Diplomazia al lavoro per Gaza. Intervista con mons. Franco
La crisi di Gaza tiene banco tra le cancellerie internazionali. Per una soluzione
diplomatica prosegue in particolare lo sforzo della mediazione egiziana, finalizzata
ad un prolungamento del cessate il fuoco nella Striscia. Intanto sul terreno cresce
l’emergenza umanitaria. Il servizio di Marco Guerra:
All’indomani
del completo ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza, tutti gli sforzi
per il raggiungimento di una tregua definitiva si spostano sul tavolo negoziale portato
avanti dall’Egitto. Stamani è arrivato al Cairo il mediatore israeliano per
la proposta egiziana sul cessate il fuoco. Sul tappeto la riapertura dei varchi di
confine con Gaza, sollecitata ieri dall'Ue e oggi, di nuovo, da funzionari dell'Onu
attivi nella Striscia. Questione sulla quale si è già registrata la tiepida risposta
del ministro degli Esteri israeliano Livni, che ha insistito sulla necessità di porre
garanzie ferree sui punti di passaggio per evitare il contrabbando di armi, riservando
inoltre ad Israele il diritto ad attaccare i tunnel sotterranei utilizzati da Hamas.
In agenda anche l’annosa questione della liberazione del soldato israeliano Shalit,
prigioniero di Hamas da due anni e mezzo, riguardo alla quale fonti del governo israeliano
hanno ipotizzato nelle ultime ore la possibilità di concessioni. Oggi al Cairo era
prevista anche la presenza di diverse fazioni palestinesi per colloqui sulla riconciliazione
interpalestinese. Ma l’incontro è stato rinviato dalle stesse per tenere ulteriori
consultazioni. Ad ogni modo i mediatori egiziani continuano a lavorare per un prolungamento
del cessate il fuoco annunciato da Hamas per una sola settimana. Intanto nella Striscia
di Gaza si aggrava l’emergenza umanitaria. Secondo la Croce Rossa, al momento, 400
mila persone sono senz'acqua. Mentre i profughi, provocati dall'offensiva israeliana,
sono stimati tra i 70 -100 mila. Fonti mediche palestinesi hanno poi aggiornato il
bilancio delle vittime di tre settimane di bombardamenti, portandolo a 1330 morti
ed oltre 5400 feriti.
Il nunzio in Israele e delegato
apostolico per Gerusalemme e la Palestina, mons. Antonio Franco, si è recato
ieri a Gaza per incontrare la piccola comunità cattolica locale. Gabriella Ceraso
lo ha intervistato:
R.
– Ho incontrato il parroco, il padre Manuel Musallam e le Suore della Carità di Madre
Teresa, e abbiamo celebrato la Messa con la comunità: la chiesa era gremita c’erano-
credo – perlomeno i due terzi dei cattolici di questa piccola comunità. Ho portato
il saluto e la solidarietà del Santo Padre, la sua preghiera, ho ricordato le parole
che lui ha spesso ripetuto in questo periodo di prova e ho anche consegnato al parroco
un’espressione concreta della solidarietà del Papa.
D.
– Mons. Franco, ha raccolto delle richieste specifiche, ha potuto capire quali sono
le necessità…
R. – C’è una certa pressione affinché
i cristiani lascino questa terra, ma invece loro dicono che è necessario restare,
però bisognerebbe aiutare a creare delle possibilità di sopravvivenza. Adesso per
l’emergenza immediata si tratta di cercare di aiutare le famiglie, quelle che hanno
avuto danni materiali, a ricostruire le case e a fare un po’ fronte all’emergenza
della sussistenza.
D. – La solidarietà internazionale
è importante. L’Unione Europea promette aiuti umanitari…
R.
– Credo che gli aiuti ci saranno. La mia preoccupazione è piuttosto come questi aiuti
verranno distribuiti e verranno usati.
D. – Che eco
ha avuto l’elezione di Obama in questa realtà. Quali sono anche le sue speranze?
R.
– Speriamo che la comunità internazionale cominci a guardare in una maniera più concreta
i problemi e a cercare di aiutare le parti a risolverli.
D.
– Speranza tra la gente l’ha colta?
R. – Sì, la
speranza c’è. Vogliono averla … specialmente i cristiani hanno speranza: prima di
tutto in Dio e poi attraverso il suo aiuto anche negli uomini.