In Orissa il governo chiude i campi profughi dove sono stati accolti i cristiani vittime
di violenze
In India non sembra avere fine il dramma dei cristiani in Orissa: il governo sta chiudendo
tutti i campi profughi dove sono stati accolti molti cristiani in fuga dalle violenze
perpetrate da estremisti indù. Nella zona di Kandhamal in particolare, gruppi di fondamentalisti
hanno ucciso centinaia di persone, bruciato chiese e case, distrutto coltivazioni.
Degli oltre 50 mila sfuggiti ai massacri, circa 20 mila hanno trovato rifugio in campi
approntati dal governo. “Ma adesso questi campi – riferisce ad AsiaNews padre Nithiya,
segretario esecutivo di Giustizia e pace – vengono chiusi e la gente viene mandata
via con un piccolo compenso di circa 153 euro”. “I cristiani di Kandhamal – aggiunge
il sacerdote - vivono ormai nella paura e non trovano riparo da nessuna parte. Non
possono vivere con dignità: la somma data loro non è sufficiente nemmeno a comprare
il cibo; i loro campi sono stati bruciati; le loro case sono ormai distrutte”. Sul
terreno, la situazione resta drammatica: “Due giorni fa – racconta una fonte da Raikia,
dove sono avvenuti diversi massacri – nel villaggio di Mokobili, i gruppi estremisti
indù hanno rintracciato i cristiani ritornati dai campi profughi, li hanno svegliati
nella notte e li hanno minacciati”. Frate Oscar Tete, superiore dei Missionari della
carità, il ramo maschile dell’ordine fondato da Madre Teresa, riferisce poi che anche
per loro “non vi è futuro certo”. Le loro case e il lebbrosario a Srasananda (Kandhamal)
sono stati distrutti due volte: nel dicembre 2007 e nell’agosto 2008. Ogni settimana
vanno a visitare i cristiani e i lebbrosi a Srasananda perché la loro presenza “è
un conforto per la nostra gente”. La situazione è ancora più dolorosa per tanti fedeli:
“questi – spiega frate Oscar Tete - sono lavoratori a giornata e nessuno offre loro
lavoro. Anche se qualcuno ha dei soldi, i negozianti si rifiutano di vedere qualunque
roba ai cristiani, perfino il cibo”. (A.L.)