Telegramma di Benedetto XVI a Barak Obama: promuova “comprensione, cooperazione e
pace tra le nazioni”
Assicurando la propria preghiera per il mandato del nuovo presidente degli Stati Uniti,
Barak Obama, che vivrà oggi pomeriggio l’insediamento alla Casa Bianca, Benedetto
XVI ha espresso in un telegramma l’auspicio che il nuovo capo di Stato possa confermare
i propri propositi di promuovere “comprensione, cooperazione e pace tra le nazioni”.
Il servizio di Fausta Speranza:
Il Papa
chiede a Dio per il 44.mo presidente USA “saggezza e vigore nell’esercizio delle sue
responsabilità”. Inoltre, Benedetto XVI augura agli Stati Uniti di continuare a tenere
viva “la propria eredità religiosa e politica e i principi etici necessari per cooperare
nella costruzione di una società veramente giusta e libera, segnata dal rispetto per
la dignità, uguaglianza e per i diritti di ogni suo membro, in particolare i poveri,
gli emarginati e coloro che non hanno voce”. E questo proprio quando - sottolinea
il Papa - “così tanti fratelli e sorelle nel mondo bramano di essere liberati dai
flagelli della povertà, fame e violenza”. Intanto, a Washington,
ancora prima dell'alba decine di migliaia di persone hanno cominciato ad allinearsi
davanti ai punti di controllo che danno accesso alla cerimonia per l'insediamento
di Barack Obama. Le misure di sicurezza sono eccezionali, con soldati della Guardia
nazionale dislocati ovunque nella capitale intorno alla "zona protetta": l'area di
Capitol Hill (il parlamento) ed il percorso della sfilata lungo la Pennsylvania Avenue.
I ponti che dalla Virginia portano alla capitale sono stati chiusi nella notte alle
auto: chi vuole raggiungere Washington può farlo solo in autobus, in bicicletta o
a piedi. Ma anche ieri è stata una giornata significativa, come ci racconta dagli
Stati Uniti Elena Molinari:
Nella
seconda giornata di celebrazioni per la sua inaugurazione, Obama ha voluto trasformare
l’anniversario della nascita di Martin Luther King in una giornata di servizio. Lui
e il vice presidente Biden, dunque, hanno vestito, per un giorno, i panni degli operai
e hanno aiutato una comunità che costruisce case prefabbricate per i senzatetto. Michelle
Obama e la moglie di Biden, Jill, invece, si sono unite alle magazziniere di un’associazione
che invia pacchi-conforto alle truppe in Iraq. Alberghi, ostelli, scuole e persino
palestre hanno raggiunto il tutto completo intanto, ieri, a Washington, dove oltre
un milione di persone stanno accampandosi in attesa di vedere il nuovo presidente
giurare sulla Bibbia di Lincoln. Si aspetta una giornata lunga e fredda, con temperature
vicine allo zero. Al di là di ogni enfasi, è un evento storico:
fino a 40 anni fa vigeva la segregazione razziale in molti Stati USA e tuttora la
piena integrazione dei neri non è ancora raggiunta. Nell’intervista di Fausta Speranza,
il commento del prof. John Harper, docente alla John Hopkins University di
Bologna:
R. -
Sicuramente, è una giornata storica: una giornata che pochi avrebbero scommesso di
vedere, cinque-dieci anni fa. Testimonia il fatto che i rapporti razziali in America
sono migliorati, in questi ultimi decenni. Anche se Obama non ha ricevuto una maggioranza
dei voti dall’elettorato bianco, comunque ha avuto un appoggio decisivo da una parte
importante dell’elettorato bianco, e questo sicuramente è un fatto significativo. D.
- Professore, Obama lancia messaggi di speranza, di unità. Promette misure per una
maggiore eguaglianza sociale. Trova comunque un Paese in ansia per la crisi economica
e si trova di fronte sfide pesanti sullo scacchiere internazionale. Ragionevolmente,
che cosa potrà realizzare? R. - Temo che alcune aspettative
rispetto ad Obama andranno inevitabilmente deluse, perché la realtà di fondo nella
quale dovrà operare è complessa e spinosa. Per esempio, nel sistema politico americano
è quasi impossibile perseguire una politica estera e dinamica ambiziosa insieme con
una politica interna dinamica e ambiziosa, e lui per forza dovrà scegliere di concentrarsi
sulle questioni interne dove, secondo me, potrà fare qualcosa per mettere in moto
l’economia americana ma intanto dovrà per forza trascurare alcune sfide esterne, almeno
per il momento. E poi, lui opera dentro i parametri accettati sia da Clinton sia da
George Bush: i parametri di una politica estera americana “imperiale”, cioè con impegni
in ogni angolo del mondo. Chi pensa che questo cambierà, che ci sarà una vera svolta
nella politica estera americana, sarà sicuramente deluso. Prevedo più continuità che
cambiamento a livello di politica estera. D. - Professor Harper,
l’immagine degli Stati Uniti come superpotenza mondiale è stata annebbiata in questi
anni, è stata una pagina nera da questo punto di vista. Adesso, il mondo sta già guardando
diversamente agli Usa. Obama ha recuperato quella dimensione di traino e di speranza? R.
- Sicuramente. Obama proverà a non deludere queste speranze, queste aspettative. Per
esempio, il solo fatto di essere alla Casa Bianca manda un messaggio di speranza,
di cambiamento, di vitalità del sistema americano. Però, come dicevo, nella sostanza
è difficile che cambi rotta radicalmente, per esempio nel Medio Oriente: è difficile.
I margini di manovra sono così stretti che temo che non si vedrà un cambiamento di
fondo. Obama intende, peraltro, proseguire con maggiore energia la guerra in Afghanistan
che, a mio avviso, forse non risulterà una scelta vincente. Ma è quasi costretto -
volendo andare via dall’Iraq - a non trascurare, a non abbandonare l’Afghanistan. D.
- Ma i punti di convergenza, diciamo così, con l’Europa sono davvero forti e reali
in alcune materie? R. - Sì. Rispetto all’altra amministrazione,
ci sono più punti di accordo e di intesa e di simpatia a livello culturale, tra Obama
e gli europei. Però, è anche vero che Obama probabilmente chiederà di più agli europei:
per esempio, un impegno in Afghanistan e in Medio Oriente. Non so se questa richiesta
di fare di più, di mandare più soldati, sarà bene accetta in Europa. Qui si potrebbe
prevedere qualche incomprensione e tensione, su questo punto. D.
- Professore, come vede lei questi punti di convergenza con l’Europa? Quali sono? R.
- La crisi dell’ambiente, il Protocollo di Kyoto su come affrontare il problema del
riscaldamento del pianeta: sicuramente questa amministrazione è molto più vicina all’Europa. D.
- Anche il capitolo Guantanamo… R. - Anche Guantanamo, che è
una delle prime cose che farà. Anzi, l’ha già annunciata la chiusura Guantanamo, anche
se ci vorrà un po’ di tempo per motivi tecnici: risistemare alcune persone e liberarne
altre... Ma sicuramente, questo avrà un valore simbolico importante.