Città del Vaticano: dal primo gennaio 2009 in vigore la nuova legge sulle fonti del
diritto
Da domani, primo gennaio 2009, entra in vigore nello Stato della Città del Vaticano
la nuova legge sulle fonti del diritto. Ecco in proposito quanto scrive sull'edizione
odierna dell'Osservatore Romano mons. José María Serrano Ruiz, presidente della
Corte di Appello dello Stato della Città del Vaticano e presidente della Commissione
per la revisione della Legge sulle fonti del diritto Vaticano:
Con data
1° ottobre 2008 (cfr. Acta Apostolicae Sedis [Aas], anno lxxix, n. 16, pp. 655 ss.)
il Papa ha promulgato la Legge numero lxxi sulle fonti del diritto, che entrerà in
vigore il 1° gennaio 2009. Tale strumento legislativo sostituisce la Legge tuttora
vigente del 7 giugno 1929 n. ii (cfr. Aas, anno i, n. 1, pp. 5 ss.). È stato lo stesso
Pontefice nell'introduzione al documento a segnalarne la finalità: "Per procedere
ulteriormente nel sistematico adeguamento normativo dell'ordinamento giuridico dello
Stato della Città del Vaticano, avviato con la Legge fondamentale del 26 novembre
2000". Già da queste parole si intravede l'importanza della norma e si possono intuire
i prevedibili sviluppi della sua promulgazione. Si compie un ulteriore passo verso
un Corpus Vaticanum, che certamente non potrà essere un opus di grandi proporzioni
tenuto conto delle caratteristiche dello Stato della Città del Vaticano; ma nemmeno
potrà rinunciare al suo ruolo di testimonianza unica nel concerto del diritto comparato
e nella riflessione sul fenomeno giuridico universale. Lasciando da parte commenti
più approfonditi, che senz'altro arriveranno da studiosi e specialisti in materia,
tocca a noi individuare alcuni punti salienti della nuova norma, quali emergono soprattutto
dal confronto con la precedente. Tale Legge era stato il frutto di un apprezzabilissimo
lavoro nel quale emerge la persona di Federico Cammeo, persona per tanti versi eminente
e meritevole del riconoscimento della Chiesa cattolica, alla quale, tra l'altro, non
apparteneva, ma verso la quale professava sincera e profonda ammirazione. La sua opera
ha ricevuto significativi elogi da parte di affermati canonisti e vaticanisti (cfr.
F. Cammeo, Ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano, e appendici
alla stessa, Libreria Editrice Vaticana, 2005). Dell'importanza di questo testo e
dell'attenzione che a esso riserva il legislatore, è indizio il fatto che la nuova
redazione si propone non come una vera e propria Legge de iure condendo, ma molto
più modestamente come revisione della legge precedente, cioè della Legge sulle fonti
del diritto applicabile nello Stato (cfr. Lettera del segretario di Stato, infra).
È quanto ha cercato di fare la commissione istituita dal segretario di Stato con lettera
del 10 marzo 2007, che ha espletato il suo incarico nell'arco di un anno, con riunioni
a cadenza settimanale. Prima di addentrarci in questioni particolari,
facciamo un breve accenno all'argomento centrale della Legge. Le fonti del diritto
sono state con frequenza, e a buona ragione, centro dell'interesse e della attenzione
dei giuristi. Fatte oggetto di serio studio dalla filosofia del diritto e dalla dogmatica
giuridica, dal diritto costituzionale e dalle diverse branche degli ordinamenti nelle
loro espressioni concrete, e, molto significativamente, dal diritto canonico (cfr.
Alfons Maria Stickler, Historia Iuris canonici latini, Roma, 1985, pp. 3 ss.), esse
sempre occupano un posto di rilevante importanza nella sistematica dei corpi legislativi.
Sotto il profilo semantico, si è parlato di fonti del conoscere e di fonti dell'essere;
di fonti statiche e di fonti dinamiche; di fonti tipiche e di fonti atipiche (cfr.
Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, 1968, vol. XVIi, pp. 892 ss., sotto la voce "Fonti
del diritto"). In mezzo a tutte queste interessantissime e sterminate delucidazioni,
ci fermeremo a un rimando quasi etimologico che affonda le sue radici in Cicerone
(cfr. De legibus, i, 6, 20) secondo il quale la parola "fonte" in subiecta materia
va intesa non solo come origine, sorgente (formale) del diritto, ma anche, e direi
soprattutto, come fondamento, nucleo essenziale nell'analisi della norma giuridica.
Vorremmo che, nel nostro caso, la Legge sulle fonti del diritto vaticano significasse
una sintesi tra i due significati: che non solo fosse punto di confronto e riferimento
di legittimità per l'applicazione dei precetti legali, ma anche indicasse in essi
il nucleo più importante. Del resto anche il nostro testo si rifà in qualche modo
a questa impostazione quando distingue tra fonti principali e fonti suppletorie. Venendo
ora all'esame diretto dell'articolato e lasciando da parte altre considerazioni di
dettaglio, ci limiteremo a segnalare alcune differenze rispetto alla legge precedente:
il che ci servirà anche per riconoscere i segni dei tempi nell'evoluzione della legislazione.
In questo senso la prima osservazione che si potrebbe fare è la vistosa riduzione
del numero degli articoli, diminuiti di una buona metà: da 25 (nel 1929) agli attuali
soli 13. Risponde così allo stesso criterio già espresso in altri esempi legislativi
della Chiesa postconciliare, e, singolarmente, nel Codex Iuris Canonici (Cic) del
1983. Il primo articolo, che si occupa delle fonti principali del diritto, offre già
spunto a diverse considerazioni di non poco conto. Troviamo l'Ordinamento canonico,
formalmente tale, in un posto di privilegio all'interno di queste stesse fonti principali.
E infatti non come prima (1929) è annoverato nell'insieme del resto delle fonti principali,
anche se in primo luogo (ivi, art. 1 [a]); ma, autonomamente scorporato, viene riconosciuto
come la prima (prima e principale, dunque) fonte normativa e primo criterio di riferimento
interpretativo (art. 1, 1.). Si esprime così già in partenza la ragione di questa
principalità di fonte, radicata nella natura stessa strumentale dello Stato Vaticano,
che esiste a conveniente garanzia della libertà della Sede Apostolica e come mezzo
per assicurare l'indipendenza reale e visibile del Romano Pontefice nell'esercizio
della sua funzione (cfr. preambolo alla Legge fondamentale dello Stato della Città
del Vaticano, Aas, suppl. 71 [2000], p. 75). Questa posizione preferenziale del diritto
della Chiesa nel Corpus Vaticanum è stato oggetto di approfondite valutazioni e discussioni
nel seno della commissione, che credo sia arrivata a una formulazione molto felice.
Il diritto canonico rimane così riconosciuto nella sua genuinità autonoma e autoctona.
Né rientrerebbe nelle prospettive della Chiesa del Vaticano ii indicare nella sua
legge spirituale e universale, cioè nel diritto canonico, una norma di vigenza e applicazione
formale e immediata nella comunità giuridica e politica vaticana. La presenza poi
dell'Ordinamento canonico - e non del solo Codex, come prevedeva la Legge precedente
- nell'elenco delle fonti del diritto dello Stato riceve ora una denominazione molto
più completa e precisa: non solo la legge comune della Chiesa latina, ma pure il
Codice per le Chiese orientali e altre disposizioni integrate nel tessuto strutturale
della Chiesa con lo stesso rango dei codici (penso, per esempio, alla costituzione
Pastor Bonus sulla Curia romana, con la quale la Città del Vaticano ha continui collegamenti).
Attraverso l'Ordinamento canonico, se necessario, si inseriscono
tra le fonti del diritto altre norme che implicitamente sono presenti con la loro
necessaria e trascendente principalità. Così, a chi lamentasse che in questo primo
articolo della Legge sulle fonti del diritto vaticano non si faccia cenno al diritto
divino, naturale e positivo - che per certo non manca dopo in precetti concreti:
articoli 3, 4, 6...) - si potrebbe comodamente rispondere che tale diritto, esplicitamente
e con i dovuti accorgimenti interpretativi (cfr. Cic, lib. ii-iv; e p.e. can. 1075
1), si trova ripetutamente riconosciuto e recepito, e non potrebbe essere in modo
diverso, nell'Ordinamento canonico in toto e per eminentiam. E altrettanto dicasi
dei diritti fondamentali della persona umana, accolti dallo stesso Codice sotto la
formalità di diritti e obblighi di tutti i fedeli e, qualificatamente, dei fedeli
laici (cfr. cc. 208-223; e cc. 224-231) Per di più non si può ignorare la generosa
recezione e canonizzazione delle legislazioni secolari nell'ordinamento della Chiesa
(cfr. lib. v Cic). E ciò con molta più ragione dovrà accadere con le leggi vaticane
chiamate a integrarsi in una sinergia ideale con le norme della comunità ecclesiale.
Tra le novità introdotte nelle fonti principali, al di fuori dell'ordinamento canonico,
da sottolineare l'esplicita ammissione di conformità della Santa Sede a trattati e
accordi internazionali, da essa sottoscritti con obbligate limitazioni (cfr. ivi,
n. 4). Un altro punto di segnalato interesse è la recezione
della legislazione italiana come fonte suppletiva (ivi, art. 3). In non poche occasioni
i Romani Pontefici hanno riconosciuto la maggioranza o quasi totalità dei sudditi
vaticani come cittadini italiani. Per lo più quindi i rapporti tra i due enti sovrani
dovranno essere regolati da disposizioni chiare e che riconoscano nello stesso tempo
la completa autonomia e la necessaria collaborazione di entrambi. Né ciò deve destare
meraviglia, poiché la Città del Vaticano è uno Stato di molto limitate proporzioni
non solo geografiche e di numero di persone e di atti sottomessi alla sua giurisdizione,
ma anche di istituzioni chiamate a intervenire nell'elaborazione e attuazione delle
norme. Non di meno anche in questo punto la nuova Legge ha introdotto un cambiamento
che non può essere ignorato. Mentre nella legge precedente operava una sorta di recezione
automatica che si presumeva come regola, solo eccezionalmente rifiutata per motivi
di radicale incompatibilità con leggi fondamentali dell'Ordinamento canonico o dei
trattati bilaterali, nella nuova disciplina si introduce la necessità di un previo
recepimento da parte della competente autorità vaticana. Tale norma è vigente anche
nei casi (cfr. art. 12) nei quali potrebbe presumersi una recezione ope legis. Più
di un motivo sembra giustificare quest'ulteriore cautela nella recezione della legislazione
italiana, rispettata nella sua propria sovranità, ma chiamata nello stesso tempo a
rispettare e a confrontarsi con quella vaticana. Ne indichiamo solo tre: in primo
luogo il numero davvero esorbitante di norme nell'Ordinamento italiano, non tutte
certamente da applicare in ambito vaticano; anche l'instabilità della legislazione
civile per lo più molto mutevole e come tale poco compatibile con l'auspicabile ideale
tomista di una lex rationis ordinatio, che, come tutte le operazioni dell'intelletto,
cerca di per sé l'immutabilità dei concetti e dei valori; e infine un contrasto, con
troppa frequenza evidente, di tali leggi con principi non rinunziabili da parte della
Chiesa. Un ulteriore strumento legislativo sembra essere necessario per concretizzare
snelli meccanismi di recezione. Seguono diversi articoli (7-12) che si occupano delle
fonti per la regolazione degli Ordinamenti civile, penale e amministrativo e della
loro rispettiva protezione giudiziale. Sorvoliamo in questa frettolosa, frammentaria
e per forza sommaria esegesi del testo legale, sulle questioni prospettate. Non voglio
però tralasciare una norma della quale la commissione si è occupata particolarmente
e cioè l'articolo 11 sulla istruzione scolastica. Si partiva da un precedente di chiara
impostazione anacronistica (art. 21 Legge del 1929); e, dopo animata discussione sulle
possibilità di attuazione concreta nell'ambito vaticano, si è arrivati a un testo
che in materia così delicata come è l'educazione della gioventù riecheggia uno dei
documenti importanti del messaggio conciliare (cfr. Gravissimum educationis) e non
esclude la possibilità che la Chiesa possa intervenire ulteriormente disciplinando
la materia nello Stato vaticano. Evidente il valore testimoniale della norma al di
là della sua immediata messa in pratica. Finalmente chiudiamo con uno sguardo
al futuro. In diverse occasioni il testo che commentiamo apre la possibilità di un
completamento autonomo dell'ordinamento in aree particolarmente importanti (cfr. articoli
1, 5, 7, 8, 11, 12...). Sarebbe certamente uno sforzo molto impegnativo e gravoso
quello di dar vita a un corpo legislativo completo con le caratteristiche e i valori
propri della nostra comunità vaticana. Ma la strada è stata già iniziata con la Legge
fondamentale e viene proseguita con questa, che abbiamo commentato, sulle fonti del
diritto. Sarebbe una esigenza della trascendente autonomia della Sede Apostolica e
del suo strumento di ministero più prossimo, quale è lo Stato della Città del Vaticano;
e, nello stesso tempo, sarà un servizio di grande importanza alla scienza del diritto
e alla sua attuazione nei diversi popoli e culture. Per non far riferimento che a
due campi di frequente applicazione nei nostri organi giudiziali, sarebbe molto utile
poter eventualmente disporre di un Codice (o Legge) sul lavoro e di un aggiornato
e illuminato Codice penale. È vero che il patrimonio giuridico e il magistero instancabile
della Chiesa possono fornire inestimabili strumenti di applicazione di norme che regolino
i rapporti tra le persone e di queste con le istituzioni nel territorio che più da
vicino vive sub umbra Petri. Ma alle volte in tanta e tanto importante documentazione
riesce difficile - più si vela che si rivela, direbbe il Concilio - trovare la risposta
semplice e concreta a problemi incalzanti. Nel lavoro che ancora ci attende, i responsabili
della convivenza, i magistrati, i cittadini e quanti collaborano immediatamente a
far presente sulla terra, e in primo luogo sulla terra prediletta di Roma, quel segno
di gioia e di speranza che è la Chiesa, hanno il diritto e condividono il dovere di
trasformare sempre di più lo Stato vaticano in una Città esemplare, edificata sul
monte.