L’arcivescovo Marchetto nella Giornata del Migrante: è il Vangelo a chiederci di accogliere
il prossimo in difficoltà
Come sottolineato dal Papa all’Angelus, si celebra oggi la Giornata Mondiale del Migrante
e del Rifugiato.In occasione dell’Anno Paolino, Benedetto XVI ha voluto dedicare
a “San Paolo migrante” il suo Messaggio per questa ricorrenza. Ma chi in particolare
può trarre ispirazione oggi dalla vita dell’Apostolo delle Genti in merito al fenomeno
migratorio? Fabio Colagrande lo ha chiesto all’arcivescovo Agostino Marchettosegretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti:
R. -
Non si meravigli se lo indico sia per i cristiani, nel senso dell’accoglienza, che
fa binomio con sicurezza, sia per i governanti, poiché per questi ultimi l’esercizio
del servizio di governo dovrebbe essere una realizzazione dell’amore nell’espressione
della ricerca del bene comune, nazionale certo, ma anche universale. Con la sua vita,
Paolo attesta quanto predica, va oltre e sente la Chiesa come fermento, come speranza
per tutti, nella possibilità di una convivenza delle legittime diversità. I rigurgiti
di nazionalismo esacerbato non fermeranno il mondo nel suo sentirsi finalmente una
famiglia umana di popoli, che già si manifesta nella mobilità umana, nell’essere ormai
vicini, per il bene comune, a coloro che erano geograficamente distanti.
D.
- Perché, a suo parere, gli appelli della Chiesa all’accoglienza dei migranti faticano
a imporsi nell’attuale contesto politico e giuridico di molti Stati?
R.
- La fatica nell’ascolto degli appelli ecclesiali, prima ancora che nel contesto politico
e giuridico di molti Stati, si incontra nel cuore dell’uomo e anche il cristiano è
uomo, è donna. E il cuore - oltre i rischi dell’egoismo, della xenofobia, e finanche
del razzismo - è condizionato dai sentimenti e lì v’è il senso dell’accerchiamento
“in casa propria” e della paura di chi è diverso da noi, e più è tanta quanto maggiore
è la diversità e il numero degli “estranei”. Naturalmente c’è chi cavalca questi sentimenti
e chi ne fa eco, anche per motivi di politica partitica. Ma in questo senso c’è un’azione,
una voce assieme ad altre, certo, che richiama realtà che vanno oltre i propri confini
anche statali. Possiamo indicare la sorgente di tale voce che fa appello alle coscienze,
nella dignità di ogni persona umana che per noi si rafforza alla luce del Vangelo.
Possiamo scoprire tale fonte nei diritti umani, nella legislazione internazionale
umanitaria e qui mi riferisco specialmente ai rifugiati e richiedenti asilo, agli
sfollati e apolidi, ai soggetti al traffico di esseri umani, ai ragazzi soldati. Situazioni
frutto di persecuzione, guerra e violenza di cui siamo molte volte testimoni impotenti.
D.
– In relazione alle politiche che governano i flussi di richiedenti asilo e rifugiati
qual è il vostro auspicio?
R. – L’auspicio a mantenere
gli impegni internazionali assunti e onorarli senza abbassare i livelli di attuazione,
riconoscendo cioè una legislazione internazionale rodata, già pluridecennale, che
va rispettata anche dalla legislazione nazionale. Qui assistiamo a un abbassamento
generale dei livelli di protezione che ci dice tante cose tristi perché significano
calo di umanità, mancanza di umanesimo. E pur considerando la situazione particolare
di Malta, bisognosa di essere sostenuta da tutti i Paesi dell’Unione Europea nell’accoglienza,
mi lasci dire che è avvilente, almeno per me, che sia stata questa nazione molto cattolica,
l’unica a opporsi a un orientamento comune europeo più favorevole ai rifugiati e ai
richiedenti asilo o a coloro che sono accolti per motivi umanitari.
D.
- La Chiesa è spesso tacciata di buonismo dagli stessi cristiani che a volte invitano
il Vaticano ad accogliere nelle sue mura i tanti migranti per i quali predica l’accoglienza.
Eppure la sollecitudine nei confronti del prossimo è dettata dal Vangelo. Perché si
fatica a comprenderlo?
R. - Non invidio i politici
e i governanti. Hanno un compito ben difficile, quello della mediazione, ma nel rispetto
dei diritti dell’uomo, anche dei migranti. Penso di non essere buonista perché chi
è stato 20 anni in Africa e ha girato il mondo per 40 anni, ha acquisito un realismo
necessario, ma non può mancare di ricordarsidei principi della
generosità e dell’amore.Tanti che pur si dicono cattolici, non
lo sono per quanto riguarda la dottrina sociale della Chiesa che fa parte della morale
cristiana come ci diceva Giovanni Paolo II. Sì, la sollecitudine nei confronti del
prossimo è l’elemento orizzontale della Croce, che fa sì che essa sia quello che è
e rende vera la sua dimensione verticale. Si fa fatica a comprenderlo. Lo capisco,
la Croce non la si intende, la si accoglie, nel mistero pasquale nella sua totalità.
D.
- Di fronte alle odierne politiche migratorie la Chiesa guarda con preoccupazione
alla situazione degli immigrati qualificati con gli aggettivi “irregolari” o “clandestini”?
R.
- Le parole che usiamo sono importantissime per creare una mentalità. Extracomunitario,
per esempio, è per me una parola bruttissima! Sono contrario pure all’uso dell’aggettivo
“clandestino” e noi diciamo “irregolare”. Siamo preoccupati per queste parole, mentalità,
atteggiamenti? Sì, lo siamo, e quanto il Santo Padre dice, ne è un segno. C’è un abbassamento
nell’accoglienza, nella legislazione europea in materia; rinasce una xenofobia che
è il contrario del Vangelo, di quello che la Chiesa, specialmente cattolica, è: universale,
sia pure anche particolare, locale.