“La presenza di Cristo è un dono da condividere con tutti”: così Benedetto XVI ai
Primi Vespri di Maria Madre di Dio. Il pensiero ai giovani e alla crisi mondiale
“La presenza di Cristo è un dono che dobbiamo saper condividere con tutti”: così il
Papa questa sera, nella Basilica Vaticana, durante i Primi Vespri della Solennità
di Maria Santissima Madre di Dio, seguiti dal tradizionale Te Deum. Nella sua omelia,
Benedetto XVI ha rivolto un pensiero particolare ai giovani ed alla crisi economica
e sociale che coinvolge il mondo intero. Al termine della celebrazione, il Santo Padre
ha sostato in preghiera davanti al Presepe di Piazza San Pietro. Il servizio di
Isabella Piro
(canto:
Magnificat)
Due “realtà inscindibili” che formano un “unico mistero”:
il legame che avvolge Gesù, “uomo-Dio” e “la maternità divina di Maria” è proprio
questo. E il Papa lo ricorda, celebrando i Primi Vepri della Solennità della Santissima
Madre di Dio perché, aggiunge, “il Natale di Cristo è interamente soffuso della luce
di Maria” ed il nostro sguardo “non può non volgersi riconoscente” verso Colei che
“con il suo sì ha reso possibile il dono della Redenzione”. Ed è da qui che scaturisce
il nostro sentimento di grazie al Signore:
Questa
sera vogliamo porre nelle mani della celeste Madre di Dio il nostro corale inno di
ringraziamento al Signore per i benefici che lungo i passati dodici mesi ci ha ampiamente
concessi. Il primo sentimento, che nasce spontaneo nel cuore questa sera, è proprio
di lode e di azione di grazie a Colui che ci fa dono del tempo, preziosa opportunità
per compiere il bene; uniamo la richiesta di perdono per non averlo forse sempre utilmente
impiegato.
Poi, Benedetto XVI si sofferma sulla
vicinanza di Dio all’uomo, sul “Verbo eterno del Padre”, venuto al mondo “per restare
con noi, per essere il nostro insostituibile sostegno, specialmente nelle inevitabili
difficoltà di ogni giorno”. Una vicinanza, aggiunge il Papa, che i cristiani devono
diffondere nel mondo:
La presenza di Cristo è un
dono che dobbiamo saper condividere con tutti. (…) L’incontro con Cristo (…) rinnova
l’esistenza personale e ci aiuta a contribuire alla costruzione di una società giusta
e fraterna. Ecco allora che, come credenti, si può dare un grande contributo anche
per superare l’attuale emergenza educativa. Quanto mai utile è allora che cresca la
sinergia fra le famiglie, la scuola e le parrocchie per una evangelizzazione profonda
e per una coraggiosa promozione umana, capaci di comunicare a quanti più è possibile
la ricchezza che scaturisce dall’incontro con Cristo.
Viviamo
tempi “segnati da incertezza e preoccupazione per l’avvenire”, continua il Santo Padre,
tempi in cui “è necessario sperimentare la viva presenza di Cristo”, aiutati da “Maria,
Stella della speranza, che a Lui ci conduce”. Lei che, “con il suo materno amore,
può guidare a Gesù specialmente i giovani”:
Cari
giovani, responsabili del futuro di questa nostra città, non abbiate paura del compito
apostolico che il Signore vi affida, non esitate a scegliere uno stile di vita che
non segua la mentalità edonistica corrente. Lo Spirito Santo vi assicura la forza
necessaria per testimoniare la gioia della fede e la bellezza di essere cristiani.
Le crescenti necessità dell’evangelizzazione richiedono numerosi operai nella vigna
del Signore: non esitate a rispondergli prontamente se Egli vi chiama.
Quindi,
da Roma lo sguardo del Papa si allarga ed il suo pensiero va al periodo critico che
stanno attraversando tutti i Paesi del mondo:
Cari
fratelli e sorelle, quest’anno si chiude con la consapevolezza di una crescente crisi
sociale ed economica, che ormai interessa il mondo intero; una crisi che chiede a
tutti più sobrietà e solidarietà per venire in aiuto specialmente delle persone e
delle famiglie in più serie difficoltà. La comunità cristiana si sta già impegnando
e so che la Caritas diocesana e le altre organizzazioni benefiche fanno il possibile,
ma è necessaria la collaborazione di tutti, perché nessuno può pensare di costruire
da solo la propria felicità.
Ma “anche se all’orizzonte
vanno disegnandosi non poche ombre sul nostro futuro”, conclude Benedetto XVI, “non
dobbiamo avere paura”, perché “la nostra grande speranza di credenti è la vita eterna
nella comunione di Cristo e di tutta la famiglia di Dio”. Una speranza che ci dà la
forza di “affrontare e superare tutte le difficoltà del mondo”.
(canto:
Te Deum)
Domani alle 10.00, sempre
in San Pietro, il Papa presiederà la celebrazione della Solennità mariana nella 42.ma
Giornata Mondiale della Pace per la quale il Pontefice ha scritto un messaggio che
si intitola “Combattere la povertà, costruire la pace”. Sui contenuti del messaggio
il servizio di Sergio Centofanti.
Il
dramma della miseria che calpesta i diritti di centinaia di milioni di persone, favorendo
o aggravando i conflitti, “s’impone alla coscienza dell’umanità”. E il Papa invita
a combattere la povertà nel mondo per costruire la pace. Ma bisogna percorrere una
strada: cambiare “gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture
consolidate di potere che oggi reggono la società”. Non si tratta di un’operazione
puramente esteriore: è necessario infatti “abbandonare la mentalità che considera
i poveri (…) come un fardello e come fastidiosi importuni che pretendono di consumare
quanto altri hanno prodotto”: occorre “guardare ai poveri nella consapevole prospettiva
di essere tutti partecipi di un unico progetto divino, quello della vocazione a costituire
un’unica famiglia”. Del resto,“l’avidità e la ristrettezza di orizzonti” creano quei
“sistemi ingiusti” che “prima o poi prestano il conto a tutti. Solo la stoltezza -
afferma il Papa - può (…) indurre a costruire una casa dorata, ma con attorno il deserto
o il degrado”.
Benedetto XVI denuncia “un aumento del
divario tra ricchi e poveri”, l’attuale crisi alimentare “caratterizzata non tanto
da insufficienza di cibo, quanto da difficoltà di accesso ad esso e da fenomeni speculativi”,
“lo scandalo della sproporzione esistente tra i problemi della povertà e le misure”
predisposte “per affrontarli” e di fronte a questo “l’accrescimento della spesa militare”
che “rischia di accelerare una corsa agli armamenti” provocando “sacche di sottosviluppo
e di disperazione”. Inoltre, il divario tecnologico, l’esclusione dai flussi commerciali
mondiali e le dinamiche dei prezzi, aumentano ancora di più le distanze tra nord e
sud: i Paesi poveri, in particolare quelli africani, soffrono di “una doppia marginalizzazione”:
hanno i redditi più bassi e i prezzi dei loro prodotti agricoli e delle loro materie
prime crescono meno velocemente dei prodotti industriali dei Paesi ricchi. Il Papa
rileva poi “i contraccolpi negativi di un sistema di scambi finanziari (…) basati
su una logica di brevissimo termine” che non considera il bene comune ed è pericoloso
“per tutti, anche per chi riesce a beneficiarne durante le fasi di euforia finanziaria”.
C’è
poi la preoccupazione per le malattie pandemiche come la malaria, la tubercolosi e
l’Aids: la comunità internazionale fa ancora troppo poco per combatterle e talora
i Paesi colpiti sono obbligati dai “ricatti di chi condiziona gli aiuti economici
all’attuazione di politiche contrarie alla vita”. Per quanto riguarda l’Aids, il Papa
invita a “farsi carico di campagne che educhino specialmente i giovani a una sessualità
rispondente alla dignità della persona; iniziative poste in atto in tal senso - spiega
- hanno già dato frutti significativi” facendone diminuire la diffusione. Necessario
poi l’accesso alle medicine da parte dei più poveri con “un’applicazione flessibile
delle regole internazionali della proprietà intellettuale”.
Il
Messaggio, riferendosi a quanti mettono in relazione povertà e sviluppo demografico,
lancia una forte critica alle “campagne di riduzione delle nascite, condotte a livello
internazionale, anche con metodi non rispettosi né della dignità della donna né del
diritto dei coniugi a scegliere responsabilmente il numero dei figli e spesso, cosa
anche più grave, non rispettosi neppure del diritto alla vita. Lo sterminio di milioni
di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà - scrive il Pontefice - costituisce
in realtà l’eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani”. Benedetto XVI offre
quindi un dato oggettivo: il fatto che negli ultimi anni sono usciti dalla povertà
Paesi caratterizzati “da un notevole incremento demografico” affacciandosi “sulla
scena internazionale come nuove potenze economiche” realizzando “un rapido sviluppo
proprio grazie all’elevato numero dei loro abitanti”. “In altri termini - nota il
Papa - la popolazione sta confermandosi come una ricchezza e non come un fattore di
povertà”.
Il documento sottolinea poi un dato agghiacciante:
quasi la metà dei poveri di tutto il mondo è costituita da bambini. E invita a difendere
l’istituto familiare perché “quando la famiglia si indebolisce i danni ricadono inevitabilmente
sui bambini”. Così come dove “non è tutelata la dignità della donna e della mamma,
a risentirne sono ancora principalmente i figli”.
Cosa
fare? La globalizzazione - afferma il Papa - deve essere guidata dalla solidarietà,
perché “da sola è incapace di costruire la pace e in molti casi, anzi, crea divisioni
e conflitti”. Occorre “lottare contro la criminalità” e “investire nella formazione
delle persone” sviluppando “in modo integrato una specifica cultura dell’iniziativa”.
Infatti “le politiche marcatamente assistenzialiste” - si precisa - sono “all’origine
di molti fallimenti nell’aiuto ai Paesi poveri”. Bisogna dare anche più spazio alla
società civile. Ma, in ultima istanza - conclude Benedetto XVI - “la lotta alla povertà
ha (…) bisogno di uomini e donne che vivano in profondità la fraternità” scorgendo
nei poveri il volto di Cristo.
Sul messaggio del Papa
ecco la riflessione del direttore della Caritas italiana don Vittorio Nozza,
al microfono di Fabio Colagrande:
R.
– E’ un richiamo forte ad una situazione attuale che vede sempre più coinvolti milioni
e milioni di persone, in situazioni di povertà. Ed è un assioma che in pratica sottolinea
quanto la lotta alla povertà, a tutti i livelli, possa veramente permettere anche
di contenere la violenza o per lo meno, a far stare le persone dentro i loro contesti
ed i loro territori, in una situazione di relazioni più pacificate e più capaci anche
di rispetto verso la propria dignità e verso il proprio futuro.
D.
– Oggi, si assiste ad un mondo capace di produrre ricchezza ma anche capace di produrre
povertà. Il Papa ci ricorda, proprio dal punto di vista della dottrina sociale cristiana,
che i cristiani devono avere un amore preferenziale per i poveri…
R.
– Non manca la ricchezza, non mancano le risorse che potrebbero, se opportunamente
considerate, rispondere ai bisogni delle persone. Ciò che manca è l’equilibrio nella
distribuzione di queste risorse: la bontà dello sviluppo della produzione della ricchezza
non va di pari passo con l’altrettanta bontà della presa in considerazione della situazione
di tanti milioni di persone al punto tale che, la distanza tra i pochi ricchi sempre
più ricchi e i tanti poveri sempre più poveri, è una distanza che si va sempre più
accentuando, quasi consegnando ad uno stato di vita povero, milioni se non miliardi
di persone.
D. – Guardando la situazione italiana, possiamo
dire che c’è, purtroppo, uno zoccolo duro di povertà che resiste ormai, da parecchio
tempo; in più, la Caritas, da qualche tempo, ci sta avvertendo che esiste la realtà
dei nuovi poveri…
R. – Stiamo dentro un territorio,
quello nazionale, che dice, in modo particolare, due grandi situazioni alle quali
si sta avvicinando una terza. La prima è quella dei sette milioni e mezzo di poveri
che dentro i nostri contesti territoriali, hanno quasi la propria vita segnata, strutturata,
consegnata, alla povertà. C’è poi una fascia ampia, soprattutto di nuclei familiari,
che in questi ultimi anni, hanno colto la difficoltà a dare dignità e garanzia alla
propria esistenza, al punto tale che questi stessi rischiano - pur non avendo disagi
in atto, se non si trovano le formule da un punto di vista di azioni sociali, di azioni
politiche - di incorrere dentro una situazione ben più pesante. La crisi ultima ci
dice anche come dovremo ripensare, tutti quanti, proprio i nostri stili, i nostri
modi di essere, se vogliamo affrontarla in maniera seria.
D.
– C’è una corrente culturale che in qualche modo nega l’esistenza di questi poveri? R.
– Si fatica a vederli; nel momento in cui si vedono si tende, diremmo così, a cacciarli
lontano, per lo meno a tentare di non farli essere disturbo al proprio cammino di
vita. E’ una presenza che, per poter essere vista, ha bisogno di molta prossimità,
di molta capacità di ripensamento anche del proprio modo di essere, e soprattutto
di una presa di coscienza che soltanto attraverso territori sempre più coesi e solidali,
è possibile anche dare un volto migliore, diverso, più vivibile, anche alla nostra
stessa vita. Quindi negarli o cacciarli addirittura sotto il tappeto, come si fa con
la polvere qualche volta, significa, in pratica, volere il nostro stesso male.