Domani la presentazione del Catalogo dei manoscritti ebraici della Biblioteca Vaticana:
intervista con mons. Pasini
Sarà presentato domani nella Sala conferenze di Via dell’Ospedale – in Vaticano –
il ‘Catalogo dei manoscritti ebraici della Biblioteca Vaticana’. Il volume, edito
nell'aprile dello scorso anno, cataloga tutti i manoscritti vaticani in scrittura
ebraica, per un totale di circa 800 segnature, distribuite in 11 fondi manoscritti,
dal IX secolo ai giorni nostri, e costituisce un esempio significativo di collaborazione
tra istituzioni culturali israeliane e della Santa Sede. Alla presentazione interverranno,
tra gli altri, il cardinale Raffaele Farina, archivista e bibliotecario di Santa Romana
Chiesa, l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, elo
studioso israelianoBenjamin Richler, curatore del volume. Sull’importanza
di questa pubblicazione sentiamo il prefetto della Biblioteca apostolica vaticana,
mons. Cesare Pasini, al microfono di Fabio Colagrande:
R. – E’ il
primo Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Vaticana, che si pubblica dai tempi
di Giuseppe Simonio Assemani, cioè dal ‘700. Inoltre, è un Catalogo veramente completo;
possiamo dire che vengono fatti passare 800 volumi, 800 segnature di manoscritti della
Biblioteca. E’ un catalogo corposo – 800 pagine - ha alle spalle un grandissimo lavoro
di ricerca, fatto da più persone e fatto per quasi una decina d’anni, quindi c’è una
mole, una fatica ed un impegno, anche un gusto di ricercare. E’ importante perché
nasce da una collaborazione molto precisa, certamente fra la Biblioteca Vaticana,
noi, e l’Institute of Microfilm Hebrew Manuscripts, cioè questo istituto della Biblioteca
nazionale e Università di Gerusalemme, che raccoglie microfilm di manoscritti ebraici
da tutte le parti del mondo. Dico volentieri che è stata una collaborazione esemplare,
per tutti i passaggi; è stata lunga e se in un periodo così lungo si funziona e si
va avanti, vuol dire che davvero ogni passaggio si è mosso bene.
D.
– La cooperazione fattiva tra istituzioni culturali della Santa Sede ed Israele -
che si è realizzata in questo caso - è un fatto eccezionale, mons. Pasini?
R.
– E’ abituale che in Biblioteca Apostolica Vaticana vengano studiosi di ogni provenienza;
quindi anche studiosi ebrei, studiosi dallo Stato d’Israele, e questo è avvenuto tante
volte, anche contatti con istituzioni d’Israele avvennero prima. Ci fu qualche mostra
o qualche altra iniziativa; tuttavia, il primo grande contatto – cioè una mostra con
manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana – si ebbe nel settembre del 2005,
per l’occasione furono mandati quattro importantissimi manoscritti, e ci si accorse
– in quell’occasione – che per davvero la cultura aiutava a collaborare e a collaborare
bene. Ciascuno mise la sua parte di competenza, di specifica capacità – anche organizzativa,
anche di ricerca e di conoscenza delle nozioni da presentare riguardo a quei manoscritti
– e, in questi anni, noi abbiamo sperimentato una fattiva, operosa e complessivamente
molto serena collaborazione.
D. – Ci sono alcuni
pezzi particolarmente degni di nota, nel Catalogo dei manoscritti ebraici?
R.
– Certamente: per esempio, c’è un Urbinate ebraico - il numero uno di quella serie
-, che è un codice bilingue ebraico-aramaico, contiene tutta l’intera Bibbia in questa
speciale fattura, sia ebraica che aramaica, ed è datato 1294. Oppure, un manoscritto
della serie dei cosiddetti neofiti, il numero 1; è l’unico esemplare noto di Targum
palestinesi. Per esempio, il più antico manoscritto ebraico che possediamo è del IX
secolo, è – fra l’altro – anche il più antico Sifra noto. C’è anche una serie di manoscritti
– con questi siamo nell’ XI secolo – molto importanti, perché contengono il Midrash,
quindi codici midrashici; per esempio il Vaticano ebraico 30, il 31, il 32, ma anche
il 60. Però, vorrei ricordare anche altri manoscritti, così importanti da esser stati
fatti oggetto di quella mostra nel 2005, a Gerusalemme, e quasi tutti gli stessi sono
presentati in occasione della presentazione del volume qui, in Vaticano. Sono manoscritti
biblici o di altri testi ebraici, ma che hanno questa originalissima connotazione:
sono stati fatti in Italia – XIII, XV secolo – e nascono dalla collaborazione di ebrei
italiani – magari chi ha ordinato il manoscritto era un ebreo facoltoso -, ma chi
ha poi vergato il manoscritto, quindi il copista, o chi ne ha fatto l’ornamentazione
sono italiani cristiani, e ci si accorge che questi manoscritti portano, nella loro
carne, il segno di una vicinanza e di una collaborazione, di un dialogo che forse
non ci aspetteremmo. Fra l’altro, non solo il segno di una collaborazione e di un
dialogo, ma ci si accorge che il frutto di questa collaborazione e dialogo è strepitoso:
chi guarda questi manoscritti ne è rapito, anche dalla bellezza, dalla finezza con
cui sono stati redatti. Verrebbe da dire: “hanno collaborato molto prima di noi –
e neanche ce lo saremmo sognati - e quanti esiti positivi vengono da queste collaborazioni!”.