Cuba: dopo 50 anni cinque vescovi celebrano la Messa di Natale nelle carceri del Paese
A cinquanta anni dal trionfo della Rivoluzione cubana alcuni sacerdoti, tra cui cinque
vescovi, hanno potuto per la prima volta, nella cornice del lavoro della pastorale
carceraria, celebrare la Santa Messa in diversi carceri di Cuba la mattina del 25
dicembre scorso. Oltre a quelle celebrate dall’arcivescovo dell’Avana, cardinale Jaime
Ortega presso l’istituto “Combinado del Este” e dal suo ausiliare mons. Juan de Dios
Hernández nel penitenziario de “La Condesa”, altri riti eucaristici nelle prigioni
sono stati celebrati anche dai vescovi di Santiago di Cuba, Santa Clara e Camagüey.
Padre Félix Hernández, che ha accompagnato, insieme con alcuni seminaristi, il cardinale
Jaime Ortega al più grande carcere cubano nei pressi della capitale, racconta delle
cortesie delle autorità del penitenziario e soprattutto descrive “l’immensa gioia
dei 17 detenuti che un po’ sorpresi hanno presso parte alla Messa. Una pianola elettrica
è servita, con l’aiuto dei seminaristi, ad interpretare alcuni canti natalizi”, ha
aggiunto il sacerdote che da quasi 20 anni lavora con i carcerati e poi ha osservato:
“Sono passi che vanno nella direzione di migliorare l’assistenza spirituale nel mondo
delle carceri. Anche noi dobbiamo trovarci in condizioni dir rispondere a questa nuova
sfida. Questo Natale 2008 sarà per tutti noi, che lavoriamo nella pastorale carceraria,
una data indimenticabile: per la prima volta in quest’ultimi cinquanta anni - ha rilevato
in una dichiarazione alla rivista digitale ‘Palabra Nueva’ – abbiamo potuto celebrare
il Natale in diverse carceri del Paese”. Alla fine della Messa il cardinale Ortega
ha parlato a lungo con i reclusi consegnando loro come piccolo dono, alcune stampe
del Bambin Gesù e della Madonna della “Caridad del Cobre”, patrona di Cuba. Padre
Félix Hernández ha commentato questi momenti dicendo che sono stati “brevi ma intensi
e in molti dei presenti l’emozione ha fatto scorrere qualche lacrima. Vivere l’esperienza
di Dio che si fa uomo e che condivide anche la condizione del carcerato”, ha aggiunto,
“è qualcosa di meraviglioso”. Va ricordato che nel mese di luglio del 2007, qualche
settimana dopo la V Conferenza generale degli episcopati dell’America Latina, la capitale
cubana ha ospitato l’Assemblea ordinaria del Consiglio episcopale (Celam); nell’incontro
delle nuove autorità dell’organismo di coordinamento ecclesiale con le autorità dell’isola,
si è parlato proprio della pastorale carceraria. In concreto, in quella occasione
sono state chieste misure che consentissero uno svolgimento del lavoro pastorale con
meno ostacoli e rallentamenti burocratici. Ciò che è accaduto, dunque, può rientrare
in quella “grande speranza che ci porta Gesù”, come ha detto il cardinale Jaime Ortega
nel suo messaggio natalizio 2008; “speranza che non riguarda l’attesa di miglioramenti
personali e sociali che quasi sempre si risolvono nell’ordine materiale. In queste
ore, scrive il porporato, ci diciamo: ‘spero che il prossimo anno sia migliore’, e
quest’attesa somiglia a quella impaziente di chi aspetta il treno o l’autobus. Avere
speranza in Dio, ha spiegato, è tutta un’altra cosa. Questa speranza ci ricorda che
Dio ci ama, che per amore si è fatto uno di Dio per morire sulla croce, e che è vivo,
che ha vinto sulla morte, e che oggi e sempre è presente nella nostra storia. Questa
è la vera speranza: Lui c’è, ci ama, e vive fra noi”. (A cura di Luis Badilla)