Mosca accusa Kiev: l'Ucraina blocca il transito del gas
Nuovo blocco delle forniture di gas in Europa. E la Commissione europea fa sapere
che, se i flussi non dovessero essere subito ripristinati, le compagnie europee verranno
esortate a “ricorrere alle corti di giustizia” contro la russa Gazprom e l’ucraina
Naftogaz. Nei Paesi più colpiti dalla crisi del gas - prosegue la Commissione UE -
ci sono decine di migliaia di “famiglie senza riscaldamento e senza gas per cucinare,
50 mila solo in Bulgaria”. Secondo Mosca, l’Ucraina rifiuta il transito sul proprio
territorio del gas russo destinato a Balcani, Moldova e Slovacchia, mentre la premier
di Kiev, Tymoshenko, assicura che il passaggio riprenderà non appena arriveranno i
flussi di gas dalla Gazprom. Dei contrasti tra i due Paesi, Giancarlo La Vella
ha parlato con Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana, esperto
dell’area ex sovietica:
R. -
La cosa straordinaria di questa crisi è che sia la Russia sia l’Ucraina hanno tutto
l’interesse ad andare d’accordo, perché l’Ucraina dipende totalmente dalla Russia
per gli approvvigionamenti energetici, e la Russia dipende dall’Ucraina per il transito
dei gasdotti e quindi per la possibilità di vendere concretamente il gas all’Europa,
che è un suo proficuo cliente. Che questi due Paesi non vadano d’accordo su una cosa
che conviene a entrambi dimostra che le due classi politiche non hanno ancora capito
fino in fondo che non viviamo in un mondo sovietico, ma anzi siamo pienamente in un
mondo post-sovietico. D. - C’è un messaggio particolare che,
rispettivamente, i due Paesi vogliono lanciare all’Unione Europea? R.
- Io credo che, molto semplicemente, l’Ucraina confidi di essere salvata, "riscattata",
dall’Occidente, e che la Russia - viceversa - tema questo fatto e non abbia ancora
capito che fare la voce grossa è esattamente il sistema peggiore per affrontare il
problema. D. - Tutto questo mette in crisi le istanze di avvicinamento
di Kiev all’Europa, e allo stesso tempo i buoni rapporti con Mosca… R.
- E’ evidente che l’Unione Europea non ha nessuna intenzione di prendersi la "grana"
Ucraina. Certo è che l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea sarebbe un’ottima
cosa, proprio perché, in realtà, oggi le frontiere non sono più quelle tradizionali.
Una frontiera importantissima, decisiva, tra le nazioni, è proprio quella dell’energia:
io credo che inglobare nell’Unione Europea quella che oggi è tra Russia ed Europa
la vera frontiera - e cioè la frontiera dell’energia - sarebbe una mossa conveniente
a tutti, anche alla Russia. Bulgaria Disordini con diversi
feriti a una dimostrazione antigovernativa sono avvenuti oggi nella capitale bulgara,
Sofia, davanti al Parlamento. La polizia è intervenuta per sedare la protesta e diversi
poliziotti sono rimasti feriti. Da stamani, oltre mille tra studenti, attivisti ambientalisti
e agricoltori sono radunati sulla piazza per dare voce alle loro rivendicazioni. Gli
studenti chiedono una strategia nazionale per gli studi superiori, gli ambientalisti
una moratoria sulle costruzioni di alberghi e piste sciistiche nelle zone protette
del Programma "Ue Natura 2000", e gli agricoltori sussidi statali equi per il loro
settore. Rivolti ai deputati, i dimostranti urlavano slogan come "dimissioni" e "mafia".
Iraq
Due soldati iracheni e un civile sono stati uccisi e altri tre soldati sono
rimasti feriti dall'esplosione di un'autobomba e nel corso di scontri armati in due
luoghi diversi della città settentrionale irachena di Mossul, a nord di Baghdad. Intanto,
le Nazioni Unite hanno annunciato che l'Iraq ha aderito ieri alla Convenzione internazionale
del 1997 sulla messa al bando delle armi chimiche. Alla Convenzione - che proibisce
l'uso di un’intera categoria di armamenti di distruzione di massa - hanno aderito
altri 185 Stati. L'Iraq è uno dei Paesi che ha fatto uso di armi chimiche. Nel 1988,
Saddam Hussein, allora presidente, ordinò di farne ricorso contro la minoranza curda.
Nella sola cittadina di Halabja furono lanciati gas tossici che uccisero non meno
di 5 mila civili. Intanto, una fossa comune con i corpi di una ventina di persone
è stata scoperta questa mattina nel nord della provincia irachena di Babil.
Somalia Continua
massiccio il ritiro delle truppe etiopiche dalla Somalia, e da Mogadiscio in particolare.
Dopo aver sgombrato ieri l'area nord della capitale, ed effettuato una cerimonia ufficiale
di saluto, oggi hanno lasciato quella che era la loro principale guarnigione, accampata
nello stadio di Mogadiscio. Sembra che i ribelli islamici - egemonizzati da integralisti
apparentemente legati ad al Qaeda - cerchino di colpire gli etiopici in ritiro. Attaccato
anche, ma da lontano, il palazzo presidenziale. La speranza è ora che con il ritiro
delle truppe di Addis Abeba la tensione cali, consentendo tempo alle parti in dialogo
(governo di transizione, e moderati islamici, molto appoggiate dai paesi occidentali
e da quelli arabi moderati) di creare una parvenza di entità statuale. Il rischio
è che ci sia un vuoto di potere che faciliti la spallata finale degli insorti, che
potrebbe preludere all'instaurazione di una Repubblica islamica nel ventre molle del
già disastrato e permeabile Corno d'Africa. Le truppe etiopiche erano entrate in Somalia
alla fine del 2006: da allora oltre 10 mila civili morti ed un milione di profughi,
che si aggiungono ai due milioni precedenti: metà della popolazione somala, in condizioni
che l'Onu definisce disperate.
Ocse La crisi mette a rischio le politiche
di bilancio dei Paesi dell'Eurozona. Lo rileva l'Ocse nell'Economic Survey per l'Area
dell'Euro, sottolineando che “alcuni governi hanno fatto ricorso alla politica di
bilancio per attenuare la frenata dell'economia” e che molti Paesi dell'area euro,
così come nel resto del mondo, “hanno messo a disposizione sostanziosi fondi pubblici
per supportare la stabilità del sistema finanziario”.
Nucleare La
Corea del Sud ha chiesto agli Stati Uniti di non avere "troppa fretta" sull'invio
di una propria delegazione speciale a Pyongyang, paventando possibili effetti negativi
sui rapporti intercoreani e sui negoziati a sei nazioni. È quanto riporta oggi a Seul
il quotidiano Chosun Ilbo, che riferisce di un incontro ad alti livelli tenutosi la
settimana scorsa a Washington tra emissari della presidenza sudcoreana ed esponenti
dello staff del presidente Usa eletto, Barack Obama, tra i quali il futuro responsabile
per l'area Asia e Pacifico, Kurt Campbell. Secondo il resoconto del quotidiano, la
delegazione di Seul ha confermato il proprio appoggio a una nuova fase di dialogo
tra Corea del Nord e Usa sotto la nuova amministrazione democratica, ma al tempo stesso
ha espresso le proprie perplessità in merito a una eventuale missione Usa a Pyongyang
in tempi stretti. “La Corea del Nord rischia di ricevere un segnale sbagliato se il
governo statunitense inviasse emissari nell'attuale situazione, che vede i rapporti
tra le due Coree in una fase critica e i colloqui a sei Nazioni sul nucleare in stallo”,
scrive il Chosun Ilbo citando le parole di un funzionario sudcoreano durante l'incontro
di Washington. Durante la campagna elettorale presidenziale, Obama aveva espresso
la sua disponibilità a incontrare il leader comunista, Kim Jong-il, senza precondizioni,
criticando al tempo stesso l'amministrazione Bush per aver tenuto una linea diplomatica
troppo dura e non incline al dialogo con Corea del Nord e Iran. (Panoramica internazionale
a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale della Radio
Vaticana Anno LIII no. 14 E' possibile ricevere gratuitamente,
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