Sensibilizzare la società sulla tutela e l’importanza dei lavoratori immigrati: questo
l’obiettivo dell’odierna Giornata Internazionale dei Migranti, sancita dalle Nazioni
Unite nel 2000. L’evento ricorda l’approvazione della Convenzione Onu sui diritti
dei lavoratori migranti e dei membri della loro famiglia, avvenuta il 18 dicembre
1990. Ma qual è, oggi, il contributo degli immigrati alla società? Isabella Piro
lo ha chiesto a mons. Piergiorgio Saviola, direttore generale della Fondazione
Migrantes:
R.- Sul
piano economico, il contributo più vistoso per il loro Paese di origine, è la trasmissione
di rimesse. Quanto agli immigrati, è più che scontato che in un’Italia che sta rapidamente
invecchiando, in cui sono sempre meno le forze giovani che possono immettersi nel
mondo del lavoro, questi lavoratori che vengono da lontano, sono non soltanto preziosi
ma indispensabili, pensiamo soprattutto al settore della collaborazione familiare,
colf e badanti. Se siamo convinti che una società multiculturale, interculturale comporti
dei grandi vantaggi, questo passaggio da una monocultura ad un pluralismo culturale
lo dobbiamo soprattutto all’immigrazione. Questi vantaggi, però, non scattano automaticamente:
ci si deve aprire con coraggio e lungimiranza a questa realtà nuova. Chiusura significherebbe
non soltanto isolamento, rifiuto di incontro, ma tensione e scontro.
D.
– Quanti sono, all’incirca, i migranti nel mondo e quali le zone in cui si muovono
più frequentemente?
R. – Secondo i dati dell’Onu,
oggi sono abbondantemente superati i 200 milioni, pari a quasi ad un terzo della popolazione
mondiale. Se però si tiene conto che gli effetti delle migrazioni rimbalzano fortemente
sui familiari che rimangono nella loro terra, possiamo dire che il mondo migratorio
coinvolge una cifra che va oltre il mezzo miliardo. Tra i migranti, poi, va fatta
particolare attenzione a quelli che lasciano la loro terra non per sole ragioni economiche
e per sfuggire la fame, decine di milioni di richiedenti asilo e rifugiati che scappano
- come la Sacra Famiglia - per sfuggire la spada di tanti “erodi” attuali. Area di
partenza di queste masse, sono per lo più Paesi del cosiddetto Terzo Mondo, i Paesi
della povertà, della fame, della lotta per la sopravvivenza; aree di destinazione
sono i Paesi economicamente più sviluppati, anzitutto la nostra Europa occidentale,
il Nord America, in particolare gli Stati Uniti.
D.
– Come evitare la paura del “diverso” e i pregiudizi sullo “straniero”?
R.
– Per noi cristiani, la prima cosa è prendere in mano il Vangelo e ripensare alla
fraternità universale in Cristo, all’unico Padre nei Cieli, alla universalità cioè
alla cattolicità della Chiesa. La rimozione della paura e di conseguenza l’accoglienza
sono leggi fondamentali di vita cristiana. C’è un Padre e quindi, noi, ci dobbiamo
sentire tutti fratelli.
D. - Dal punto di vista normativo
e sociale, cosa occorre per migliorare la situazione?
R.
– Con realismo. C’è da prendere atto che in un campo così complesso come la migrazione,
in cui si devono armonizzare esigenze e valori spesso contrapposti, attendersi una
legge perfetta, è pura utopia. Si tratterrà sempre di un compromesso che non può soddisfare
in pieno; naturalmente tanti passi in avanti si potrebbero fare se la migrazione non
fosse come è oggi, un terreno su cui contendere fra forze politiche opposte e se ci
si sedesse insieme attorno ad un tavolo, guardando non ad interessi di parte ma all’interesse
della nostra società e dei migranti che ospitiamo. Dal punto di vista sociale, occorre
essere più civili, più umani, più indipendenti da strumentalizzazioni ideologiche
e politiche. In una parola, occorre autocritica e conversione.