Dopo Israele anche Hamas annuncia il cessate il fuoco. Diplomazia internazionale al
lavoro per la pace al Vertice di Sharm el Sheikh
Dopo Israele anche Hamas ha annunciato il cessate il fuoco, ma in mattinata sono proseguiti
i combattimenti fra le truppe israeliane e i miliziani palestinesi. La diplomazia
è intanto al lavoro a Sharm el Sheikh, in Egitto, dove si apre il vertice internazionale
voluto dal presidente egiziano Mubarak per sancire una tregua definitiva. Intanto,
da Washington il presidente eletto statunitense, Barack Obama, ha espresso la sua
soddisfazione per il cessate il fuoco e si è detto impegnato ad aiutare Israele e
i palestinesi a lavorare per la pace. Il servizio di Marco Guerra:
La fragilissima
tregua unilaterale proclamata da Israele ieri sera, ed entrata in vigore alle 2 ore
locali, è già stata violata questa mattina dal lancio di almeno 10 razzi da Gaza verso
il Negev, atto rivendicato dalla Jihad islamica e seguito dall’immediata risposta
dell’aviazione israeliana, che afferma di aver colpito una postazione di lancio nel
nord della Striscia. Si sono poi registrati combattimenti anche a terra fra i miliziani
di Hamas e le truppe di Tel Aviv nella zona di Khuzaa, con un palestinese rimasto
ucciso negli scontri a fuoco. D’altra parte, annunciando il cessate il fuoco, lo stesso
premier Olmert ha precisato che l’esercito ha avuto ordine di reagire se attaccato
o per fermare il lancio di razzi. Olmert ha quindi affermato che se Hamas smetterà
di lanciare i razzi contro Israele, il governo prenderà in considerazione un ritiro
delle truppe dalla Striscia. Dal canto suo, Hamas aveva prima ribadito che la resistenza
sarebbe continuata fino al ritiro completo dei soldati israeliani per poi dichiarare,
pochi minuti fa, una tregua di una settimana per consentire alle truppe dello Stato
ebraico di ritirasi dalla Striscia. Intanto, continua l’impegno diplomatico della
comunità internazionale: nelle prossime ore si terrà a Sharm el Sheik il vertice su
Gaza convocato dall’Egitto, che si pone l’obiettivo di sancire una tregua duratura
e di fermare il contrabbando di armi verso Gaza. In mattinata sono arrivati nella
località del Sinai il presidente della Lega Araba, il segretario dell'Onu Ban Ki-moon
e i leader europei di Francia, Gran Bretagna, Italia, Germania, Spagna e Russia. Questi
ultimi in serata raggiungeranno per ulteriori colloqui a Gerusalemme il primo
ministro israeliano, Ehud Olmert.
E, intanto, non accenna
a risolversi la drammatica situazione umanitaria nella Striscia di Gaza, dove negli
ultimi giorni sono state colpite anche infrastrutture ospedaliere e internazionali.
Sulla situazione a Gaza ecco la testimonianza di Andrea Pontiroli, portavoce
di "Medici senza frontiere – Italia", intervistato da Stefano Leszczynski:
R. -
Siamo di fronte ad una catastrofe umanitaria, aggravata dal fatto che c’è una popolazione
civile che è attaccata in maniera indiscriminata, quindi in violazione delle Convenzioni
di Ginevra e dei protocolli addizionali, quindi del diritto umanitario internazionale
che impone di distinguere tra civili ed uomini in armi. Secondo, è estremamente difficile,
se non impossibile, per i feriti, raggiungere le strutture sanitarie ed anche per
i soccorritori, i nostri operatori di "Medici Senza Frontiere".
D.
– Quegli obiettivi che un tempo erano considerati intoccabili durante i conflitti,
quindi scuole, ospedali, sedi delle Nazioni Unite, invece non hanno più quell’aspetto
di neutralità necessaria durante il conflitto. Perché questo avviene?
R.
– Questo purtroppo avviene già da diversi anni; qui a Gaza, anche per la concentrazione
della popolazione civile, delle strutture sanitarie, lo notiamo di più; però è vero
che da diversi anni il rispetto delle strutture ospedaliere, anzitutto, e del lavoro
degli operatori umanitari e della popolazione civile, sembra fare grandi passi indietro.
E’ molto grave, questo. Noi continuiamo a denunciarlo come l’ha denunciato la Croce
Rossa Internazionale, come l’hanno denunciato le Nazioni Unite. Purtroppo, però, il
comportamento, delle parti in conflitto non cambia.
D.
– Gli operatori di "Medici Senza Frontiere", nella Striscia di Gaza, come riescono
a portare avanti il loro compito, in una situazione così estrema e drammatica?
R.
– Diciamo che, fin dall’inizio ci si è resi conto, appunto, che stare negli ospedali
o nei centri di salute, non era sufficiente per l’impossibilità dei feriti a raggiungere
queste strutture. Abbiamo cambiato il nostro approccio per cui i nostri 70 operatori
palestinesi prestano assistenza direttamente nei quartieri in cui vivono, quindi sono
loro che cercano di andare di casa in casa, nei quartieri, a portare soccorso ai feriti.
D.
– Sono stati avviati dei colloqui in questo senso con le parti in conflitto, quindi
per chiedere la possibilità di evacuare i feriti più gravi?
R.
– Noi continuiamo a chiedere, sia al governo israeliano sia ad Hamas, di garantire
con aiuti umanitari la possibilità di soccorrere i feriti e portarli al sicuro. Tutto
questo non sta avvenendo assolutamente: la cosiddetta tregua giornaliera di tre ore
- che tra l’altro spesso non viene neanche rispettata in pieno - è assolutamente insufficiente.
Insomma, siamo ben lontani da quello che prevede il diritto umanitario internazionale
ed anche il buon senso.