Si apre una possibilità di trattativa nella spirale violenza in cui sono ripiombati
Israele e Gaza dopo la fine del 'cessate il fuoco', annunciata da parte di Hamas.
Stamani Hamas ha accettato una tregua di 24 ore proposta dai mediatori egiziani. Tuttavia
sul terreno la tensione resta altissima: nonostante l'annuncio della tregua un razzo
Qassam è caduto oggi nel Neghev senza causare vittime. L'aviazione israeliana aveva
attaccato poco prima una postazione missilistica nei pressi di Gaza City. Il punto
della situazione nel servizio di Marco Guerra:
Per le prossime
24 ore Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi di Gaza porranno fine al lancio
di missili sul territorio Israeliano. Il breve 'cessate il fuoco' è stato raggiunto
in mattinata grazie alla mediazione dell’Egitto. Tregua che arriva a tre giorni dalla
ripresa delle violenze e proprio mentre la situazione sembrava precipitare e si rincorrevano
voci su un imminente intervento terrestre su vasta scala dell’Esercito israeliano
nella Striscia di Gaza. Solo ieri più di venti razzi sono caduti in territorio
israeliano, mentre l’aviazione dello Stato ebraico ha distrutto quattro postazioni
missilistiche dei miliziani palestinesi, provocando il ferimento di almeno quattro
persone, tra cui un bambino. Tel Aviv ha quindi avvertito il segretario generale
dell'Onu, Ban Ki-moon, che reagirà duramente e militarmente qualora non dovesse cessare
la pioggia di razzi dalla Striscia di Gaza. Ad alimentare le 'voci' di un ampio intervento
militare è stata anche l’indiscrezione della Radio pubblica israeliana, secondo cui,
il ministro degli Esteri Livni intende convocare gli ambasciatori accreditati per
informarli della gravità della situazione. E poco prima della sospensione delle ostilità
si era registrata anche la dura risposta di Hamas, che non ha esitato ad agitare lo
spettro di nuove incursioni suicide nelle città israeliane.
Afghanistan Non
si ferma la violenza in Afghanistan. Almeno tre civili sono morti e altri cinque sono
rimasti feriti a Ghazni, nel sud del Paese, in un attentato condotto da due kamikaze.
Vittime anche tra le truppe della coalizione internazionale: un soldato britannico
è stato ucciso da un'esplosione nella provincia di Helmand. Sale così a sette il numero
dei militari britannici uccisi in Afghanistan negli ultimi otto giorni. Si registra,
infine, la visita a sorpresa alle truppe italiane di stanza ad Herat del presidente
della Camera, Gianfranco Fini.
Iraq È previsto per oggi il voto del
Parlamento iracheno sulla permanenza delle truppe straniere non americane oltre il
mandato delle Nazioni Unite, che scade il prossimo 31 dicembre. Il voto, che è stato
ritardato di qualche ora per consentire gli interventi di alcuni parlamentari, riguarderà
le truppe britanniche e australiane, mentre un accordo separato fra Iraq e Stati Uniti
prevede la permanenza di una parte del contingente americano fino al 2011. Si apre,
invece, il 31 dicembre il processo contro Muntazer al Zeidi, il giornalista iracheno
che la scorsa domenica ha lanciato le proprie scarpe contro il presidente George Bush.
Iran Atto
grave di intimidazione del Governo iraniano nei confronti della premio Nobel per la
pace, Shirin Ebadi. La Polizia ha chiuso l'ufficio a Teheran della sua associazione,
il Circolo dei difensori dei diritti umani, dove doveva tenersi una celebrazione del
60.mo anniversario della Dichiarazione dei diritti dell'uomo. La motivazione ufficiale
è che il Circolo agiva come un partito politico senza essere autorizzato dal competente
ministero. La misura adottata dal Governo iraniano ha avuto grande risonanza a livello
internazionale. Sulla attuale situazione della libertà di espressione e dei diritti
umani in Iran, Stefano Leszczynski ha intervistato il giornalista di origini
iraniane Ahmad Rafat:
R. – Negli
ultimi mesi il Governo del presidente Ahmadinejad, dopo aver chiuso giornali, sindacati,
associazioni studentesche, ha cominciato ad attaccare le organizzazioni che si occupano
dei diritti umani. Prima ha chiuso il centro dei diritti umani del Kurdistan, arrestandone
il fondatore e il direttore, condannandolo a 10 anni di carcere, e poi ha chiuso l’associazione
di Shirin Ebadi, che del resto era già stata dichiarata illegale due anni fa.
D.
– Una delle ultime denunce che arrivavano dalla Ebadi era questo ricorso in aumento
alla pena di morte in Iran...
R. – Effettivamente,
proprio qualche ora prima della chiusura del Centro fondato dalla signora Ebadi, sono
state indicate cinque persone, due accusate di traffico di droga e due di aver violentato
dei ragazzini, ma il quinto era un religioso, autore di libri di 500, 600 pagine,
che è stato impiccato per le sue idee. Pertanto, è vero che il principale problema
del Paese oggi è questo uso frequente di condanne a morte ed esecuzioni, soprattutto
dei minori.
D. – Quello che sorprende è che gran
parte della popolazione riesca a reagire con una vivacità intellettuale molto forte.
Come mai, tuttavia, non si riesce ad avere una sufficiente pressione internazionale
per cercare di far cambiare la linea politica dell’Iran?
R.
– Credo che le continue proteste verbali, cioè comunicati, risoluzioni, non servano
più, nel senso che il Governo iraniano interpreta questa cosa come una protesta molto
formale e pertanto va avanti per la sua strada. Gran parte degli iraniani, però, non
riescono a capire a cosa sia dovuta questa ampia e profonda collaborazione economica
dell’Occidente con il Governo Ahmadinejad, e lo interpretano come un appoggio indiretto
all'Esecutivo, e si muovono con maggiore cautela perché non vogliono provocare uno
scontro internazionale.
Pakistan È di almeno
sette morti il bilancio di un sospetto raid missilistico statunitense su una zona
tribale del Pakistan. Secondo quanto indicato da fonti dell'intelligence di Islamabad,
un drone spia ha sganciato due missili nel Sud Waziristan: il primo ha colpito la
zona di Kari Khel, "distruggendo un veicolo con tre persone a bordo, tutti talebani
locali". Un secondo veicolo, con quattro persone a bordo è andato distrutto nella
zona di Sheen Warsak.
Russia In Russia, via libera definitivo del
Consiglio della federazione, il ramo alto del Parlamento, all’estensione da quattro
a sei anni del mandato presidenziale e da quattro a cinque quello parlamentare. Il
provvedimento diventerà legge con la firma del presidente, Dmitry Medvedev, e sarà
applicata a partire dalle presidenziali del 2012. La riforma costituzionale è stata
sostenuta dallo stesso Medvedev, che l'aveva motivata con l'estensione geografica
e la complessità del Paese. Molti però ritengono che dietro vi sia un disegno per
riportare al Cremlino, Vladimir Putin, ora primo ministro, il quale non ha escluso
questa eventualità ma solo dopo la scadenza del mandato del suo delfino Medvedev.
Russia
– Ucraina A causa dei contrasti con l'Ucraina, la Russia non esclude che l’Europa
possa avere problemi con le forniture di gas. E quanto viene annunciato in una nota
del Governo russo. Gazprom sostiene di vantare un credito di 1,8 miliardi di euro
con la Compagnia di Stato ucraina Naftogaz e minaccia forti aumenti di prezzo del
gas consegnato a Kiev o un taglio delle forniture. Zimbabwe Gli
Stati Uniti non sostengono più l'accordo per la condivisione del potere tra il presidente
dello Zimbabwe Robert Mugabe e l'opposizione, perché – secondo la Casa Bianca – un
governo di unità nazionale funzionante non è realizzabile con Mugabe al potere. Ieri
proprio il contestato capo dello Stato ha evidenziato davanti ai suoi fedelissimi
di non volersi mai arrendere a nessuno. Giulio Albanese:
Mentre lo
Zimbabwe è in preda ad una disastrosa crisi economica e il colera imperversa a dismisura,
ieri il presidente Robert Mugabe ha sfidato chiunque intenda chiedere le sue dimissioni,
giurando di fronte ai suoi fedelissimi di non volersi arrendere mai a nessuno. Parlando
al Congresso annuale del suo partito lo Zanu PF, Mugabe ha poi lasciato
intendere di essere favorevole a nuove elezioni, invitando il suo partito all’unità
per non ripetere la sconfitta elettorale del marzo scorso. Intanto ieri gli Stati
Uniti, considerato lo stallo politico istituzionale in cui versa lo Zimbabwe, hanno
deciso di non sostenere più l’accordo per la condivisione del potere tra Mugabe e
l’opposizione, perché secondo la Casa Bianca un governo di unità nazionale funzionante,
alla prova dei fatti, non è possibile con Mugabe al potere. A riferire del cambiamento
nella politica statunitense nei confronti dello Zimbabwe è stata Jendayi Frazer,
assistente e segretario di Stato americano per gli Affari africani nel corso di una
tavola rotonda con i giornalisti a Pretoria. Le sue dichiarazioni seguono i ripetuti
appelli di leader internazionali al presidente Mugabe, perché lasci il potere. (Panoramica
internazionale a cura di Marco Guerra) Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 357 E'
possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del
Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del
sito www.radiovaticana.org/italiano.