Il testo integrale del discorso di Benedetto XVI ai membri del Corpo Diplomatico
Eccellenze, Signore e Signori,
il mistero dell’Incarnazione del Verbo,
che noi riviviamo ogni anno nella Festa del Natale, ci invita a meditare sugli avvenimenti
che segnano il corso della storia. Ed è precisamente nella luce di questo mistero
pieno di speranza che si tiene questo incontro tradizionale con voi, illustri membri
del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, che, all'inizio di questo
anno nuovo ci offre un'occasione opportuna per scambiare cordiali auguri. Mi rivolgo
innanzitutto a Sua Eccellenza l'Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, esprimendogli
la mia gratitudine per gli auguri che mi ha gentilmente presentato, per la prima volta,
come Decano del Corpo diplomatico. Il mio saluto deferente si estende ad ognuno di
voi, così come alle vostre famiglie ed ai vostri collaboratori e, attraverso voi,
ai popoli ed ai governi dei Paesi che voi rappresentate. Per tutti, chiedo Dio il
dono di un anno che sia fecondo di giustizia, di serenità e di pace.
All’alba
di questo 2009, il mio pensiero affettuoso va innanzitutto a quanti hanno sofferto
a causa di gravi catastrofi naturali, in particolare in Vietnam, in Birmania, in Cina
e nelle Filippine, in America Centrale e nei Caraibi, in Colombia e in Brasile, o
a causa di sanguinosi conflitti nazionali o regionali o a causa di attentati terroristi
che hanno seminato la morte e la distruzione in Paesi come l’Afghanistan, l’India,
il Pakistan e l’Algeria. Nonostante tanti sforzi, la pace così desiderata è ancora
lontana! Di fronte a ciò, non dobbiamo scoraggiarci o diminuire l'impegno a favore
di una cultura di pace, ma a raddoppiare i nostri sforzi per promuovere la sicurezza
e lo sviluppo. In questo senso, la Santa Sede ha voluto essere tra i primi a firmare
e ratificare la “Convenzione sulle munizioni a grappolo”, un documento che ha l'obiettivo
di rafforzare il diritto umanitario internazionale. D'altra parte, osservando con
preoccupazione i sintomi di una crisi che emergono nel settore del disarmo e della
non proliferazione nucleare, la Santa Sede continua a ricordare che non siamo in grado
di costruire la pace, quando la spesa militare sottrae enormi risorse umane e materiali
per i progetti di sviluppo, specialmente dei popoli più poveri.
Ed è verso
i poveri, i troppo numerosi poveri del nostro pianeta, che vorrei rivolgere la mia
attenzione oggi, nella scia del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, che
ho dedicato quest'anno al tema “combattere la povertà, costruire la pace". Le parole
con le quali il Papa Paolo VI iniziava la sua riflessione nella Enciclica Populorum
Progressio non hanno perso nulla della loro attualità: “Essere affrancati dalla miseria,
garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, un'occupazione
stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione,
al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini; godere di una maggiore
istruzione; in una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più: ecco
l'aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran numero d'essi è condannato a vivere
in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio” (n.6). Per costruire
la pace, occorre ridare speranza ai poveri. Come non pensare a tante persone e famiglie
colpite dalle difficoltà e dalle incertezze che l’attuale crisi finanziaria ed economica
ha causato a livello mondiale? Come non evocare la crisi alimentare e il surriscaldamento
climatico, che rendono ancora più arduo l'accesso al cibo e all’acqua per gli abitanti
delle regioni fra le più povere del pianeta? È d’ora innanzi urgente adottare una
strategia efficace per combattere la fame e facilitare lo sviluppo agricolo locale,
soprattutto perché la percentuale di persone povere nei Paesi ricchi aumenta. In questo
contesto, sono lieto che in occasione della recente Conferenza di Doha sul finanziamento
dello sviluppo, siano stati individuati i criteri utili per orientare la gestione
del sistema economico e aiutare i più deboli. Più in profondità, per rendere l'economia
sana, è necessario costruire una nuova fiducia. Ciò può essere realizzato solo attraverso
l'attuazione di un’etica basata sulla dignità innata della persona umana. So quanto
ciò sia impegnativo, ma non è un'utopia! Oggi più di ieri, il nostro futuro è in gioco,
così come il destino stesso del nostro pianeta e dei suoi abitanti, in primo luogo
delle giovani generazioni che ereditano un sistema economico e un tessuto sociale
fortemente compromessi.
Sì, Signore e Signori, se vogliamo lottare contro la
povertà, dobbiamo investire soprattutto nei giovani, educandoli a un ideale di vera
fraternità. Durante il mio viaggio apostolico dello scorso anno, ho avuto l'opportunità
di incontrare molti giovani, soprattutto nel contesto della straordinaria celebrazione
della XXIII Giornata Mondiale della Gioventù a Sydney, in Australia. I miei viaggi
apostolici, iniziati con una visita negli Stati Uniti, hanno anche contribuito a valutare
le aspettative di molti settori della società nei confronti della Chiesa cattolica.
In questa delicata fase della storia umana, segnata da incertezze e dubbi, molti si
aspettano che la Chiesa svolga con coraggio e chiarezza la sua missione di evangelizzazione
e la sua opera di promozione umana. Il mio intervento presso la Sede delle Nazioni
Unite si inseriva in questo contesto: sessant’anni dopo l'adozione della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'Uomo, ho voluto sottolineare che questo documento si basa
sulla dignità della persona umana, e questa sulla natura comune a tutti che trascende
le diverse culture. Dopo qualche mese, mi sono recato in pellegrinaggio a Lourdes
per il cento cinquantesimo anniversario delle apparizioni della Vergine Maria a santa
Bernadette, ho voluto sottolineare che il messaggio di conversione e di amore che
si irradia dalla grotta di Massabielle resta di grande attualità, come un costante
invito a costruire la nostra esistenza e le relazioni tra i popoli sulla base del
rispetto e dell’autentica fraternità, nella consapevolezza che tale fraternità suppone
un comune Padre di tutti gli uomini, il Dio Creatore. Inoltre, una sana laicità della
società non ignora la dimensione spirituale e i suoi valori, perché la religione,
e mi è sembrato utile ripeterlo durante la mia visita pastorale in Francia, non è
un ostacolo, ma piuttosto un solido fondamento per la costruzione di una società più
giusta e più libera.
Le discriminazioni e i gravissimi attacchi di cui sono
stato vittime, l’anno scorso, migliaia di cristiani, mostrano come non sia soltanto
la povertà materiale, ma anche la povertà morale a nuocere alla pace. E’ nella povertà
morale, infatti, che simili abusi affondano le loro radici. Riaffermando l’alto contributo
che le religioni possono dare alla lotta contro la povertà e alla costruzione della
pace, vorrei ripetere in questa assemblea che, idealmente, rappresenta tutte le nazioni
del mondo: il cristianesimo è una religione di libertà e di pace ed è al servizio
del vero bene dell’umanità. Ai nostri fratelli e alle nostre sorelle vittime della
violenza, specialmente in Iraq e in India, rinnovo l’assicurazione del mio paterno
affetto; alle autorità civili e politiche, domando insistentemente di adoperarsi con
energia per mettere fine all’intolleranza e alle vessazioni contro i cristiani, di
far sì che siano riparati i danni provocati, in particolare ai luoghi di culto e alle
proprietà; e di incoraggiare con ogni mezzo il giusto rispetto per tutte le religioni,
mettendo al bando ogni forma di odio e di disprezzo. Auspico altresì che, nel mondo
occidentale, non si coltivino pregiudizi o ostilità contro i cristiani, semplicemente
perché, su certe questioni, la loro voce dissente. Da parte loro, i discepoli di Cristo,
di fronte a tali prove, non si perdano d’animo: la testimonianza del Vangelo è sempre
un “segno di contraddizione” rispetto allo “spirito del mondo”! Se le tribolazioni
sono penose, la costante presenza di Cristo è un potente conforto. Il suo Vangelo
è un messaggio di salvezza per tutti ed è per questo che esso non può essere confinato
nella sfera privata, ma va proclamato sui tetti, fino alle estremità della terra.
La
nascita di Cristo nella povera grotta di Betlemme ci conduce naturalmente ad evocare
la situazione nel Medio-Oriente e, in primo luogo, in Terra Santa, dove, in questi
giorni, assistiamo ad una recrudescenza di violenza che provoca danni e immense sofferenze
alle popolazioni civili. Questa situazione complica ancora la ricerca di una via d’uscita
dal conflitto tra Israeliani e Palestinesi, vivamente desiderata da molti di essi
e dal mondo intero. Una volta di più, vorrei ripetere che l’opzione militare non è
una soluzione e che la violenza, da qualunque parte essa provenga e qualsiasi forma
assuma, va condannata fermamente. Auspico che, con l’impegno determinante della comunità
internazionale, la tregua nella striscia di Gaza sia rimessa in vigore – ciò che è
indispensabile per ridare condizioni di vita accettabili alla popolazione – e che
siano rilanciati i negoziati di pace rinunciando all’odio, alle provocazioni e all’uso
delle armi. E’ molto importante che, in occasione delle scadenze elettorali cruciali
che interesseranno molti abitanti della regione nei prossimi mesi, emergano dirigenti
capaci di far avanzare con determinazione questo processo e di guidare i loro popoli
verso la difficile ma indispensabile riconciliazione. A questa non si potrà giungere
senza adottare un approccio globale ai problemi di quei Paesi, nel rispetto delle
aspirazioni e degli interessi legittimi di tutte le popolazioni coinvolte. Oltre agli
sforzi rinnovati per la soluzione del conflitto israelo-palestinese, che ho appena
menzionato, occorre dare un sostegno convinto al dialogo tra Israele e la Siria e,
per il Libano, appoggiare il consolidarsi in atto delle istituzioni, che sarà tanto
più efficace quanto più si compirà in uno spirito di unità. Agli Iracheni, che si
preparano a riprendere pienamente in mano il proprio destino, rivolgo un incoraggiamento
particolare a voltare pagina per guardare al futuro, per costruirlo senza discriminazioni
di razza, di etnia o di religione. Per quanto riguarda l’Iran, non bisogna rinunciare
a ricercare una soluzione negoziata alla controversia sul programma nucleare, attraverso
un dispositivo che permetta di soddisfare le legittime esigenze del Paese e della
comunità internazionale. Un simile risultato favorirebbe grandemente la distensione
regionale e mondiale.
Volgendo lo sguardo al grande continente asiatico, constato
con preoccupazione che in certi Paesi le violenze perdurano e in altri la situazione
politica rimane tesa, ma vi sono dei progressi che permettono di guardare al futuro
con maggiore fiducia. Penso, ad esempio, alla ripresa di nuovi negoziati di pace a
Mindanao, nelle Filippine, e al nuovo corso che prendono le relazioni tra Pechino
e Taipei. Nel medesimo contesto di ricerca di pace, anche una soluzione definitiva
del conflitto in corso in Sri Lanka non potrebbe essere che politica, mentre i bisogni
umanitari delle popolazioni interessate devono rimanere oggetto di attenzione continua.
Le comunità cristiane che vivono in Asia sono spesso ridotte dal punto di vista numerico,
ma desiderano offrire un contributo convinto ed efficace al bene comune, alla stabilità
e al progresso dei loro Paesi, testimoniando il primato di Dio, che stabilisce una
sana gerarchia di valori e dona una libertà più forte delle ingiustizie. La recente
beatificazione di 128 martiri, in Giappone, l’ha richiamato in modo eloquente. La
Chiesa, come si è detto molte volte, non domanda privilegi, ma l’applicazione del
principio della libertà religiosa in tutta la sua estensione. In tale ottica, è importante
che, in Asia centrale, le legislazioni sulle comunità religiose garantiscano il pieno
esercizio di questo diritto fondamentale, nel rispetto delle norme internazionali. Fra
qualche mese avrò la gioia di incontrare molti fratelli e sorelle nella fede e in
umanità che vivono in Africa. Nell’attesa di questa visita che io ho tanto desiderato,
prego il Signore che i loro cuori siano disponibili ad accogliere il Vangelo e a viverlo
con coerenza, costruendo la pace lottando contro la povertà morale e materiale. Una
attenzione particolare dev’essere riservata all’infanzia: venti anni dopo l’adozione
della Convenzione sui diritti dei bambini, essi rimangono ancora assai vulnerabili.
Molti bambini vivono il dramma dei rifugiati e dei trasferiti in Somalia, nel Darfour
e nella Repubblica democratica del Congo. Si tratta di flussi migratori che riguardano
milioni di persone che hanno bisogno di un aiuto umanitario e che sono soprattutto
private dei loro diritti elementari e feriti nella loro dignità. Chiedo a coloro che
hanno responsabilità politiche, a livello nazionale e internazionale, di prendere
tutte le misure necessarie per risolvere i conflitti in corso e porre fine alle ingiustizie
che li hanno provocati. Spero che in Somalia la restaurazione dello Stato possa infine
progredire affinché cessino le interminabili sofferenze degli abitanti di tale Paese.
Anche nello Zimbabwe la situazione rimane critica e sono necessari considerevoli aiuti
umanitari. Gli Accordi di pace in Burundi hanno gettato un barlume di speranza nella
regione. Formulo l’augurio che essi vengano pienamente applicati e diventino sorgente
di ispirazione per gli altri Paesi che non hanno ancora trovato la via della riconciliazione.
Come voi sapete, la Santa Sede segue con una attenzione speciale il continente africano
ed è lieta di avere stabilito l’anno scorso le relazioni diplomatiche con il Botswana.
In
questo vasto panorama che abbraccia il mondo intero, desidero anche fermarmi un momento
sull’America Latina. Anche là i popoli desiderano vivere in pace, liberati dalla povertà
e potendo liberamente esercitare i loro diritti fondamentali. In questo contesto occorre
augurarsi che i bisogni di coloro che emigrano siano presi in considerazione da legislazioni
che facilitino il ricongiungimento familiare e concilino le legittime esigenze della
sicurezza e quelle dell’inviolabile rispetto della persona. Vorrei inoltre lodare
l’impegno prioritario di certi governi per ristabilire la legalità e condurre una
lotta senza compromessi contro il traffico di stupefacenti e la corruzione. Mi rallegro
che, trent’anni dopo l’inizio della mediazione pontificia sulle vertenze tra l’Argentina
e il Cile riguardanti la zona australe, i due Paesi abbiano in qualche modo suggellato
la loro volontà di pace elevando un monumento al mio venerato predecessore Papa Giovanni
Paolo II. Spero pertanto che la recente firma dell’Accordo tra la Santa Sede e il
Brasile faciliti il libero esercizio della missione evangelizzatrice della Chiesa
e rafforzi ancor più la sua collaborazione con le istituzioni civili per lo sviluppo
integrale della persona. La Chiesa accompagna da cinque secoli i popoli dell’America
latina, condividendo le loro speranze e le loro preoccupazioni. I suoi Pastori sanno
che per favorire un autentico progresso della società, il loro specifico compito è
quello di illuminare le coscienze e di formare dei laici capaci di intervenire con
coraggio nelle realtà temporali, mettendosi al servizio del bene comune.
Volgendo
infine il mio sguardo alle nazioni che sono più vicine, desidererei salutare la comunità
cristiana della Turchia, ricordando che, in questo anno giubilare speciale in occasione
del secondo millennio della nascita dell’Apostolo san Paolo, numerosi pellegrini convergono
verso Tarso, sua città d’origine, sottolineando così ancora una volta lo stretto legame
di questa terra con le origini del cristianesimo. Le aspirazioni alla pace sono vive
a Cipro, dove sono ripresi i negoziati in vista di eque soluzioni ai problemi legati
alla divisione dell’Isola. Per quanto concerne il Caucaso vorrei ricordare ancora
una volta che i conflitti che interessano gli Stati della Regione non possono essere
risolti con le armi e, pensando alla Georgia, mi auguro che vengano onorati tutti
gli impegni sottoscritti nell’Accordo di cessate-il-fuoco del mese di agosto scorso,
concluso grazie agli sforzi diplomatici dell’Unione Europea, e che il ritorno degli
sfollati nelle loro case sia al più presto reso possibile. Trattando infine del Sud
est dell’Europa, la Santa Sede continua il suo impegno per la stabilità nella regione
e spera che si continueranno a creare le condizioni per un avvenire di riconciliazione
e di pace tra le popolazioni della Serbia e del Kosovo, nel rispetto delle minoranze
e senza dimenticare la difesa del prezioso patrimonio artistico e culturale cristiano,
che costituisce una ricchezza per tutta l’umanità.
Signore e Signori Ambasciatori,
al termine di questo sguardo panoramico, che a motivo della brevità non può ricordare
tutte le situazioni di sofferenza e di povertà che sono presenti al mio spirito, ritorno
al Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace di questo anno.
In questo documento ho ricordato che gli esseri umani più poveri sono i bambini non
ancora nati (n.3). Non posso non ricordare, terminando, gli altri poveri, come i malati
e le persone anziane abbandonate, le famiglie divise e senza possibilità di rimedio.
La povertà si combatte se l’umanità è resa più fraterna tramite valori ed ideali condivisi,
fondati sulla dignità della persona, sulla libertà unita alla responsabilità, sul
riconoscimento effettivo del posto di Dio nella vita dell’uomo. In questa prospettiva,
fissiamo il nostro sguardo su Gesù, l’umile bambino deposto nella mangiatoia. Poiché
Egli è il Figlio di Dio, ci indica che la solidarietà fraterna tra tutti gli uomini
è la via maestra per combattere la povertà e costruire la pace. Che la luce del Suo
amore illumini tutti i governanti e tutta l’umanità! Che essa ci guidi per tutto questo
nuovo anno che sta incominciando! Buon anno a tutti.