2008-12-26 10:04:19

Progetto italo-ugandese dà il via alla prima facoltà di medicina a Gulu


“Combattere la guerra in Uganda investendo in risorse”. E’ partendo da questa sfida che nel 2003, in partenariato con l'Università di Napoli, Italia e Uganda hanno dato vita, grazie al progetto GuluNap, alla prima facoltà di medicina della città di Gulu. Il centro sorge in uno dei distretti devastati da 20 anni di guerriglia che ha prodotto oltre 100 mila morti e migliaia di sfollati. Drammatica la situazione sanitaria nel nord Uganda dove vi è un medico ogni 40mila abitanti. Sul perché dell’iniziativa, recentemente insignita, in Vaticano, del premio “Van Thuan” per l’applicazione della solidarietà e della dottrina sociale della Chiesa, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento del prof. Luigi Greco, ordinario di pediatria presso la Federico II di Napoli e tra gli iniziatori del progetto: RealAudioMP3
 
R. – Era il posto più devastato e c’era già questo punto importantissimo, che è l’ospedale diocesano e missionario del Saint Mary’s Hospital, fondato dai famosissimi Pietro e Lucille Corti. Era un sogno di Pietro Corti, che è morto tra le mie braccia mentre parlavamo di questo progetto. La moglie era morta di Aids contratto in sala operatoria. Dunque, c’era questa straordinaria opportunità di un grande ospedale missionario, molto efficiente, che permette di educare giovani medici e che attualmente è il nerbo della pratica clinica di questi studenti.

 
D. – La vostra idea, dunque, è quella di dare un’opportunità a chi è del luogo perché in ospedale già venivano molti medici italiani …

 
R. – E’ proprio questo il problema. All’ospedale missionario andavano medici italiani – 40, 50 all’anno. Un cambiamento continuo. Nessuna ricaduta sul posto.

 
D. – Un altro problema che si rileva in Uganda, e non solo in questo Paese, è la fuga di cervelli, ovvero una volta laureati, gli studenti vanno a specializzarsi in altri luoghi del mondo, per stare meglio, per guadagnare di più …

 
R. – Li stiamo trattenendo. Addirittura stiamo tentando di fare un patto d’onore perché stiano cinque anni nella regione dopo la laurea.

 
D. – Il governo ugandese come vede questa iniziativa?

 
R. – Il governo ugandese ha dato le borse di studio agli studenti – 50 l’anno; paga i salari dei professori ugandesi e attualmente le altre università vedono sorgere dal nulla nel “bush” una facoltà di medicina che compete con quelle nazionali, molto prestigiose.

 
D. – Quali sono le prossime sfide?

 
R. – Abbiamo aperto adesso una collaborazione nuova per mettere la facoltà di scienze, sviluppo e cultura, e per fare “science education”, cioè formare i professori dei livelli superiori di scuola, perché senza questa qualificazione i ragazzi non possono entrare nell’università. E poi, abbiamo aperto “agraria” e stiamo facendo un grande progetto di piscicultura – è strano pensarci: da Napoli portiamo le vasche per allevare pesci in Uganda. E’ un lavoro quotidiano, non di emergenza, ma di quotidiana amministrazione.

 
D. – L’Università Federico II di Napoli, il ministro degli Affari esteri, tante fondazioni, tante le donazioni individuali per sostenere questo progetto e soprattutto la sfida del “post-doc”, ovvero creare gli incentivi per chi è già medico a rimanere sul posto. Ma concretamente, questo come si fa?

 
R. – Arruolandoli come “resident” pagati, con uno stipendio; mettendo nell’ospedale di Gulu la nuova radiologia, ecografia, strutture. All’ospedale di Racio, tutte le endoscopie e distretti sanitari, comprese le motociclette per girare tutti i villaggi e curare i malati. I ragazzi vanno nel campo a fare progetti: sono obbligati a farlo e lo fanno con grande entusiasmo. Stiamo facendo di tutto per costruire questo “post-doc”.







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