La Chiesa in India grata per l'appoggio del Papa contro le persecuzioni anticristiane,
mentre il clima in Orissa appare più disteso. Intervista con mons. Machado
Ha accolto con gratitudine le parole del Papa, ancora una volta solidale con le vicende
che l'hanno colpita. La Chiesa indiana ha appena concluso il periodo del Natale sotto
la minaccia - fortunatamente mai attuata - di nuove violenze da parte dell’integralismo
indù, che nei mesi scorsi aveva scatenato un’autentica persecuzione, provocando indignazione
in tutto il mondo e grande preoccupazione in Benedetto XVI e nella Chiesa. Circa 13
mila fedeli dell’Orissa hanno partecipato alle celebrazioni natalizie nei campi profughi
dove sono tuttora, in attesa di una normalità che il governo ha detto di voler ristabilire
al più presto. Alessandro De Carolis ne ha parlato con il vescovo della
diocesi indiana di Nashik, Felix Anthony Machado:
R. -
La situazione è migliorata ma la condizione dei profughi rimane difficile perché c’è
una grande paura. Anche se il governo dice che adesso c’è la sicurezza, dobbiamo capire
che con ciò che è successo non è facile per questa gente rientrare subito, perché
hanno ancora molta paura. D. - Pochi giorni fa, la Corte Suprema
indiana ha ordinato allo Stato dell’Orissa di continuare a garantire la sicurezza
delle minoranze religiose. Come valuta questa decisione? R.
- Questa è una decisione molto buona, perché quando la Corte Suprema pronuncia una
sentenza come questa, va seguita. Però non sappiamo cosa possa accadere nel futuro.
Adesso, la priorità delle notizie è data agli attentati di Mumbay con quello che ne
segue. C'è l’ombra della guerra e la Chiesa sta facendo tutto il possibile per evitarla
e per enfatizzare la pace. D. - A questo proposito, in che modo
si muoverà la Chiesa indiana per il prossimo futuro? R. - Noi
siamo sempre per la pace, noi siamo per la libertà religiosa, noi siamo per il dialogo
e non solo a parole. Io incontro molti indù nella mia diocesi e molti genitori dei
bambini che vengono nelle nostre scuole o nei nostri ospedali, mi dicono che la Chiesa
appoggia veramente la pace, il dialogo, la libertà religiosa. Quindi, la strada della
Chiesa è chiarissima. Non c’è la vendetta per noi - perché la parola vendetta non
esiste nel Vangelo - e siamo sempre per la riconciliazione, per fare tutto il possibile
per costruire la pace. D. - Ci sono state, eccellenza, nella
sua diocesi, durante queste vacanze di Natale, forme e segni di solidarietà con i
cristiani dell’Orissa? R. - Un grande passo che abbiamo fatto
è stato quello di passare un Natale in modo semplice. Il Natale è una festa di gioia
per noi e abbiamo espresso questa gioia nella liturgia, ma abbiamo diminuito la celebrazione
esterna: il mangiare, il danzare, le decorazioni delle case. Nella mia diocesi ho
invitato leader civili e leader religiosi e con loro abbiamo fatto una preghiera e
una riflessione sui fatti avvenuti in Orissa e sui fatti di terrorismo a Mumbay. La
gente ha capito che quella non è la strada da seguire. D. -
Nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace - ma anche oggi nel discorso
al Corpo Diplomatico in Vaticano - Benedetto XVI ha nuovamente denunciato gli attacchi
contro le comunità cristiane in India. Come avete accolto le parole del Papa? R.
- Le parole del Santo Padre sono molto incoraggianti per noi. Sono contento che sia
così, perché non possiamo dimenticare. Non accogliamo questa ingiustizia e auspico
che non si ripeti.