a cuore al Papa. Conosciamo un po’ tutta la articolazione del
pensiero del Santo Padre, non è difficile quindi mettersi in sintonia con il pensiero
del Papa: sostenere i vescovi, il mondo cattolico, i laici messicani in questa piena,
concreta comunione non solo nella preghiera, nell’affetto anche pubblico, entusiastico
al Santo Padre, ma in una condivisione dei progetti culturali, pastorali che gli stanno
a cuore. Ho cercato di incoraggiare questo grande Paese cattolico – ecco l’obiettivo
– ad essere un Paese trainante, un Paese modello anche per l’America Latina e per
i Caraibi, soprattutto per le forze, per le risorse straordinarie che porta in sé:
perché possiede una grande ricchezza umana e grandi risorse materiali, morali, culturali.
Può quindi fare da apripista anche per gli altri Paesi dell’America Latina. E’ questo
l’auspicio che formulo dopo il viaggio in Messico, e che depongo ai piedi della Madonna
di Guadalupe.