Madre e figlio morti tra le fiamme nella loro baracca a Ostia. Di Tora: più solidarietà
con i poveri
Tragedia della povertà questa notte, alle porte di Roma: una donna ed il figlio di
3 anni sono morti arsi vivi in una baracca all’interno della Pineta di Castel Fusano,
ad Ostia. In base alle prime indagini, l’incendio sarebbe stato provocato da una fiammata
divampata da un fuoco acceso per riscaldare l’interno della baracca. Su questo drammatico
episodio, alla luce dell'appello alla solidarietà lanciato dal Papa a Natale, si sofferma
al microfono di Amedeo Lomonaco mons. Guerino Di Tora, direttore della
Caritas diocesana di Roma:
R. – Certamente
era una situazione abbastanza estrema, purtroppo, di una donna che viveva dentro una
baracca insieme al proprio figlio. Di queste situazioni ce ne abbiamo ancora tante
a Roma. Molti, forse, non sanno oppure non vogliono sapere. Occorre veramente che
ci mettiamo in un atteggiamento nuovo, non solo di solidarietà, ma anche di prossimità;occorre
cioè andare a cercare queste persone. Noi dobbiamo essere il prossimo per gli altri.
Dobbiamo farli sentire persone umane. E’ importante che queste realtà, anche di difficoltà
sociale, vengano non emarginate, allontanate, ma inglobate all’interno del tessuto
sociale. E’ per questo che occorrono non solo gesti di solidarietà, ma una cultura
della solidarietà.
D. – E' proprio l'appello che
ha lanciato il Papa a Natale, pensando anche all'attuale crisi economica mondiale...
R. – Tante volte si dice che non tutti i mali vengono
per nuocere. Quindi, sebbene questa crisi economica sia in sé un male, forse può portare
tanti di noi ad una riflessione su quello che deve essere uno stile di vita di maggior
sobrietà. Dare speranza non è semplicemente una parola. La speranza si dà con uno
stile di vita, mostrando che ci si crede in quello che è un momento di maggior unione
con gli altri. Dobbiamo anche saper educare le nuove generazioni: educare i figli
significa abituarli al necessario, all’utile, a quello che io devo saper condividere
anche con l’altro. Dobbiamo saper dare al mondo questa speranza perché la nostra non
è una speranza che si fonda sul benessere economico, ma unicamente su Gesù Cristo.
Questo ci riporta a cercare veri valori, a cercare la globalizzazione dell’umanità.
Si devono sentire gli altri come fratelli, come persone che, come noi, vivono nella
storia di oggi. Noi cristiani siamo chiamati in questo contesto ad annunciare la speranza,
a portare Gesù Salvatore.
D. – Benedetto XVI ha
anche affermato che se ciascuno pensa solo ai propri interessi, il mondo non può che
andare in rovina. Quali sono oggi le rovine della nostra società?
R.
– Io immagino che sia proprio questo senso di egoismo, il pensare prima a se stessi
e poi all’altro. E’ emblematico in questo senso il passaggio dalla cultura della socialità
– quella che veniva chiamato il welfare state – alla cultura della sicurezza. La sicurezza
significa che io penso solo a me stesso, vengo prima io. Sell’altro non mi interesso,
si crea questo senso di mcrescente divisione. In un mondo in cui c’è da una parte
il benessere e dall’altra c’è gente che non arriva a vivere con un dollaro al giorno,
allora è veramente un momento di riflessione su noi stessi. Se Gesù è venuto per tutti,
il nostro impegno, il nostro Natale deve essere veramente per tutti; quindi, non pensiamo
solo a noi stessi! Questo deve essere il superamento dell’egoismo.