Rapporto Unicef: curare le mamme nei Paesi più poveri per salvare i loro bambini
Presentato stamane a Roma il Rapporto annuale dell’Unicef sulla condizione dell’Infanzia
nel mondo, dedicato quest’anno al tema “Salute materna e neonatale”. Il servizio di
Roberta Gisotti:
Le
mamme e i loro bambini al centro del Rapporto Unicef 2009. Si stima che 1500 donne
ogni giorno muoiano di parto o per complicazioni legate alla gravidanza, vale a dire
dal 1990 ad oggi 10 milioni di vittime, per oltre il 99 per cento residenti in Paesi
in via di sviluppo. Ed altre 10 milioni sono le donne che ogni anno sopravvivono a
gravidanze e parti difficili con gravi conseguenze di salute. Sul fronte dei neonati
basti dire che un bimbo nato in un Paese in via di sviluppo rischia 14 volte in più
di morire entro il primo mese di vita rispetto ad un neonato di un Paese industrializzato.
Tra le cause principali di mortalità materna sono: emorragie, infezioni, aborti, ipertensione
e parti chiusi. Ad uccidere i neonati sono soprattutto le infezioni, l’asfissia, le
nascite premature. Da qui l’intento dell’Unicef di invertire una spirale negativa,
come ci spiega la dott.ssa Donata Lodi, responsabile dei Programmi
dell’Unicef-Italia:
R. – Questa è l’area in cui ci sono stati
meno progressi negli ultimi anni, mentre abbiamo avuto dei risultati molto positivi
nella riduzione della mortalità infantile da 0 a 5 anni, è proprio nella riduzione
della mortalità neonatale e della mortalità delle madri – soprattutto legata al parto
e anche a malattie in gravidanza – che non si sono fatti grandi passi avanti, verso
gli obiettivi di sviluppo del millennio.
D. – Questo
è uno degli aspetti in cui c’è maggior divario tra Paesi sviluppati e Paesi non sviluppati?
R.
– Senza dubbio. Una donna di un Paese in via di sviluppo ha una probabilità di morire,
per cause legate alla gravidanza o al parto, 300 volte superiore a quelle di una donna
di un qualunque Paese industrializzato. Soprattutto in Africa e in Asia, la situazione
è pesantissima.
D. – A chi vi rivolgete con questo rapporto,
piuttosto alle opinioni pubbliche o ai governi?
R. –
All’opinione pubblica e ai governi, perché senza la pressione dell’opinione pubblica,
su questo tema sarà difficile ottenere dei progressi. Il messaggio è molto semplice:
se noi riusciamo a ridurre la mortalità da parto delle donne, riusciremo anche ad
avere dei progressi maggiori nella riduzione della mortalità infantile, perché tutte
le statistiche concordano sul fatto che i figli di madri morte durante il parto hanno
una probabilità di vita inferiore, e quello che si fa per migliorare la salute delle
madri ha anche – come effetto indiretto – il miglioramento della condizione di vita
dei bambini. Mi spiego molto banalmente: i servizi sanitari che servono per ridurre
la mortalità infantile, servizi capillari che arrivino in tutti i villaggi e che facciano
diagnosi prenatali - e facciano anche quindi un lavoro di prevenzione - sono gli stessi
servizi che possono avere dei risultati spettacolari nel miglioramento della salute
dei bambini. Mettere al centro l’obiettivo della salute materna, significa creare
realmente la possibilità d’invertire il circolo vizioso che porta poi alle morti di
bambini o a condizioni di disagio nelle famiglie dei Paesi più poveri.
D.
– Vi siete posti il problema di non essere comunque ascoltati, in questo periodo di
crisi economica, che si dice globale?
R. – Sì, ce lo
siamo posto. Infatti per questo insistiamo anche sul fatto che non si tratta d’interventi
costosi; si tratta d’interventi che consentono, già nel medio termine, una riduzione
della spesa sanitaria. Costa molto di più curare le conseguenze della mancanza di
queste strutture sanitarie di quanto non costi creare questa rete capillare di servizi
per le madri.