Settimana dell'unità. La Comunità di Bose auspica un martirologio comune di tutti
i testimoni cristiani
Oggi si celebra la quinta giornata della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani:
al centro delle riflessioni odierne è il tema delle discriminazioni anti-cristiane.
Proprio la questione delle persecuzioni e del martirio in nome di Cristo è una strada
che si cerca di percorrere nel cammino verso l’unità. Se ne è parlato in un convegno
promosso dalla Comunità ecumenica di Bose. Fabio Colagrande ha intervistato
in proposito Guido Dotti, monaco della Comunità di Bose:
R. –
Oggi, in un periodo in cui conosciamo qua e là delle difficoltà o delle stanchezze
nel cammino ecumenico, è stato importante aver potuto riprendere un cammino sotterraneo
che era stato avviato nelle Chiese, sia dalla Chiesa cattolica - e in particolare
rilanciato dal Vaticano II che invitava a far tesoro delle ricchezze delle altre Chiese,
ma poi più particolarmente dalla Tertio Millennio Adveniente e dall’Ut Unum Sint di
Giovanni Paolo II, che parlavano di questo martirologio comune che già esiste - sia
dal Consiglio Ecumenico delle Chiese, che suggeriva appunto di andare verso una sorta
di libro condiviso di testimoni: un libro che riunisse i cristiani nella testimonianza
di quegli uomini e donne che dando tutta la loro vita, spesso fino alla morte violenta,
hanno narrato di fatto un brano del Vangelo.
D.
– Quindi, testimoni della fede come eredità comune delle Chiese?
R.
– Sì, è qualcosa che singole Chiese locali hanno sperimentato in questi ultimi anni
di grandi sofferenze, di grande martirio. E’ un patrimonio comune, perché colui che
spende la vita per il Vangelo, di fatto narra un Vangelo che non è confessionale,
narra la potenza di Gesù Cristo, che gli dà la forza per questa testimonianza. E quindi
è un appello a riconoscere questi tratti di Cristo, che questi fratelli e sorelle
nella fede ci hanno dato versando il loro sangue.
D.
– Voi, in questo incontro, avete in qualche modo fatto anche un “mea culpa” comune
ecumenico, perché nel documento conclusivo si legge: “Nel discernimento dei testimoni
di Cristo, noi riconosciamo che alcuni hanno sofferto senza sostegno della loro comunità
cristiana o dei loro pastori; inoltre, ci sono coloro, che hanno subìto tormento e
morte per mano di altre comunità cristiane, compresa la nostra”…
R.
– Credo che sia anche uno degli snodi fondamentali dell’ecumenismo. E non vogliamo
che l’ecumenismo si riduca ad un farci un po’ di complimenti. Va fatto quello che
già Papa Giovanni Paolo II chiamava la purificazione della memoria. Va quindi ripercorso
insieme il cammino, a volte anche tragico, in cui questa testimonianza, fino alla
morte, data in nome di Gesù Cristo, era stata inferta o subìta da altri, che a loro
volta erano convinti di operare secondo la volontà di Dio. Quindi, un rileggere insieme
la storia, un riconoscersi colpevoli dei peccati di omissione, cioè di non aver saputo
riconoscere la testimonianza data da un martire e l’averlo lasciato solo nel momento
del martirio.(Montaggio a cura di Maria Brigini)